Un film fatto per Bene, il film manifesto di Maresco

“Un film fatto per Bene” di Franco Maresco, in sala in questi giorni con Lucky Red, è una sorta di manifesto: del cinema di Maresco, innanzitutto, ma pure di uno spaccato dell’Italia, della nostra società, del grande e del piccolo schermo, di quello che vuol dire provare a fare arte in un Paese dove ogni cosa, anche la più banale, richiede uno sforzo immane. “Un film fatto per Bene” mostra il fallimento di un altro progetto di Maresco: un film che doveva raccontare Carmelo Bene e il suo periodo a Palermo. Un film che cambia Velocemente, però, è diventato qualcos’altro. Vuoi perché a Maresco non andava più l’idea di proseguire con le riprese; vuoi per le difficoltà effettive, tra intemperie e limiti di budget, che sono sorte nel corso del tempo. E così quello davanti a cui ci troviamo è un film enorme, pieno di cose, di spunti e di voci. Un film a tratti schizofrenico e a tratti delirante. Dentro e fuori il set, dentro e fuori il bianco e nero della pellicola. Dentro e fuori, soprattutto, la testa, la coscienza e la visione di Maresco. Così surreale da trovare un senso Umberto Cantone, sceneggiatore del film insieme a Claudia Uzzo, Francesco Guttuso e allo stesso Maresco, è la nostra guida: lo seguiamo mentre si mette sulle tracce di Maresco per finire le riprese. Ed è tutto così assurdo e surreale da fare il giro: da trovare, cioè, una sua dimensione e un suo senso, da rimettersi in piedi proprio quando non sembra avere più spinta ed energia. “Un film fatto per Bene” è estremamente divertente. In alcuni momenti, anzi, è addirittura esilarante. E questo perché Maresco non cerca di forzare la narrazione per portarla dove vuole: si limita, per così dire, a catturare ciò che succede, a dargli una certa forma e a provare a fare il suo cinema senza però voler fare davvero il suo cinema. PARLA DI BENE PER PARLARE DELLA SUA CRISI ARTISTICA Accenna, abbozza, rincorre. Prima ha un’idea, poi un’altra. Poi torna indietro, sui suoi passi. Maresco è stanco, dice; non ce la fa più. Ogni volta che va sul set si sente male. E quindi se ne va, si ritira, si nasconde in un convento. Le discussioni che ha al telefono con Andrea Occhipinti, il produttore, fondatore di Lucky Red, sono state ricreate ad hoc per il film . Maresco parla di Carmelo Bene per parlare della crisi artistica e creativa che sta attraversando, per parlare ironicamente del cinema come porto sicuro per chiunque . Ed è feroce e severissimo con i suoi attori: li costringe senza pietà a piegarsi e a dissociarsi. Un film che parla anche di Maresco Ci sono delle scene pazzesche. Per esempio, quella in cui Antonio Rezza, vestito e truccato da Morte, faccia bianca e mantello nero, si mette a giocare a scacchi citando Bergman e “Il settimo sigillo”. Messo da parte Bene, Maresco parla anche di se stesso, di quello che ha fatto, della sua collaborazione con Daniele Ciprì, di “Cinico Tv”, delle randellate che ha dato più volte al piccolo e al grande schermo italiani. E poi le polemiche, le accuse, le manifestazioni per “Totò visse due volte”, la censura. Maresco è sempre stato Maresco e con buone probabilità continuerà a esserlo: non scansa gli ostacoli che si frappongono tra lui e la sua meta; ci si va a schiantare contro. Libero di essere e fare qualunque cosa “Un film fatto per Bene” è la quintessenza del suo cinema e del suo percorso, proprio perché li riprende, li mostra e li inserisce all’interno di un contesto particolare, dove inizio e fine coincidono, dove le intuizioni geniali sono solo un sinonimo di fallimento e dove niente e nessuno vengono capiti e rispettati. Il cinema in Italia sta così, dice Maresco: sospeso, inconsistente, pieno di contraddizioni e assurdità. Non bastano nemmeno i miracoli per risollevarlo. “Un film fatto per Bene” è costruito sugli eccessi, sui cortocircuiti narrativi; sulle parole di Maresco e dei suoi attori, sulle sfuriate che ha con i produttori e con i suoi collaboratori, sugli scherzi, sulle assurdità, su tutto quello che ha fatto e detto fino a questo punto. E va, in qualche modo, oltre. Un po’ documentario, un po’ finzione. Prima diario, poi completamente indipendente. Infine libero di essere e di fare qualunque cosa. Alleluja.

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Un film fatto per Bene, il film manifesto di Maresco

Gianmaria Tammaro