Il rapporto sempre più stretto tra cinema, tv e videogiochi

Il 3 aprile è uscito al cinema “Un film Minecraft”, adattamento per il grande schermo dell’omonimo videogioco. Ed è solo l’ultimo esempio del rapporto sempre più stretto che c’è tra videogioco e cinema. Più in generale, in questi anni c’è stata una vera e propria corsa ai diritti per trasformare videogiochi in film e serie tv. L’ultimo caso, abbastanza significativo, è “Split Fiction”, al centro di un’asta. A volte, questi esperimenti hanno ottenuto buoni risultati, mentre altre volte sono stati dei fallimenti. Basta pensare al successo del film di “Super Mario” e al pessimo incasso del film di “Borderlands”. Poi ci sono le serie tv. Tempo fa, sempre su queste pagine, abbiamo parlato di “Arcane”, disponibile su Netflix, e di “Fallout”, disponibile su Prime Video. Il 14 aprile su Sky e NOW arriverà la seconda stagione di “The Last of Us”, che è stata, se possibile, una delle serie simbolo del modo migliore di fare adattamenti e di portare una storia pensata per un linguaggio, con tratti e chiari riferimenti al cinema, in un altro. “Un film Minecraft”, invece, è un insieme scomposto e abbastanza confuso di elementi e di citazioni, che vuole provare a sfruttare la forza di un brand ma che perde di vista quella che è la sua unicità. È evidente che cinema e televisione sono sempre più affamate di storie, e che i videogiochi, che hanno già avuto modo di incontrare il grande pubblico, rappresentano una delle soluzioni più immediate e facili a questa necessità. L’altra, che negli ultimi anni ha perso parte del suo mordente, sono i fumetti. I videogiochi, proprio per la loro evoluzione, si sono avvicinati progressivamente ad altri linguaggi e ad altre forme espressive. Ed è diventato quasi naturale, a un certo punto, provare a immaginarli altrove, per il piccolo o per il grande schermo. Spesso, solo come uno spunto. In casi eccezionali, come il già citato “The Last of Us”, come una guida imprescindibile, con sequenze che riprendono fedelmente le cutscene. Ci sono degli autori, come Hideo Kojima, che sono sempre stati appassionati di cinema e che non hanno mai nascosto le loro velleità registiche. “Death Stranding”, con il suo cast di attori , è solo un altro esempio di questo connubio sempre più affiatato e viscerale tra videogioco e settima arte. Ci sono alcune scene, soprattutto all’inizio del gioco, che hanno un taglio volutamente cinematografico, e anche se lasciano una certa libertà al giocatore, che può decidere dove andare e come arrivarci, è chiaro che ogni cosa – dalla musica alla posizione nello spazio del personaggio – è stata valutata e considerata a fondo in fase di sviluppo. E non è così strano che presto lo stesso “Death Stranding” diventerà un film per la A24. Si possono fare innumerevoli discorsi e innumerevoli valutazioni da un punto di vista puramente economico e di mercato: i videogiochi, come abbiamo già detto, hanno un loro pubblico; e l’obiettivo delle major cinematografiche, dei canali tv e delle piattaforme streaming è portare questo stesso pubblico al cinema o convincerlo a sottoscrivere un abbonamento. Ma c’è un aspetto ancora più importante, che ha più a che fare con il modo in cui in questi anni abbiamo cominciato a vivere – e non usiamo questo termine a caso – le storie, da tenere in considerazione. Si è diffuso il desiderio di un’immersività maggiore, che richiede un coinvolgimento diretto dello spettatore. In un videogioco, ovviamente, questo elemento è portato all’estremo visto che buona parte delle decisioni spettano al videogiocatore. E anche se al cinema e in tv resiste una certa distanza, è sempre più evidente il bisogno di raccontare storie capaci di fidelizzare il pubblico, di mettere radici, di vivere al di là della singola uscita o della semplice messa in onda. E in questo, per la loro straordinaria connessione con le persone, i videogiochi non hanno rivali. Alcuni personaggi sono entrati a far parte dell’immaginario comune, mentre altri sono stati dei punti di riferimento costanti per intere generazioni. Portare i videogiochi e le loro storie sul grande e sul piccolo schermo non è solo una trovata commerciale; è soprattutto una necessità narrativa ed editoriale.

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