Perché Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright è un grande adattamento

Vent’anni fa, nelle sale americane, usciva per la prima volta “Orgoglio e pregiudizio”, l’esordio alla regia di Joe Wright basato sull’omonimo romanzo di Jane Austen. E ancora oggi, secondo molti critici, si tratta di uno dei migliori adattamenti dei libri della scrittrice inglese. Più che nell’interpretazione – meravigliosa, intendiamoci – dei due protagonisti, Keira Knightley e Matthew Macfadyen, rispettivamente Elizabeth Bennet e il signor Darcy, il motivo va cercato nella complessità della messa in scena. Che non vuol dire più oscura o difficile. Vuol dire, semmai, ricca di dettagli, di spessore, di trovate e di verità . Un'Inghilterra vibrante L’Inghilterra del film di Joe Wright è un’Inghilterra vibrante, piena di attività, di feste e di incontri. È un’Inghilterra in cui si alternano con una certa precisione colpi di fortuna e drammi estremi: matrimoni combinati, cercati e sospirati. Il personaggio di Elizabeth Bennet è il centro del racconto, ma è pure, per certi versi, la sua periferia più estrema: c’è anche quando non c’è, e rimane costantemente sullo sfondo, come un ricordo di cui è impossibile disfarsi. Soprattutto, però, ci sono gli altri personaggi, quelli secondari: aggiungono uno spessore ulteriore alla storia. In particolare, il signor Bennett di Donald Sutherland, che con una sola occhiata riesce a impostare il tono di intere scene. Un viaggio nella società dell'epoca “Orgoglio e pregiudizio” parla di sentimenti, di quanto a volte sia difficile destreggiarsi tra relazioni e rapporti personali, ma soprattutto parla di consapevolezza. E quindi di quell’approccio più disincantato e pratico con cui vivere la vita. Perché è facile giudicare qualcuno dalle sue apparenze, dal modo in cui si presenta agli altri; è difficile andare oltre, riconoscerne il valore e studiarne il carattere. E accettare, di conseguenza, i propri limiti. “Orgoglio e pregiudizio” è anche una fotografia della società inglese dell’epoca: da una parte c’è l’aristocrazia, così arrogante e sicura di sé da non considerare nemmeno per un momento la possibilità di essere in errore, o di essersi persa qualcosa; e dall’altra c’è la borghesia, pronta a tutto pur di fare un passo in avanti nella gerarchia sociale e migliorare la propria condizione. C’è una vera e propria ossessione nell’elencare rendite, guadagni ed eredità. Un'opera-manifesto Ma quello di Joe Wright è un film che sa affidarsi pure alla regia e alla scrittura, e alla musica e agli attori. È, se vogliamo, un’opera-manifesto. In primis per il lavoro di Wright, che con “Orgoglio e pregiudizio” ha attirato su di sé l’attenzione internazionale e ha dimostrato pienamente il suo talento. E poi per un certo modo – che non è per forza il modo più corretto o migliore – di portare una storia nata in un’altra epoca, con un’altra sensibilità e un altro linguaggio, sul grande schermo. Wright conosceva perfettamente l’importanza di ogni più piccola sfumatura. E non ha mai sottovalutato quella che si presentava, di fatto, come un’impresa creativa. Una storia universale Dopo vent’anni, “Orgoglio e pregiudizio” continua a conservare lo stesso calore e la stessa forza. La storia che racconta, benché ambientata nel passato, è una storia universale, in cui chiunque può ritrovarsi. Certo: ci sono delle esagerazioni e dei testacoda narrativi volutamente eccessivi. Eppure, nell’economia generale della messa in scena, funziona. Proprio perché allo spettatore non viene mai offerta una cosa soltanto. Anche nei momenti più lenti, o di silenzio, ci sono diversi elementi su cui soffermarsi. E questi elementi a volte coincidono con i singoli personaggi, altre, invece, con situazioni più ampie. Oltre la piatta venerazione dei classici “Orgoglio e pregiudizio”, in Italia disponibile in streaming su Netflix, segue un flusso costante di pensieri, considerazioni, confessioni rubate al lume di candela e pettegolezzi. E non è mai frivolo. O almeno, non lo è mai in modo gratuito. Sfrutta anche questa sua caratteristica per esaltare la trama principale, per portare al centro della scena i suoi due protagonisti e per provare ad andare oltre la piatta e prevedibile venerazione dei classici.

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