Il regista, drammaturgo e studioso di mitologia, è morto negli Stati Uniti a 87 anni. Padre della Nouvelle Vague iraniana, ha firmato capolavori come “Bashu, il piccolo straniero”, celebrato alla Mostra di Venezia nel 2025
Solo pochi mesi fa, alla Mostra del Cinema di Venezia, il suo capolavoro “Bashu, il piccolo straniero” veniva premiato come miglior restauro nella sezione Venice Classics. Oggi il cinema iraniano piange Bahram Beyzaie, morto negli Stati Uniti a 87 anni per complicazioni legate a un tumore. Il decesso è avvenuto il 26 dicembre, giorno del suo compleanno, secondo quanto riportato dal giornalista Mansour Jahani e confermato dai media iraniani.
Il padre della Nouvelle Vague iraniana
Considerato lo “Shakespeare della Persia”, Beyzaie è stato regista, drammaturgo, sceneggiatore e teorico del teatro. Ha attraversato oltre sei decenni di storia artistica con un’opera che unisce cinema, teatro e ricerca accademica. Il suo debutto cinematografico avvenne negli anni Settanta con titoli come “Ragbar” (1972), “L’estraneo e la nebbia” (1974) e “Il corvo” (1977), opere che lo consacrarono tra i protagonisti della Nouvelle Vague iraniana, movimento che rinnovò il linguaggio del cinema persiano con simbolismo e critica sociale.
“Bashu”, il film che ha fatto la storia
Il suo film più celebre, “Bashu, il piccolo straniero”, girato nel 1985 e distribuito l’anno successivo, racconta la storia di un bambino profugo della guerra Iran-Iraq accolto da una donna del nord del Paese. Un racconto universale di identità e solidarietà, votato nel 1999 “miglior film iraniano di tutti i tempi” da un sondaggio tra critici e professionisti. Il recente riconoscimento veneziano ne ha confermato il valore storico e artistico.
Tra censura e esilio: una carriera segnata dalle sfide
Dopo la rivoluzione islamica del 1979, Beyzaie subì la censura sistematica delle autorità e il blocco di numerosi progetti. Costretto a lasciare l’Università di Teheran, dove dirigeva il dipartimento di arti drammatiche, nel 2010 si trasferì negli Stati Uniti. Alla Stanford University insegnò Studi iraniani e continuò a scrivere e mettere in scena spettacoli. Nel 2024 fu invitato a entrare nell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l’organismo che assegna gli Oscar: un riconoscimento tardivo ma significativo.
Una vita dedicata alla cultura e alla ricerca
Nato a Teheran nel 1938, Beyzaie proveniva da una famiglia di poeti e letterati. A soli 19 anni scrisse la sua prima opera teatrale, “Arash”, e nel 1965 pubblicò “Theatre in Iran”, testo fondamentale sul teatro persiano. In totale ha firmato oltre settanta libri tra saggi, opere teatrali e sceneggiature. Solo uno è stato tradotto in italiano: “Storia del teatro in Iran” (Centro Essad Bey, 2020).
Il ricordo e l’eredità culturale
Il regista premio Oscar Asghar Farhadi lo ha definito “un grande maestro”, sottolineando “l’amore profondo per la cultura iraniana e l’amarezza di una fine lontano dalla sua terra”. Anche le autorità iraniane hanno espresso cordoglio: il vicepresidente Mohammad Reza Aref ha parlato di “una delle voci più profonde dell’arte contemporanea”. Il suo lascito va oltre il cinema: Beyzaie ha influenzato generazioni di artisti e ha difeso la libertà creativa in un contesto spesso ostile. In un’epoca di globalizzazione culturale, la sua opera resta un ponte tra la tradizione persiana e il linguaggio universale dell’arte.