Alba Rohrwacher: "In Tre ciotole ho cercato la luce dentro il dolore di Michela Murgia"

Non era facile per Alba Rohrwacher affrontare questo ruolo, entrare in punta di piedi nell’universo emotivo di Michela Murgia, dare vita ad un personaggio che dal momento in cui scopre di essere malato, invece di sprofondare nella disperazione, abbraccia la vita, la luce, la gioia, la speranza. Il film della regista spagnola Isabel Coixet arriva al cinema portando con sé profonde riflessioni sul nostro stare al mondo, sulle relazioni che coltiviamo e sulle paure che dovremmo e potremmo superare. Tratto dall’ultimo libro di Michela Murgia, “Tre ciotole” è interpretato anche da Elio Germano, Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril e con Sarita Choudhury. Mantenendo intatto lo spirito, la fierezza e la dolcezza di una storia che al cinema diventa un unico racconto, la pellicola si apre con la rottura della relazione tra Marta ed Antonio , lei Professoressa di Educazione Fisica, lui Chef che ha appena aperto il suo primo ristorante. L’iniziale sofferenza di lei per la separazione si trasforma ben presto in qualcosa di più grande: una malattia che cambia completamente la sua prospettiva di vita e che proprio per questo trasforma il film in un inno all’amore e alla profondità delle relazioni umane. Ecco il racconto di Alba Rohrwacher. Dal dolore alla luce: l’eredità di Michela Murgia “Mi sembrava bellissimo poter raccontare qualcosa che da qualche parte riguardasse Michela Murgia anche perché leggendo la sceneggiatura ho capito fin da subito che nasceva dalla raccolta di racconti “Tre Ciotole” ma diventava comunque altro. Ho anche avuto timore perché sentivo che andavamo a toccare qualcosa di molto prezioso e contestualmente ho avvertito un forte senso di responsabilità perché ero stata chiamata e mi avevano cercata per questo progetto: sentivo che Isabel avrebbe avuto un approccio a questa storia molto simile al mio e cioè un approccio delicato, pieno di rispetto, di studio e di accoglienza nel rispetto di tutte le persone che conoscevano Michela . Alla fine, mi sono detta: “proviamo a cercare questo mondo, a muoverci trovando i passi che lei aveva fatto nei nostri”. La rappresentazione del dolore passa attraverso un inno alla vita. Me lo avevi anticipato quando ci eravamo incontrate sul set e l’ho ritrovato nel film “Si era la chiave di questa sceneggiatura e l’idea della regista era quella di dire che nel massimo del dolore si può accedere alla vita, ci si può liberare di tutto ciò che è prigionia, paranoia, paura e stare nell’ascolto profondo della realtà e delle persone che ci amano. È così che Marta si evolve verso la luce; invece di sprofondare nella tenebra si aggrappa alla luce diventando capace di parlare veramente agli altri e di guidarli in questa impresa che non è per niente facile. Tutti i personaggi del film, attraverso l’esperienza di Marta, imparano qualcosa, prima fra tutti Marta chiaramente perché vive la malattia in prima persona. Credo e spero che lo spettatore possa imparare qualcosa attraverso questo “viaggio emotivo”. Come hai lavorato con Elio Germano che intrepreta Antonio, il compagno che all’inizio del film ti lascia ma che troviamo per tutta la pellicola, uniti da un filo invisibile che non può spezzarsi “Elio è un compagno di lavoro che conosco da tantissimi anni e posso dire che siamo cresciuti anche insieme, sia dentro che fuori dal set. Il primo ruolo in cui ci siamo incontrati è stato “Mio fratello è figlio unico” di Daniele Luchetti del 2007 in cui tra l’altro interpretavo sua sorella. Lui è davvero un fratello per me, forse proprio per questo “battesimo” cinematografico ma soprattutto lo considero un fratello perché con lui mi sento completamente libera e riusciamo insieme ad essere dentro la scena allo stesso modo. È una persona a cui voglio molto bene”. Dal dolore alla luce: l’eredità di Michela Murgia “Trovo che “Tre ciotole” sia un film molto bello anche sulle relazioni inaspettate della vita. Imparo sempre tanto quando faccio dei lavori che mi coinvolgono e anche in questa occasione ho appreso molto sia dalla regista che da tutti gli altri attori. La lettura intima di questa storia si è trasformata in un personaggio a cui mi sento molto legata.”

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Denise Negri