L’infinito di Umberto Contarello, tra poesia, ironia e gin tonic. La recensione del film

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Esordio alla regia per lo sceneggiatore di "Marrakech Express", La Grande bellezza", "This is must be the Place", "The Young Pope".  Prodotto e co-sceneggiato da Paolo Sorrentino, il lungometraggio, al cinema dal  15 maggio, è un'opera inaspettata, esistenziale,  poetica, attraversata da travolgenti  lampi di (auto)ironia e struggente umanità. La storia di un cuore messo, forse, a nudo sulle note straordinarie composte da Danilo Rea

“Anche le metafore muoiono, a un certo punto, come moriamo noi.”
Ma quello che non muore è L’Infinito. Il film di Umberto Contarello, al cinema dal 15 maggio, è un lungometraggio prodotto e co-sceneggiato da Paolo Sorrentino, che barcolla ma non molla.

 

l'autobiografia di un fabbricante di bugie

Dedicato a Carlo Mazzacurati, L'infinito è l’esordio alla regia dello sceneggiatore di La Grande Bellezza, film premiato con L'Oscar. Per citare i versi di un noto brano di Celentano, il lungometraggio : “È come un rock che ti morde col suo swing. È assai facile al knockout che ti fulmina sul ring”. Classe 1958, lo scrittore padovano sa che solo chi cade può risorgere, e finché può vive nel lusso. In barba all’algoritmo e ai suoi fratelli, al marketing e ai suoi adepti, al turning point e ai suoi sodali, “Umbe” — come lo chiamano gli amici — gira un’opera in bianco e nero, squarciata a tratti da un rosso che sarebbe piaciuto a Mario Schifano.

Pure quando compiliamo la lista della spesa, parliamo di noi stessi. Sicché è d’uopo rimandare al mittente chi parla di opera ombelicale o egoriferita. Basta ascoltare il testimone Gustave Flaubert: “Madame Bovary c’est moi”.

Sulle orme di Baudelaire, Contarello mette il proprio cuore a nudo. O forse no. Perché, per sbarcare il lunario, fabbrica bugie — come sentenzia sua figlia. Ma non è così importante la realtà (che sovente risulta scadente). Stiamo solo facendo del cinema. E poi, non c’è una verità, come chiosava L’uomo che guardava passare i treni, immaginato da Simenon.

 

Approfondimento

L’infinito, trailer del film scritto da Contarello e Sorrentino

Il crepuscolo di uno sceneggiatore

In un attimo, la vita di uno sceneggiatore un tempo ammirato si sgretola, come un palazzo sotto le scosse di un terremoto. Ne esce vivo, sì, ma ridotto all’essenziale: carne, ossa, avvolte da una malinconia silente. Ed è una tragedia, per un uomo che non teme di morire, ma di sopravvivere.

Questo film è il racconto di quei giorni sospesi, dolenti, in cui il tempo sembra galleggiare. Giornate da naufrago in terraferma, in cui lo scrittore prova a ricostruire non solo una carriera, ma un senso — un motivo per alzarsi ogni mattina, parlare, financo respirare.

Umberto tenta di risalire la corrente, nonostante la marea sia ormai troppo bassa. Prova a riavvicinarsi alla figlia, allontanata da un divorzio che ha lasciato solo macerie. Cerca di credere ancora nel proprio talento e offre il suo aiuto a Marianna, giovane sceneggiatrice (ottimamente interpretata da Carolina Sala)  in cui scorge un riflesso smagato di ciò che un tempo è stato.

La casa in cui vive adesso è grande, silenziosa, quasi estranea. I suoi passi rimbalzano contro i muri spogli. Compie gesti semplici — paga bollette, compila moduli, cucina. Azioni che un tempo dribblava con la grazia di un fuoriclasse si sono trasfigurate nei nuovi capitoli della sua esistenza.

E poi si palesano gli incontri: brevi, casuali, intensi come lampi in una notte afosa.
Ride, qualche volta. Piange, più spesso. Ma in tutto ciò si fa strada un sentimento nuovo, fragile, quasi impercettibile: la speranza.

Una prospettiva leggera, come la polvere sollevata dal vento, come il silenzio nello spazio profondo. E forse, proprio grazie al silenzio, comprende che il vero crollo ha origini lontane.

Tuttavia, novello Mario tra le rovine di Cartagine, in questo sfuggente presente, il protagonista scorge una specie di infinito con cui relazionarsi. Pareva impossibile, per un uomo che non è mai stato felice. Nemmeno per un giorno.

 

Approfondimento

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L'infinito, tra un vetril e un gin tonic

L’infinito è una suora che pulisce un vetro con la pagina accartocciata di un giornale e una robusta spruzzata di Vetril. Un movimento circolare, un saluto, un “ciaone” a tutti quelli che presumono che le storie debbano funzionare, come un rubinetto.

Per citare una delle tante, abbacinanti battute presenti in L’Infinito: “Le storie sono belle o sono brutte”.

Nel film si respira l’aria rarefatta, deliziosamente viziata di Stranger than Paradise, o di tante pellicole firmate dal maestro finlandese Aki Kaurismäki. A Contarello non importa nulla del decoro, della rispettabilità. Alla propria banca chiede pietà, però ha vinto un Oscar perché ha cercato di scrivere scene che non servissero a niente.

Tant’è che nell’incipit ci appare a torso nudo, simile a un quadro di Rembrandt. E la sfida più improba è la scala: non al paradiso, ma al pronto soccorso, con codice rosso se manca il fiato — e non solo.

Incallito parolaio, qualcuno potrebbe accusarlo di concentrarsi sulle cose da dire, perché non ha niente da dare. Eppure, bastano le scene riservate all’elaborazione del lutto per i suoi genitori, specialmente  il dolore provato per madre, per comprendere quanta profonda leggerezza e leggera profondità pulsino in quest’opera. Senza dimenticare che  Agostino, il padre di Umberto , è stato un personaggio indimenticabile. Ha debuttatp nel dopoguerra come attore di commedia dell’arte al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e si afferma come autore teatrale anticonformista. Nel suo negozio di orologiaio in Piazza Duomo, osserva l’evoluzione sociale e trasforma tic, manie e nevrosi quotidiane in spunti per il teatro. Dal 1972 affigge ogni giorno le sue celebri “agostinate”, pungenti volantini satirici contro la società e la politica.

Forse per questo Solo Contarello può permettersi di mescolare un gin tonic (London Dry, please) in un tumbler basso e non apparire triviale. In fondo, non c’è niente di male a non sapere niente. (Socrate docet).

 

 

Un 8 perfetto tra 2 fontane

Il sesso, come la fede, non necessita di un senso. E chissenefrega, se ad Abano il fango è finito e sei a cavallo di un Califfone viola, il più brutto motorino della storia del motociclo.

Ti asciughi le lacrime con l’avambraccio, inserisci nella tua sceneggiatura una scena di ballo, giochi a bowling.Incastonato tra Gentle on My Mind di Glen Campbell e Innamorati a Milano di Memo Remigi e le musiche composte dal Maestro Danilo Rea, L’infinito è un’opera che sorprende e si sorprende. La confessione di uno “sceneggiatore bugiardo, presuntuoso, inaffidabile, vanesio”.

Per questo assume ancora più valore e fascino. Insomma, alla fine tifi come un ultras per lo stropicciato flâneur. Quanto vorresti che Unbe rifacesse un otto perfetto tra le due fontane di Piazza Navona, quando quel giorno, a Roma, nevicava.

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