La tenerezza di Carine Tardieu è un film avvolgente come un abbraccio

“L’attachement – La tenerezza” di Carine Tardieu, al cinema con No.Mad Entertainment e basato su “L’intimité” di Alice Ferney, non è solamente un film sull’essere genitori o su quello che vuol dire affrontare il lutto. È un film che va a fondo, che mette a nudo la fragilità dell’essere umano e che non si accontenta. È costruito sulle interazioni tra i personaggi e sul lavoro degli attori. La protagonista, Sandra, interpretata meravigliosamente da Valeria Bruni Tedeschi, è una libraia che vive da sola e che, dall’oggi al domani, si ritrova coinvolta nella crescita e nell’educazione del piccolo Elliott, interpretato da César Botti. Un dinamismo scandito dagli anni di Lucille Il film è ambientato in spazi precisi, quasi sempre al chiuso . Eppure riesce a conservare un dinamismo intenso, percepibile, scandito dagli anni della sorellina di Elliott, Lucille, che vengono segnati a schermo. Primo giorno, prima settimana, primo mese e così via, fino ai primi due anni di età. Elliott e Lucille hanno perso la madre e vivono con Alex, padre adottivo per il primo e padre biologico per la seconda, interpretato da Pio Marmaï. Non è un dramma familiare, “L’attachement”. Non nel vero senso della parola, almeno. È qualcosa di diverso. La forza dei dialoghi Innanzitutto è la storia di una donna che vede la propria vita sconvolta da qualcosa che non aveva minimamente previsto: bambini non suoi; bambini conosciuti per caso. E poi è una riflessione profonda su quello che vuol dire essere felici e imparare a convivere con il lutto. Alex finisce per prendere delle decisioni affrettate, spinto più dall’urgenza di non voler rimanere solo che da una reale convinzione. Elliott, il figlio, è brillante, incredibilmente sveglio per la sua età. E i dialoghi tra lui e Sandra sono una delle cose più belle dell’intero film. Bruni Tedeschi riesce a coinvolgere il piccolo Botti, a dare credibilità tanto alle sue reazioni quanto alle parole che gli dice. Non è chiaro quanto ci sia di improvvisazione e quanto, invece, sia ripreso fedelmente dalla scrittura. Una scrittura che non opprime La regia di Tardieu non è mai opprimente; non insiste sugli interpreti, ma lascia comunque che siano loro a trovare il loro spazio e, soprattutto, la dimensione entro cui muoversi. La camera indugia spesso sulle facce di Bruni Tedeschi e di Marmaï, soprattutto quando ci sono altri attori in scena con loro. Più che alle loro azioni, Tardieu è interessata al modo in cui accolgono quello che vedono e che sentono, al movimento impercettibile delle labbra e degli occhi, a questa morbidezza continua, estremamente naturale, delle posizioni e delle forme che assumono i corpi. Abbandonati a sé stessi, seduti, distesi, forzatamente in piedi. Stanchi, appesantiti, nervosi. Una fotografia del dolore e della gioia “L’attachement” cerca di infilarsi tra le pieghe della quotidianità, tra i piccoli gesti dei suoi protagonisti, e ci riesce. Quella che viene fuori è una fotografia attenta, delicatissima e mai – sottolineiamo: mai – approssimativa del dolore e della gioia. Le interpretazioni degli attori, a cominciare da quella di Valeria Bruni Tedeschi e di César Botti, sono straordinarie. Non si limitano, per così dire, a dare spessore al racconto. Vanno oltre. Creano una trama narrativa fitta, ricca di spunti, di elementi e di sfumature. Bruni Tedeschi è la faccia e il volto del film. Su questo ci sono pochi dubbi. Come fuma, come si muove per casa; il modo, veramente incredibile, in cui interagisce con Botti, che le restituisce ogni battuta, che la segue, che sa stare in scena senza risultare né finto né fuori luogo. Fare il massimo con il tempo che abbiamo “L’attachement” è un film di donne che diventano madri, di corpi che soffrono, di padri che restano soli e di figli che devono imparare rapidamente ad adattarsi . Il mondo della piccola borghesia, con le librerie, gli studi pediatrici, queste case non grandissime ma accoglienti, piene di legno e di mobili dai colori caldi, viene raccontato perfettamente da Tardieu. Ha un che di avvolgente, “L’attachement”. Come un abbraccio dopo una lunga giornata o lo sguardo attento di un amico che ci osserva mentre vomitiamo tutta la nostra disperazione. Non dice che la vita è bellissima e non dice nemmeno che le tragedie sono eccezioni, facili da evitare e da prevedere. “L’attachement”, al contrario, ci dice che è importante provare a fare il massimo con il tempo che abbiamo. Dobbiamo trovare la nostra felicità. O almeno dobbiamo essere abbastanza onesti con noi stessi da ammettere che non l’abbiamo ancora raggiunta. Perché è questo il nostro compito e la nostra responsabilità. Innanzitutto nei nostri confronti e poi nei confronti degli altri.

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La tenerezza di Carine Tardieu è un film avvolgente come un abbraccio

Gianmaria Tammaro