Di là dal fiume e tra gli alberi è un film in continuo divenire

Dopo quasi tre anni dalla sua prima proiezione al Sun Valley Film Festival, “Di là dal fiume e tra gli alberi”, il film diretto da Paula Ortiz, scritto da Peter Flannery e tratto dall’omonimo romanzo di Ernest Hemingway, esce finalmente nelle sale italiane con PFA Films e L’Altrofilm. Adattare Hemingway per il grande schermo è sempre difficile, proprio com’è difficile adattare qualunque altro grande autore. Nel caso di “Di là dal fiume e tra gli alberi”, ci ritroviamo davanti a un’opera complessa, ricca e, a suo modo, originale. La storia segue il colonnello Richard Cantwell, interpretato da Liev Schreiber: è un veterano, ha combattuto in entrambe le guerre mondiali; e anche se sa di stare male, vuole provare a godersi i suoi ultimi giorni in Italia. Incontra una giovane nobile veneziana, interpretata da Matilda De Angelis, e intanto indaga su un massacro di guerra. È tormentato dai suoi fantasmi e dai suoi rimpianti, tra cui quello di aver perso suo figlio. Ama l’arte e ogni occasione è buona per ammirare affreschi. I due protagonisti È lui il centro del racconto. Con il suo carisma, la sua voce, la sua apparente calma. Schreiber si trasforma in una specie di Virgilio, e ci traghetta da un momento all’altro del film senza farci pesare minimamente i cambiamenti di ambientazione o i flashback. Poi c’è la Renata Contarini di Matilda De Angelis, che è l’altra grande protagonista di “Di là del fiume e tra gli alberi”: figlia dell’aristocrazia italiana, è destinata a un matrimonio combinato; prima, però, vuole provare a godersi la sua vita e a sfruttare al massimo la sua libertà. Quando incontra Cantwell, pensa di aver incontrato un uomo che, come lei, si sente costretto dalla responsabilità, a metà, alla ricerca perenne di qualcuno con cui poter passare almeno una notte di tranquillità. E quindi parlano. Si confrontano. Nel giro di un fine settimana, imparano a conoscersi. E in questo non c’è nessuna esagerazione: dopo la guerra, soprattutto tra individui così diversi e con un vissuto così particolare, era decisamente più facile esporsi e offrirsi all’altro, proprio perché non c’era tempo da perdere. Ortiz è brava a costruire un film che si muove in due direzioni contemporaneamente: una orizzontale, rivolta perciò verso la trama principale e la sua conclusione; e una, invece, verticale, che si concentra sui singoli personaggi. Usa i flashback per sostenere il racconto, non per rallentarlo. Cambia le inquadrature, le stringe e le allarga. E gioca con il formato. Un immobilismo solo apparente Anche nel suo apparente immobilismo, “Di là dal fiume e tra gli alberi” è un film in continuo divenire, che si trasforma, che riesce ad aggiungere più punti di vista . Il misto di inglese e di italiano che parlano i personaggi, poi, rende il racconto ancora più credibile ed equilibrato: non ci sono sbavature fini a sé stesse; ogni cosa, anche la più piccola incertezza, ha un ruolo e uno scopo all’interno della narrazione. Una fotografia in grado di dare profondità a Venezia La fotografia curata da Javier Aguirresarobe è un altro degli elementi più importanti di “Di là dal fiume e tra gli alberi”. Spesso, e lo sappiamo, la fotografia viene citata come un esercizio critico: insieme alla regia e alla sceneggiatura, e agli attori e alla musica, c’è anche questa cosa da tenere in considerazione. In realtà, nel caso del film di Ortiz, il lavoro di Aguirresarobe assume uno spessore particolare. Perché riesce a dare a Venezia e alle altre location una profondità precisa, riconoscibile e, allo stesso tempo, quasi differente. Siamo in Italia, sì, ma siamo pure altrove: in un mondo che somiglia a quello di cui parlava Hemingway, con le sue regole e le sue contraddizioni. Affidarsi al viaggio del protagonista L’invito che ci viene fatto è quello di credere e, soprattutto, di affidarci completamente al viaggio che il protagonista decide di fare, con i tanti personaggi che incontra e le difficoltà – più o meno piccole, più o meno prevedibili – che si ritrova ad affrontare. “Di là dal fiume e tra gli alberi” parla della tragedia della guerra, della voglia di ricominciare, di rimpianti, di convivenza e di diffidenza. Parla di un uomo che, dopo aver incontrato una giovane donna, torna a sperare. E parla anche di morte: quella che immaginiamo ci aspetti e quella che, in realtà, è sempre presente intorno a noi come parte imprescindibile della vita.

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