Nino. 18 giorni, Nino D'Angelo raccontato dal figlio Toni nel documentario al cinema

Cinema
Vittoria Romagnuolo

Vittoria Romagnuolo

PH Roberto Jandoli, Courtesy - Nexo Studios

Dal 20 novembre esce nelle sale nazionali il docufilm firmato da Toni D'Angelo, primogenito del cantante napoletano e attore, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Un racconto che intreccia il volto pubblico e privato dell'artista dal punto di vista di un giovane uomo alla scoperta del padre, maestro amatissimo dal pubblico, di cui sapeva ancora troppo poco

Nino D'Angelo è un grande protagonista dello spettacolo italiano, un'icona pop, etichetta parecchio abusata ma adatta per un artista a tutto tondo, che ha recitato, cantato e ha rappresentato una città, Napoli, una generazione e un'epoca entrate nel mito, un racconto che oggi scorre su immagini d'archivio accompagnate spesso proprio dal sottofondo delle melodie delle hit degli anni magici del caschetto d'oro, quel look che a D'Angelo portò molta fortuna e con cui finì con l'identificarsi. 
La storia di D'Angelo è adesso al cinema (dal 20 novembre, nelle sale nazionali), soggetto di un documentario, Nino. 18 giorni, firmato da Toni D'Angelo, suo figlio.
Toni viene dal cinema e dal mondo dei documentari ma un lavoro su suo padre non è un'operazione scontata, anzi. Lui stesso precisa, sullo schermo e anche fuori, nelle interviste, che per quasi tutta la sua vita, non gli era venuto in mente di raccontare quel padre così famoso, la cui celebrità gli era pesata già abbastanza quando era un bambino. E che aveva continuato a non considerare da ragazzo, quando ascoltava una musica molto diversa da quella che scriveva e cantava suo padre. 
Poi è arrivato il momento della resa dei conti, tra padre e figlio, con ciò che si è, e Toni ha chiesto a Nino di mettersi al centro di una storia, la sua.
Nino, Gaetano (il nome allanagrafe di D'Angelo), il caschetto d'oro. Chi è suo padre, alla fine? Nino D'angelo, l'uomo e l'artista, sono andati oltre tutte queste divisioni, hanno superato le stagioni, le etichette e gli stereotipi. È tempo di riavvolgere il nastro, accendere i cellulari, ed iniziare il racconto. 
 

D'Angelo, idolo negli anni Ottanta

Come nella migliore delle tradizioni, il docufilm Nino. 18 giorni parte dalle origini e, attraverso filmati d'archivio e documenti privati, intreccia la biografia e la carriera di un protagonista della scena musicale e non solo, che con la sua voce ha segnato varie stagioni, e in particolare gli anni Ottanta, dando nuovo smalto a una tradizione, quella della canzone melodica partenopea, avviata in un percorso che l'avrebbe smarcata per sempre dai confini regionali.
Nino D'Angelo era il delfino di Mario Merola ma lui della sceneggiata (che pure aveva cantato ai suoi esordi) non voleva saperne.
D'Angelo voleva arrivare ai suoi coetanei e, soprattutto, voleva raccontarli. Perché lui, anche quando era diventato un idolo, da quelle strade difficili, dai quartieri popolari dove era nato e cresciuto (a San Pietro a Patierno, dove torna seguito dall'obiettivo del figlio regista) non si è voluto separare mai. 

Nino l'artista, Gaetano il padre

C'è anche il racconto di momenti duri, nel film, come quello dei giorni in cui il cantante lasciò la sua casa per trasferirsi a Roma. Era diventato troppo famoso e i vetri di casa sua furono attraversati da colpi di pistola. 
Poi la crisi creativa e personale, con la scomparsa della madre. La depressione, i viaggi in autostrada, per tornare nell'unico posto che considerava casa.
Tutte queste cose Nino D'angelo le racconta al figlio che raccoglie testimonianze di prima mano di una carriera iniziata con la gavetta, da giovanissimo, ed esplosa al punto da non essere più contenuta solo dalla musica.
Nino D'Angelo è stato un attore di successo, ha riempito per anni le sale con le sue storie romantiche (e non solo), piene di musica appassionata.
È stato a Sanremo più volte (la partecipazione nel 1986 fu contestatissima, lo racconta il docufilm per chi non c'era), ha vinto un David di Donatello quando non se lo aspettava più (nel 1998, per le musiche di Tano Da morire).
È stato al centro di una riscoperta quando del caschetto d'oro si erano perse del tutto le tracce (anche nel look).
Oggi è un uomo che ha fatto pace con tutte le emozioni di queste epoche, un padre, un nonno, un artista amatissimo, un maestro per chi è venuto dopo di lui e ha messo Napoli al centro della sua creatività. 
Ma la conciliazione più significativa è quella con suo figlio Toni, che gli ha sempre rinfacciato di non esserci stato quando è nato. Nel dicembre del 1979 Nino D'Angelo era impegnato in Sicilia una turnée di teatro, il figlio nacque e lui perse l'evento e rincasò diciotto giorni dopo (quelli che hanno dato spunto al titolo).

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Non sono stati i diciotto giorni a creare la distanza tra Nino e Toni, perché il cantante è stato un padre premuroso per i suoi figli.
Toni D'Angelo ammette che è stato lui a rifiutarsi per lungo tempo di guardare il padre con gli occhi dei suoi fan. "Da ragazzo ero uno snob - dice a Napoli, in occasione di una delle anteprime del film - ma poi mi sono vergognato di essere così. Non mi sono piaciuto". 
Toni D'Angelo ammette di essersi inserito nell'ondata di riscoperta di suo padre, della sua figura e della sua musica, da parte del grande pubblico. Ha messo da parte l'idea che aveva da adolescente dell'artista D'Angelo e oggi è più orgoglioso che mai di mostrare al pubblico anche i lati più genuini del cantante, che viene spesso ripreso a casa, nella sua intimità, in pigiama, mentre mangia una pizza coi suoi numerosi fratelli. 
Nino. 18 giorni ha avuto la sua prima assoluta alla Mostra del Cinema di Venezia dove è stato accolto tra applausi scroscianti. Nino D'Angelo è rimasto colpito e commosso dall'affetto di un pubblico così diverso da quello dei suoi fan che ancora riempiono gli stadi per ascoltare i classici del suo repertorio. 
Il docufilm è nelle sale nazionali distribuito da Nexo Studios dal 20 novembre e ha avuto diverse anteprime, tra Roma e Napoli, tutte sold-out.

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