L'ufficiale e la spia , la recensione del film di Roman Polanski con Jean Dujardin

Recensioni sky cinema

Paolo Nizza

Gran premio della giuria al Festival di Venezia 2019 per Roman Polanski, che rivisita il famoso caso Dreyfus che sconvolse l'opinione pubblica francese in un film con Jean Dujardin, Louis Garrel ed Emmanuelle Seigner. In onda su Sky Cinema Due Domenica 6 settembre

 

Lo J'Accuse di Roman Polanski

Si dice che chi non conosce la propria storia, il proprio passato è condannato a ripeterlo. Forse per questo a 86 anni Roman Polanski ha scelto di trasportare sul grande schermo l’affare Dreyfuss.  Parliamo di un caso iniziato 125 anni fa, ma visto il momento storico, si tratta di un avvenimento che è importante raccontare alle nuove generazioni. Senza dimenticare che spesso e volentieri le grandi storie producono grandi film. Come ha dichiarato il regista polacco, “In questo scandalo di vaste proporzioni, forse il più clamoroso del diciannovesimo secolo, si intrecciano l’errore giudiziario, il fallimento della giustizia e l’antisemitismo. Il caso Dreyfus divise la Francia per dodici anni, causando una vera e propria sollevazione in tutto il mondo, e rimane ancora oggi un simbolo dell’iniquità di cui sono capaci le autorità politiche, nel nome degli interessi nazionali.”

Così la vicenda di un uomo accusato ingiustamente, diventa la cartina di tornasole di un mondo in cui la menzogna oscura la verità. La storia raccontata in L’ufficiale e la spia, , in breve, è quella del capitano dell’esercito francese, Alfred Dreyfus, militare di origine ebraica, accusato di aver passato informazioni ai tedeschi. Anche a causa di un antisemitismo diffuso tra tutte le fasce sociali della popolazione, l’uomo viene condannato all’ergastolo da scontare presso L’Isola del Diavolo. Sarà il celebre scrittore Emile Zola con il suo famoso J’Accuse, ovvero una lettera pubblicata sul quotidiano L’Aurore” e indirizzata al Presidente della Repubblica Francese, a puntare il dito contro il complotto ordito ai danni dell’ufficiale.

Il film si basa sul romanzo di Robert Harris, scrittore da cui Polanski aveva già attinto per realizzare il thriller L’uomo nell’ombra. Tra i protagonisti spicca soprattutto il premio Oscar Jean Dujardin che veste i panni di George Picquart, ufficiale di carriera dell'esercito francese e capo dell'ufficio informazioni dello Stato Maggiore, convinto dell’innocenza di Dreyfus (che ha il volto di Louis Garrell). Emmanuelle Seigner (moglie di Polanski) interpreta invece, Pauline Monnier, amante di Picquart, ma sposata con Philippe (Luca Barbareschi)

Dall'affare Dreyfus alle Fake News

Già dalla prima inquadratura, un campo totale, che ospita il crudele rito della degradazione ai danni di Dreyfus, si comprende tutto il genio di Polanski che utilizza gli stilemi del cinema classico per raccontare una spy story, realmente accaduta e quanto mai contemporanea.  Come non vedere in quelle false prove costruite da militari corrotti,  in quelle becere accuse sostenute da occhiuti grafologi  in quelle folle ottuse bercianti, una  sorta di anticipazione del mondo in cui viviamo oggi, obnubilato  tra post-verità e fake news. Forse avremmo bisogno di un novello Zola, di un nuovo J’accuse che ci riporti a un minimo di oggettività. O soprattutto di un servitore dello stato come l’ufficiale Piquart, capace di mettere da parte le proprie convinzioni, le proprie ubbie, perché, infine, trionfi la giustizia, che spesso e volentieri non coincide con la legge.

Curatissimo nei dettagli, nei costumi, nelle scenografie, nelle composizioni delle inquadrature che sembrano dipinti di fine ottocento, il film di Polanski rimanda al celebre aforisma di Arthur Schopenhauer: “Chi ha giuste intuizioni in mezzo a cervelli confusi si trova come uno che abbia un orologio che funziona in una città dove tutti i campanili hanno orologi che vanno male. Lui solo conosce l'ora esatta, ma a che gli giova? Tutti si regolano secondo gli orologi della città che indicano l'ora sbagliata, persino chi è al corrente che solo il suo orologio segna l'ora giusta”

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