Elisa, tra colpa, perdono, delitto, castigo. Recensione del film di Leonardo Di Costanzo

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Con Elisa, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 82, Leonardo Di Costanzo affronta il lato oscuro dell’animo umano. Barbara Ronchi guida un cast con Roschdy Zem, Diego Ribon e Valeria Golino in un dramma ispirato al saggio dei criminologi Ceretti e Natali Io volevo ucciderla. Un film che mette in scena la tensione tra colpa e perdono, vittime e carnefici, chiedendo allo spettatore di riconoscere la parte violenta che abita in ognuno di noi

Leonardo Di Costanzo torna a Venezia dopo il successo di Ariaferma con un film che scava ancora più a fondo nelle pieghe dell’animo umano. Elisa, in concorso ufficiale alla Mostra 82 (DIRETTA), è un’opera che rifiuta semplificazioni e giudizi netti, scegliendo invece la complessità, l’ambiguità, il dolore che non si lascia ridurre a formule.

Liberamente ispirato al saggio Io volevo ucciderla dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, il film mette in scena il difficile incontro tra chi ha compiuto il male e chi lo ha subito. Non per assolvere o condannare, ma per aprire uno spazio di comprensione, dove la giustizia non è solo tribunale, ma soprattutto confronto con la parte violenta che abita in ciascuno di noi.

La storia

Elisa, trentacinque anni, è in carcere da dieci, condannata per avere ucciso la sorella maggiore e averne bruciato il cadavere senza apparenti motivi. Dice di ricordare poco, come se avesse alzato un velo di silenzio tra sé e il passato. Quando incontra il criminologo Alaoui e partecipa alle sue ricerche, i ricordi iniziano a riaffiorare: il dialogo diventa inesorabile, e nel dolore di accettare la sua colpa Elisa intravede, forse, un primo passo verso la redenzione.

Il film si apre e si chiude con una passeggiata: stesso gesto, ma atmosfere e consapevolezze diverse. È il percorso interiore che trasforma lo sguardo. Con il terrore che il senso di inadeguatezza e la rabbia possano sempre tornare, Elisa si misura con l’impossibilità di cancellare il male, ma anche con il bisogno di non lasciarsene travolgere.

Approfondimento

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La voce del regista

Alla conferenza stampa, Di Costanzo ha dichiarato: «Se Ariaferma si concentrava sulle relazioni in carcere, Elisa è la storia di un percorso interiore, quello di una donna che ha compiuto un atto di estrema violenza. Oscilliamo tra la comprensione e il rifiuto, tra la freddezza e la sofferenza. È un lavoro di consapevolezza che Elisa compie con il criminologo».

Il regista ha anche voluto aprire l’incontro leggendo una lettera a nome del cast e della crew, chiedendo la fine del genocidio a Gaza, il riconoscimento dello Stato di Palestina e sostenendo la Global Sumud Flotilla: un gesto politico che lega l’etica del film al presente del mondo.

Barbara Ronchi e la forza della fragilità

Barbara Ronchi ha raccontato di come il personaggio sia cresciuto attraverso prove e confronti continui: «All’inizio sembra che Elisa abbia solo il bisogno narcisistico di parlare di sé, come se non lo facesse da anni per il senso di colpa che sente. Poi capisce che deve indagare profondamente chi è, per assumersi la responsabilità e tornare nella società. Ma ciò che la spaventa davvero è la realtà fuori dal carcere».

La sua interpretazione, intensa e misurata, rende palpabile il conflitto tra desiderio di rinascita e peso del dolore. È il cuore pulsante del film, la lente attraverso cui lo spettatore si confronta con domande scomode e necessarie.

l padre e la pietas

Diego Ribon, che interpreta il padre di Elisa, ha definito il suo gesto «rivoluzionario»: porgere una mano alla figlia assassina, immaginando per lei un futuro. «La società vuole il mostro in galera e la chiave buttata via – ha spiegato – invece il padre sceglie di non abbandonarla. Ho discusso con Leonardo e Barbara di odio, rancore, pietas. Tutto questo è confluito nel mio personaggio».

Il dolore secondo Valeria Golino

Valeria Golino non veste i panni della madre di Elisa, ma di una madre ferita per sempre da un lutto incomprensibile: il figlio ucciso da una banda di ragazzi per futili motivi. È una donna che appare distratta, consumata da un dolore mai elaborato, e quei capelli biondi mal tinti diventano un segno esteriore di una ferita che non si rimargina. La incontriamo dapprima alla conferenza del professor Alaoui, poi durante una cena, quando confessa di aver tentato un gesto disperato: recarsi nel quartiere in cui vivono i ragazzi che le hanno tolto il figlio, quasi per cercare di penetrare l’ambiente che aveva generato la sua perdita. Ma quell’esperienza non le ha portato alcuna luce, nessun conforto. Solo un ulteriore spaesamento, la certezza che conoscere i luoghi e le vite dei carnefici non può cancellare il vuoto della perdita.

Con la sua interpretazione, Golino restituisce al film il volto della vittima che non trova pace, la voce di chi non riesce a trasformare il dolore in conoscenza. È lei a riportare la vicenda alle domande più radicali: è giusto cercare di comprendere chi ha compiuto il male, se questo significa rischiare di dimenticare chi lo ha subito? Il suo personaggio diventa così un contrappunto etico e struggente, un corpo v

Lo sguardo del criminologo

Roschdy Zem dà volto al professor Alaoui: «Le nostre menti non erano formattate per capire un criminale, ma un criminologo deve andare alla ricerca dell’umanità che c’è nel criminale. Elisa è una donna normale, ordinaria, ed è questo che fa paura: possiamo rivederci in lei». Il suo personaggio porta in scena un’altra grammatica, che non condanna né assolve, ma cerca di comprendere i processi invisibili dietro un atto estremo.

L’estetica della sottrazione

La fotografia di Luca Bigazzi costruisce un universo visivo fatto di spazi chiusi e luci che filtrano a fatica. I corridoi e le stanze diventano specchi della claustrofobia interiore di Elisa. Il montaggio di Carlotta Cristiani segue questa logica: tempi dilatati, sospensioni, scarti improvvisi. È un cinema che non concede scorciatoie, che costringe lo spettatore a rimanere dentro le crepe dell’anima.

Guardare l’oscurità senza distogliere lo sguardo

 

Elisa non offre pacificazioni né catarsi, ma un confronto radicale con la violenza che ci abita. Di Costanzo realizza un film adulto, essenziale e potente, che unisce rigore formale e profondità etica. Le parole degli attori e del regista in conferenza stampa lo confermano: non è un racconto di redenzione, ma un’indagine sulla possibilità di guardare in faccia il male senza smettere di cercare un barlume di comprensione. Con questo film, Di Costanzo conferma la sua statura internazionale e la capacità di interrogare lo spettatore sul terreno più fragile e più urgente: quello della coscienza.

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