Tutti i vincitori della Mostra del Cinema di Venezia 2025, da Jim Jarmusch a Toni Servillo

Cinema
Camilla Sernagiotto

Camilla Sernagiotto

©Getty

Introduzione

La Giuria di Venezia 82, presieduta dal regista e sceneggiatore statunitense Alexander Payne e composta da Stéphane Brizé (regista e sceneggiatore francese), Maura Delpero (regista e sceneggiatrice italiana), Cristian Mungiu (scrittore, regista e produttore rumeno), Mohammad Rasoulof (regista, scrittore e produttore iraniano), Fernanda Torres (attrice, scrittrice e sceneggiatrice brasiliana) e Zhao Tao (attrice cinese), dopo aver visionato i 21 film in competizione all’edizione del 2025 della Mostra del Cinema di Venezia ha deciso di assegnare i seguenti premi.

 

Trovate di seguito tutti i premi nell’ambito dell’82ma Mostra del Cinema di Venezia. 

Quello che devi sapere

Leone d’oro per il miglior film a Father Mother Sister Brother

Il prestigioso Leone d’oro per il miglior film va a Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch (USA, Irlanda, Francia).

 

Father Mother Sister Brother segna il ritorno di Jim Jarmusch con un film intimo e corale, costruito in tre atti. Ambientato tra Stati Uniti, Irlanda e Francia, il trittico esplora con sguardo delicato e senza giudizi i legami complessi tra genitori e figli adulti e tra fratelli, alternando ironia e malinconia. Con un cast stellare che include Tom Waits, Adam Driver, Charlotte Rampling e Cate Blanchett, la pellicola conferma lo stile contemplativo del regista, capace di trasformare piccoli dettagli quotidiani in poesia visiva.
"Father Mother Sister Brother è una sorta di anti-film d’azione, il cui stile discreto e pacato è attentamente costruito per consentire l’accumularsi di piccoli dettagli, quasi come fiori disposti con cura in tre delicate composizioni”, queste le parole del regista statunitense Jim Jarmusch. “Le collaborazioni con i magistrali direttori della fotografia Frederick Elmes e Yorick Le Saux, il brillante montatore Affonso Gonçalves e altri collaboratori di lunga data elevano a una forma di cinema puro ciò che è iniziato come parole su carta”, conclude Jarmusch. 

Leone d’oro per il miglior film a Father Mother Sister Brother

Leone d’argento - Gran Premio della Giuria a The Voice of Hind Rajab

Il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria va al film The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania (Tunisia, Francia).
Dopo aver vinto il Leoncino d’Oro e premi Unicef e Croce Rossa (assegnati nella giornata di ieri, venerdì 5 settembre), oggi sabato 6 settembre la pellicola che racconta la storia reale di una bambina di sei anni intrappolata in un’auto sotto attacco a Gaza si aggiudica anche il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria. 

Il nuovo film della regista tunisina Kaouther Ben Hania, prodotto da Mime Films e Tanit Films insieme a James Wilson e Odessa Rae, in 90 minuti di intensa tensione ricostruisce la vicenda reale di Hind Rajab, bambina intrappolata in un’automobile a Gaza, la cui voce disperata, registrata dai volontari della Croce Rossa, diventa il cuore narrativo del film. Con un approccio rigoroso e una messa in scena essenziale, Ben Hania sceglie di lasciare la violenza fuori campo per concentrarsi su attesa, paura e impotenza, trasformando una tragedia individuale in testimonianza universale. Sostenuta dalle interpretazioni di Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury e Amer Hlehel, e da una squadra tecnica di alto livello, la regista firma un’opera che interroga la memoria collettiva e riafferma il potere del cinema come strumento di resistenza e di ascolto. Alla première del film - mercoledì 3 settembre - sono seguiti 24 minuti di applausi. Il pubblico ha iniziato a gridare “Palestina libera”. L’attore Motaz Malhees ha poi esposto una bandiera palestinese. Anche Joaquin Phoenix e Rooney Mara, che hanno collaborato come produttori esecutivi, hanno assistito all’anteprima, dove il cast ha mostrato una foto della bambina uccisa protagonista della pellicola. 

Leone d’argento - Gran Premio della Giuria a The Voice of Hind Rajab
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Leone d’argento - Premio per la migliore regia a Benny Safdie

A vincere il Leone d’argento - Premio per la migliore regia è Benny Safdie per il film The Smashing Machine (Usa). Safdie, qui autore di regia, sceneggiatura e montaggio, ha portato in Concorso una pellicola che racconta l’ascesa e le contraddizioni di Mark Kerr, leggenda dell’UFC e delle arti marziali miste, interpretato da Dwayne Johnson in un ruolo che ne mette in luce non solo la potenza fisica, ma anche le fragilità intime. Al suo fianco Emily Blunt dà volto a Dawn Staples, compagna e specchio delle sue vulnerabilità. 
Più che un biopic sportivo, l’opera si configura come un ritratto umano complesso, in cui Safdie esplora il peso della fama e la tensione tra dominio sul ring e fragilità fuori dall’arena, attraverso un cinema fatto di empatia radicale e immersione emotiva.
“Volevamo identificarci con questi personaggi al punto di sentirli nostri”, ha affermato Benny Safdie. “Ho iniziato a chiamare quest’approccio una sorta di empatia radicale, innanzitutto perché l’empatia dovrebbe essere celebrata e poi perché volevo lasciare negli spettatori un ricordo indelebile di questo film”.

Leone d’argento - Premio per la migliore regia a Benny Safdie

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Xin Zhilei

La Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile va a Xin Zhilei per il suo ruolo nel film Ri gua zhong tian (The sun rises on us all), produzione della Cina firmata dal regista cinese Cai Shangjun. Un dramma intenso e visionario, sostenuto da una produzione internazionale e da un cast di primo piano. Il film racconta una storia di sacrificio e colpa che attraversa decenni: un uomo che si assume la responsabilità di un crimine commesso dalla donna amata, e una donna che, incapace di restituire quel gesto estremo, sceglie la fuga. Il ricongiungimento anni dopo mette in luce un passato impossibile da cancellare, tra rimorsi irrisolti e la ricerca di una redenzione che si rivela inafferrabile.
La pellicola si configura come un ritratto struggente di passioni ferite e destini segnati, un film che racconta in maniera mirabile i dilemmi morali dell’animo umano.

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Xin Zhilei
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Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile Toni Servillo

A vincere la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è Toni Servillo per il suo lavoro nel film La Grazia di Paolo Sorrentino (Italia). 
L’attore campano interpreta qui Mariano De Santis, Presidente della Repubblica immaginario. È un cattolico e vedovo, chiamato a concludere il suo mandato affrontando due richieste di grazia che mettono a dura prova le sue convinzioni morali. In bilico tra dovere istituzionale e fragilità personale, l’uomo riflette sul senso della giustizia, del perdono e della responsabilità, in un racconto che unisce rigore politico e intimità familiare. Sorrentino e il suo attore con cui ormai la collaborazione è ultra consolidata costruiscono un film che esplora il valore del dubbio come esercizio di coscienza, rievocando atmosfere sospese tra realismo e poesia e ribadendo la centralità dei dilemmi morali nel cinema di entrambi, regista e attore.

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile Toni Servillo

Premio per la migliore sceneggiatura per À pied d’œuvre

A essere insigniti del Premio per la migliore sceneggiatura sono Valérie Donzelli e Gilles Marchand per il film À pied d’œuvre (At Work) diretto da Valérie Donzelli (Francia). 
La pellicola premiata per la sceneggiatura propone un ritratto intimo e radicale di un artista che sceglie la scrittura come via di libertà, abbandonando il successo fotografico per una vita segnata dalla precarietà. Interpretato da Bastien Bouillon, il protagonista attraversa un percorso fatto di rinunce, disciplina e ostinata ricerca di autenticità, in una narrazione che mescola autoironia e lucidità. Un film che restituisce una riflessione universale sul senso del creare e sul prezzo da pagare per inseguire la propria vocazione. Un’opera sobria e potente che invita lo spettatore a interrogarsi sul valore reale del successo.

Premio per la migliore sceneggiatura per À pied d’œuvre
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Premio speciale della giuria a Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi

È Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi (Italia) a vincere il Premio speciale della giuria. La pellicola segna il ritorno di Rosi con un documentario in bianco e nero che indaga il legame profondo tra memoria, storia e quotidianità nei territori del Golfo di Napoli. Tra fumarole dei Campi Flegrei, rovine sommerse e le tracce di Pompei ed Ercolano, il regista compone un mosaico di vite: archeologi giapponesi che da vent’anni scavano Villa Augustea, devoti che affollano il santuario della Madonna dell’Arco, bambini seguiti da un maestro di strada, vigili del fuoco che affrontano le paure della comunità, fino alle navi siriane che scaricano grano ucraino a Torre Annunziata. Con il suo sguardo sospeso tra realismo e poesia, Gianfranco Rosi trasforma un paesaggio fragile e millenario in una macchina del tempo, restituendo un ritratto vibrante di un luogo in cui la Storia e il presente si incontrano sotto le nuvole del Vesuvio.

Premio speciale della giuria a Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi

Premio Marcello Mastroianni a un attore emergente a Luna Wedler

Il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente è assegnato a Luna Wedler per la sua interpretazione nel film Silent Friend di Ildikó Enyedi (Germania, Ungheria, Francia). 

Il nuovo film della regista ungherese Enyedi intreccia tre epoche e tre vite diverse attorno a un maestoso ginkgo biloba nel cuore di un antico giardino botanico tedesco: nel 1908, la prima donna ammessa all’università scopre i segreti dell’universo attraverso la fotografia delle piante; nel 1972, una giovane studentessa vive un cambiamento profondo osservando un semplice geranio; nel 2020, un neuroscienziato di Hong Kong esplora la mente dei neonati con esperimenti che coinvolgono l’albero secolare. Luna Wedler è, insieme con Tony Leung Chiu-wai, tra gli interpreti principali. La pellicola esplora i delicati e goffi tentativi dell’essere umano di stabilire un legame con la natura, sottolineando il mistero e la persistenza di ciò che esiste al di fuori della nostra percezione. La regista definisce il film come un omaggio alla curiosità umana e alla ricerca scientifica, un invito a riconoscere il nostro posto all’interno del mondo piuttosto che sopra di esso.

Premio Marcello Mastroianni a un attore emergente a Luna Wedler
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Il Leone del Futuro va a Short Summer

Il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima ‘Luigi De Laurentiis’ è stato assegnato a Short Summer, del regista Nastia Korkia, riconoscendo la sua opera prima come un debutto promettente e di grande impatto all’interno della Mostra del Cinema di Venezia.

Short Summer racconta l’infanzia sospesa di Katya, otto anni, trascorsa tra le campagne russe dei nonni mentre sullo sfondo una guerra invisibile ma costante plasma ogni istante della vita quotidiana. Con sceneggiatura firmata insieme a Mikhail Bushkov, il film tedesco-francese-serbo del 2025 (101’, colore) esplora la percezione della violenza attraverso i piccoli dettagli: discorsi sussurrati, notizie in televisione, minacce appena percepite. Korkia descrive il suo lavoro come «una capsula del tempo» che conserva le luci e le ombre dell’infanzia, senza moralizzare, ma osservando la negazione, l’impotenza e il coraggio silenzioso necessari per affrontare la realtà.

La regista, di origine russa e residente tra Germania e Francia, Nastia Korkia torna a interrogarsi sul rapporto tra memoria, società e futuro, dopo il successo del documentario GES-2, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, e le sue opere proiettate in festival internazionali come IDFA, Berlino, DOK Leipzig, True/False e Sheffield DocFest.

Il Premio degli Spettatori va a Calle Malaga

Il Premio degli Spettatori – Armani Beauty è stato vinto da Calle Malaga, diretto da Maryam Touzani. Il riconoscimento conferma il gradimento del pubblico verso il film, evidenziando il suo fascino e la capacità di coinvolgere gli spettatori presenti a Venezia Spotlight.

 

Con il suo primo lungometraggio ambientato a Tangeri, Touzani porta sul grande schermo una storia di resistenza, memoria e riscoperta di sé. Calle Málaga racconta la vita di María Ángeles, una settantanovenne spagnola che vede la propria routine quotidiana sconvolta dall’arrivo della figlia, decisa a vendere l’appartamento di famiglia. Determinata a non lasciare la casa che ha sempre considerato sua, María Ángeles intraprende una battaglia personale che la porta a riscoprire l’amore e la sensualità in età avanzata. La regista, ispirata dai ricordi della nonna spagnola vissuta a Tangeri, esplora temi universali come il legame con le proprie radici e la libertà di invecchiare senza compromessi. Girato in Marocco con un cast internazionale, tra cui Carmen Maura e Marta Etura, il film mescola spagnolo e darija, celebrando la multiculturalità della città e offrendo uno sguardo sensibile e provocatorio sull’invecchiamento, la memoria e il desiderio di vivere appieno, indipendentemente dall’età.

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Il Premio Orizzonti per il Miglior Film va a En el camino

Il Premio Orizzonti per il Miglior Film è stato assegnato a En el camino, diretto da David Pablos. Il film si distingue nella sezione Orizzonti per la sua qualità artistica e narrativa, confermandosi una delle opere più significative del concorso.

 

Pablos porta sullo schermo una storia intensa e delicata con En el camino. Il film segue Veneno, un giovane vagabondo ribelle, e Muñeco, un camionista duro e riservato, che insieme attraversano le autostrade del nord del Messico. Tra viaggi notturni e soste nelle tavole calde, tra i due nasce un legame inaspettato che mette a confronto desideri, paure e traumi del passato, minacciando la loro sicurezza. Con una narrazione che esplora le tensioni tra mascolinità imposta e vulnerabilità emotiva, Pablos racconta un rapporto romantico tra uomini in un contesto ostile e ipermascolinizzato, scavando nei limiti e nelle fragilità dei suoi protagonisti.

 

Girato interamente in spagnolo, il film combina fotografia intensa di Ximena Amann e una colonna sonora evocativa, offrendo uno sguardo sensibile e provocatorio sulla costruzione della mascolinità e sulle possibilità di intimità in contesti difficili.

Il Premio Orizzonti per la Miglior Regia va a Anuparna Roy

Il riconoscimento per la Miglior Regia nella sezione Orizzonti è stato attribuito a Anuparna Roy per Songs of the Forgotten Trees, sottolineando l’abilità del regista nel costruire un film dalla regia curata e coinvolgente.

 

Roy firma con Songs of Forgotten Trees un delicato ritratto di resilienza femminile nel cuore pulsante di Mumbai. Il film segue Thooya, migrante e aspirante attrice che lavora segretamente come prostituta part-time, e Swetha, impiegata di un call center e anch’essa migrante, le cui vite apparentemente distanti si intrecciano quando condividono lo stesso appartamento.

 

Tra silenzi, gesti di cura e momenti di intimità non romantica, emerge una connessione fragile ma profonda, messa alla prova dai desideri e dalle ferite del passato. Ispirata dai ricordi di donne sopravvissute a sistemi che cercano di cancellarle, Roy racconta con sensibilità storie di invisibilità, lotta quotidiana e forza silenziosa, evitando giudizi e metafore, e restituendo spazio narrativo a vite che la città raramente nota. Girato in hindi con una fotografia intensa di Debjit Samanta, il film esplora la sopravvivenza e l’individualità femminile con una delicatezza potente e partecipata.

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Il Premio Speciale della Giuria Orizzonti va a Harà Watan – Last Land

Il Premio Speciale della Giuria nella sezione Orizzonti è stato conferito a Harà Watan – Last Land, di Akio Fujimoto, premiando il film per la sua originalità e il valore artistico riconosciuto dalla giuria.

Con Harà Watan, Fujimoto porta sullo schermo una storia toccante e necessaria, raccontando il viaggio di Shafi, quattro anni, e della sorella Somira, nove, che lasciano un campo profughi Rohingya in Bangladesh alla ricerca di un luogo sicuro in Malesia. Girato in rohigya con interpreti non professionisti tra cui i due bambini protagonisti, il film mescola realtà e fantasia per raccontare le difficoltà quotidiane, lo sfruttamento e le minacce che accompagnano chi è costretto a vivere senza cittadinanza.

 

Attraverso la collaborazione tra Giappone, Malesia e alcuni paesi europei, Fujimoto offre uno sguardo autentico e empatico su un popolo spesso invisibile, mettendo in scena resilienza, paura e speranza attraverso gli occhi dei più piccoli. La fotografia di Yoshio Kitagawa e la colonna sonora di Ernst Reijseger rafforzano la forza emotiva del racconto, trasformando il cinema in un ponte di comprensione tra culture e realtà lontane, rendendo vicini ai nostri occhi i Rohingya e la loro ricerca di un luogo da chiamare casa.

Il Premio Orizzonti per la Miglior Attrice va a Benedetta Porcaroli

Benedetta Porcaroli si aggiudica il Premio Orizzonti per la Miglior Attrice grazie alla sua interpretazione in Il rapimento di Arabella di Carolina Cavalli, distinguendosi per la sua capacità di rendere vivo il personaggio sul grande schermo.

Con Il rapimento di Arabella, Cavalli firma un’intensa riflessione sulla nostalgia e sul desiderio di riscatto personale, offrendo un film riuscitissimo anche grazie all'interpretazione (di fatti premiata) di Porcaroli nei panni di Holly, ventottenne insoddisfatta della propria esistenza. Holly incontra Arabella, una bambina che sembra incarnare la se stessa perduta, e decide di seguirla in una fuga simbolica che la aiuta a confrontarsi con rimpianti e aspettative mancate.

 

Pur evocando i toni di una commedia, il film esplora con delicatezza ansie contemporanee e inquietudini generazionali, offrendo uno sguardo empatico sulle paure di chi sente la vita sempre altrove. Girato in Italia con un cast internazionale che, oltre alla sopracitata Benedetta Porcaroli, include la star di Hollywood Chris Pine, il film combina fotografia di Lorenzo Levrini e musica di Thomas Moked Blum e Noaz Deshe, creando un equilibrio tra leggerezza e introspezione, e trasformando una storia apparentemente semplice in un viaggio emotivo verso l’accettazione di sé e della propria realtà.

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Il Premio Orizzonti per il Miglior Attore va a Giacomo Covi

Giacomo Covi ha vinto il Premio Orizzonti per il Miglior Attore per il film Un anno di scuola di Laura Samani, ricevendo il riconoscimento per la sua interpretazione intensa e convincente.

La regista Samani porta sullo schermo, con Un anno di scuola, un ritratto intenso dell’adolescenza e delle dinamiche di genere. Ambientato a Trieste nel 2007, il film segue Fred, diciottenne svedese che arriva come unica ragazza in una classe di soli ragazzi, catalizzando l’attenzione di tre compagni legati da un’amicizia di lunga data. Tra desideri nascosti, conflitti di gruppo e la necessità di trovare il proprio posto, Fred deve confrontarsi con le pressioni invisibili imposte dal contesto maschile.

 

Basato sul romanzo di Giani Stuparich e interpretato da Stella Wendick, il premiato Giacomo Covi e Pietro Giustolisi, il film esplora con delicatezza e realismo le asimmetrie tra corpi maschili e femminili, raccontando il delicato equilibrio tra appartenenza, identità e desiderio di autonomia.

La fotografia di Inès Tabarin e la sceneggiatura di Samani ed Elisa Dondi creano un racconto intenso e partecipato, in cui la crescita femminile diventa un viaggio di scoperta e resistenza.

 

Il Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura va a Hiedra

Il Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura è stato assegnato a Hiedra, di Ana Cristina Barragan, sottolineando la forza narrativa e l’originalità della scrittura del film.

Con Hiedra, Ana Cristina Barragán (che firma sia la regia sia la sceneggiatura) firma un racconto delicato e inquietante sull’assenza, le ferite infantili e la ricerca di legami impossibili. La trentenne Azucena osserva gli adolescenti di una casa famiglia, cercando frammenti del proprio passato e concentrandosi su Julio, diciassette anni, in un percorso emotivo che li conduce fino alle rocce di un vulcano. Girato con attori non professionisti, il film esplora la tensione tra mondi sociali distanti e il desiderio irrisolto dei protagonisti, mescolando intimità, tenerezza e ambiguità. La regista costruisce un’atmosfera silenziosa e sensoriale, dove gesti minuti e corpi goffi rivelano ferite profonde e emozioni represse, trasformando il viaggio dei due personaggi in una scoperta di sé lontana dai parametri della normalità. Con fotografia di Adrian Durazo e una colonna sonora di Claudia Baulies, Hiedra è un’esperienza cinematografica intensa, sospesa tra memoria e desiderio, che spinge lo spettatore a confrontarsi con ciò che rimane nascosto sotto la superficie della vita quotidiana.

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Premio Orizzonti Miglior Cortometraggio a Utan Kelly (Without Kelly)

Il Premio Orizzonti per il Miglior Cortometraggio è stato conferito a Utan Kelly – Without Kelly, di Lovisa Sirén, valorizzando la qualità e la creatività della produzione breve.

Con Utan Kelly (Without Kelly), Lovisa Sirén racconta con intensità e delicatezza il dramma di Esther, giovane madre costretta a lasciare la figlia al padre e a confrontarsi con un dolore improvviso e fisicamente avvertito. Girato in Svezia in soli 15 minuti, il cortometraggio esplora il caos emotivo, il desiderio di vicinanza e la difficoltà di mantenere un senso di sé dopo una separazione. Attraverso una narrazione concentrata sulla corporeità e sui gesti minimi, Sirén mette in scena la tensione tra amore, dipendenza e desiderio, offrendo uno sguardo sensibile sulle esigenze complesse del corpo e dell’animo femminile. La fotografia di Christine Leuhusen e la colonna sonora di Lisa Rydberg contribuiscono a creare un’atmosfera intima e vibrante, trasformando un momento di perdita in un’esperienza universale di connessione e vulnerabilità.

Il Miglior Documentario sul Cinema va a Mata Hari

Il riconoscimento per il Miglior Documentario sul Cinema nella sezione Venezia Classici è stato assegnato a Mata Hari, di Joe Beshenkovsky e James A. Smith, premiando l’opera per il suo contributo alla memoria cinematografica.

 

Mata Hari di Joe Beshenkovsky e James A. Smith ricostruisce l’incredibile storia del progetto incompiuto di David Carradine. Nel 1975 l’attore, icona televisiva e cinematografica, decide di girare con la figlia Calista un film epico sulla celebre spia olandese, immaginando di seguirne la crescita nell’arco di quindici anni. Il documentario intreccia i frammenti di quell’opera mai conclusa con la storia reale del loro rapporto, segnato da tentativi di riconciliazione, silenzi e riflessi tragici.

 

Attraverso materiali d’archivio, giornalieri e testimonianze, il film svela come la relazione tra padre e figlia finisse per rispecchiare i personaggi che interpretavano, trasformando un esperimento artistico in un ritratto intimo e commovente. Con le musiche di Katya Richardson e la fotografia di Karina Silva e Stefanos Kafatos, Mata Hari diventa non solo un viaggio nel cinema perduto, ma anche una riflessione universale sulla fragilità e la forza dei legami familiari.

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Il Miglior Film Restaurato va a Bashù, Il piccolo straniero

Il Premio per il Miglior Film Restaurato della sezione Venezia Classici è andato a Bashù, Il piccolo straniero, di Bahram Beyzaie, celebrando l’importanza della conservazione del cinema e della sua fruizione per le nuove generazioni.

Titolo originale Bashù, gharibeye koochak, è un film uscito nel 1989 e diretto da Beyzaie che è considerato uno dei capolavori del cinema iraniano. Il film racconta la storia del giovane Bashù, sopravvissuto a un bombardamento che ha distrutto la sua famiglia, costretto a fuggire dall’Iran meridionale verso un villaggio del nord. Lì, straniero per lingua e colore della pelle, trova accoglienza presso una madre di due figli, dando vita a un legame fragile e trasformativo. Acclamato dalla critica per la sua perfezione formale e narrativa, il film intreccia riflessioni universali su guerra, razzismo e resilienza con un’intensa dimensione umana, resa viva dalla fotografia di Firouz Malakzadeh e dalla sensibilità poetica di Beyzaie. Restaurato da Roashana Studios con il supporto di KANOON e presentato da mk2 Films, Bashù, il piccolo straniero riafferma la sua forza come testimonianza del potere dell’amore di superare confini culturali, linguistici e sociali.

Gran Premio Venice Immersive a The Clouds Are Two Thousand Meters Up

Il Gran Premio della sezione Venice Immersive è stato vinto da The Clouds Are Two Thousand Meters Up, di Singing Chen, riconoscendo l’innovazione e l’impatto immersivo dell’opera.

 

The Clouds Are Two Thousand Meters Up porta il pubblico dentro un’esperienza VR di 62 minuti, intima e visionaria. Ispirato al racconto omonimo di Wu Ming-Yi, il progetto segue Guan, che dopo la morte improvvisa della moglie trova il suo romanzo incompiuto e si avventura in un percorso onirico che intreccia memoria personale, foreste avvolte nella nebbia e i miti d’origine del popolo Rukai, discendenti del raro leopardo nebuloso.

Attraverso un’esplorazione libera e solitaria, l’opera fonde letteratura e tecnologia per trasformare il lutto in un viaggio emotivo e simbolico, che dialoga con le radici indigene e riflette sulla capacità dell’arte di connettere mondi interiori e collettivi.

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Premio Speciale della Giuria Venice Immersive:Less than 5gr of Saffron

Il Premio Speciale della Giuria nella sezione Venice Immersive è stato assegnato a Less than 5gr of Saffron, di Négar Motevalymeidanshah, premiando la creatività e la sperimentazione del progetto.

 

Si tratta di un corto VR (7’, Francia) che racconta senza dialoghi la storia di Golnaz, giovane migrante iraniana a Berlino. Una sera, stremata dal lavoro, decide di concedersi un lusso che profuma di casa: un po’ di zafferano per cucinare il riso come un tempo. Ma quel gesto quotidiano, carico di nostalgia, la riporta bruscamente al trauma che ha segnato la sua vita: il naufragio in cui ha perso la famiglia. Attraverso un linguaggio immersivo e sensoriale, l’opera trasforma un atto domestico universale in una potente esperienza di memoria e lutto, spingendo lo spettatore a confrontarsi con l’umanità dietro le statistiche della migrazione.

Il Premio per la Realizzazione Venice Immersive va a A Long Goodbye

Il Premio per la Realizzazione nella sezione Venice Immersive è stato conferito a A Long Goodbye, di Kate Voet e Victor Maes, valorizzando la qualità tecnica e la cura artistica dell’opera.

Il lavoro in realtà virtuale di Kate Voet e Victor Maes (35’, Belgio/Lussemburgo/Paesi Bassi) ci porta nel mondo interiore di Ida, una pianista settantaduenne affetta da demenza. Attraverso un’esperienza animata e interattiva, lo spettatore veste i suoi panni: l’appartamento inizialmente vuoto si anima poco a poco grazie agli oggetti e alle registrazioni lasciate dal marito Daniel, restituendo frammenti di ricordi e momenti condivisi.

 

La delicatezza delle immagini e la colonna sonora di Joep Beving costruiscono un racconto poetico che alterna nostalgia e speranza, mettendo in luce non solo la fragilità di Ida ma anche la resilienza del legame con Daniel. A Long Goodbye è un’esperienza intima che trasforma la malattia in un atto di amore e memoria condivisa.

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