Jay Kelly, Clooney tra verità e finzione. La recensione del film in concorso a Venezia
CinemaNoah Baumbach porta in concorso a Venezia 82 Jay Kelly, ritratto metacinematografico che vede George Clooney interpretare una star alle prese con la propria identità. Tra commedia e malinconia, con Adam Sandler, Laura Dern, Billy Crudup e Patrick Wilson, il film riflette sul confine tra vita e performance, sull’amore e i rimpianti di un divo allo specchio. In arrivo su Netflix dal 5 dicembre 2025 (visibile anche su Sky Q, Sky Glass e Now tramite la app Smart Stick)
“Essere se stessi è un accidenti di responsabilità. È molto più facile essere qualcun altro o nessuno”. Con la voce di Sylvia Plath, Jay Kelly si apre già come un dilemma esistenziale. Noah Baumbach, alla sua prima volta in concorso a Venezia con un film su misura per George Clooney, trasforma questa frase in una bussola narrativa: un attore che deve interpretare il ruolo più difficile, quello della propria vita.
Clooney davanti allo specchio
Jay Kelly è una leggenda del cinema, un divo che ha conquistato schermi e cuori. Ma dietro lo scintillio resta l’uomo, fragile, pieno di rimpianti. Clooney interpreta un suo alter ego che non teme la vulnerabilità: davanti allo specchio scandisce i nomi dei grandi divi – Clark Gable, Cary Grant, Robert De Niro – come fossero rosari laici, tentando invano di riconoscersi in un pantheon che non lo rassicura più.
È qui che Jay Kelly colpisce: Clooney mette in scena un doppio che è allo stesso tempo ritratto e caricatura, confessione e maschera. Un ruolo che richiede un’aderenza rara tra star e personaggio, come ha sottolineato Baumbach in conferenza: “Tutti conosciamo George, così come i personaggi nel film conoscono Jay. Era fondamentale che lo spettatore sentisse questo legame”.
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Venezia 82: Emma Stone in Bugonia e Clooney in Jay Kelly
Un’epica intima, tra treni e ricordi
Il film è una road movie dell’anima: Jay attraversa l’Europa per rincorrere la figlia, per accettare un premio in Toscana, per cercare brandelli di vita oltre i riflettori. Ma il vero viaggio è dentro di sé. Ogni tappa si trasforma in un frammento di memoria, in un set che riemerge come un sogno.
Linus Sandgren, direttore della fotografia, gira piani sequenza mozzafiato che trasformano il passato in presente, mentre la colonna sonora di Nicholas Britell sospinge il racconto tra nostalgia e rinascita. Indimenticabile la sequenza sul treno durante la Pentecoste: un momento che unisce azione e poesia, come se il cinema stesso si ricordasse di essere vita.
“Per Jay – dice Baumbach – tutti i ricordi sono cinema”. Una frase che è dichiarazione di poetica e chiave di lettura: la memoria come archivio filmico, i rimpianti come pellicole mai sviluppate.
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Venezia 82, Clooney e Sandler in "Jay Kelly" di Baumbach
adam Sandler e Laura Dern, gli angeli custodi
Accanto a Clooney, Adam Sandler firma una delle interpretazioni più sorprendenti della carriera. È Ron, il manager che ha sacrificato tutto per la star, fedele come un’ombra. “Una delle mie battute preferite – ha detto Sandler – è quando dico: tu sei Jay Kelly, ma pure io sono Jay Kelly!”. Un’ammissione che svela quanto le vite di attori e collaboratori si intreccino fino a confondersi.
Laura Dern è invece Liz, l’addetta stampa che ricorda a Jay le regole di un mestiere spietato e al tempo stesso materno. Figlia d’arte, Dern ha detto di aver interpretato il ruolo pensando a chi l’ha guidata da bambina: “Una pubblicist è come un’altra mamma. Ti insegna a proteggerti, a sopravvivere in un mondo che ti divora”
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Venezia 82, Alba Rohrwacher in "Jay Kelly" di Baumbach
Gli altri attori e la satira sul sistema dei premi
Il microcosmo di Jay Kelly non si ferma ai comprimari fedeli. C’è Frank, interpretato da Patrick Wilson: un attore meno celebre e fortunato di Jay, ma anch’egli gestito dal solerte Ron. Frank è la prova vivente che il cinema non distribuisce equamente fama e gloria. In una delle battute più taglienti del film, confessa con ironia disillusa: “Solo in Italia possono premiare due attori di mezza età bianchi”.
La frase vibra come paradosso e autocritica del sistema festivaliero, capace di celebrare icone senza mai interrogarsi davvero su inclusività e prospettive diverse. Attraverso Frank, Baumbach mostra il lato opaco del mestiere: chi resta nell’ombra, chi accumula ruoli senza mai il riconoscimento sperato, chi assiste da spettatore alla consacrazione altrui. Il confronto con Jay non è soltanto narrativo, ma politico: un modo per rivelare quanto il divismo sia fragile costruzione collettiva, e quanto poco basti perché un attore diventi leggenda o resti nota a piè di pagina.
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Jay Kelly, il teaser trailer del film con Clooney in gara a Venezia
In fondo, Jay Kelly è una lettera d’amore al cinema. “I film sono più armoniosi della vita – diceva Truffaut – vanno avanti come i treni nella notte”. Baumbach riprende quell’immagine e la fa propria: se la vita di Jay è fatta di inciampi, il cinema diventa rifugio e redenzione.
La Toscana filmata come una pastorale di Bertolucci e Alice Rohrwacher, le citazioni del neorealismo italiano, l’apparizione di Alba Rohrwacher che illumina la scena come un’icona felliniana: ogni dettaglio è omaggio a un’arte che sopravvive ai suoi interpreti.
Il finale, durante l’omaggio alla carriera, è un montaggio struggente di ricordi e sequenze: un archivio di tempo perduto e ritrovato, un invito a guardarsi indietro con onestà.
un’altra ripresa
Jay Kelly è un film che diverte, commuove, interroga. È una commedia malinconica e un dramma leggero, un’epica intima che scava nelle crepe della celebrità. Clooney, Sandler, Dern e Wilson compongono un ensemble memorabile, guidati da un Baumbach capace di mescolare introspezione e spettacolo.
In conferenza, Adam Sandler ha chiuso sorridendo: “Se avessi una battuta per concludere la mia vita, sarebbe: Ma che diavolo è successo?”. Forse è questo lo spirito del film: un continuo chiedersi cosa resta davvero dopo la fama, dopo gli applausi, dopo gli errori.
E la risposta, come dice Jay davanti alla macchina da presa, è sempre la stessa: “Posso farne un’altra?”. Nel cinema, come nella vita, non è mai buona la prima. Proprio come un Negroni Sbagliato: nobile e amaro, ma attraversato da una frizzante leggerezza che lo rende indimenticabile.