Lorenzo Richelmy: "Nei panni degli altri per abbattere barriere e giudizi"

Cinema
Laura  Alberti

Laura Alberti

Foto credit @ufficio stampa

Il prossimo anno usciranno la sua prima commedia italiana e un dramma in cui lovvedremo nella parte del cattivo. Noi lo abbiamo raggiunto al telefono, in una pausa dalle riprese di un nuovo film top secret, poche settimane dopo l'uscita al cinema di Fino alla Fine di Gabriele Muccino, in cui veste i panni di Komandante

Lorenzo Richelmy, di recente al cinema con Fino alla fine di Gabriele Muccino, sta lavorando a un progetto su cui vige il massimo riserbo. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente sul set e rivela solo che è un film ambientato negli anni Settanta, in costume, con protagonista un ragazzo cileno che scappa dalla dittatura di Pinochet: "Se fossimo stati in video, mi avresti visto con delle bellissime basette”, scherza. In attesa che il nuovo film esca, "speriamo il prossimo autunno", Lorenzo ci racconta il suo lavoro al fianco di Muccino.

 

 

Partiamo dal tuo ultimo ruolo, quello del Komandante in Fino alla fine di Gabriele Muccino. Su Instagram, una ragazza ti ha scritto: "Sono palermitana, avrei giurato tu fossi palermitano. Come hai fatto a imparare non solo il dialetto ma la cadenza più marcata così bene?". Ecco, come hai fatto?

Sono andato in giro per Palermo. A volte mi fingevo un turista americano, a volte un turista romano. Girovagavo alla Vucciria, per i quartieri popolari e registravo col telefono le conversazioni dei ragazzi. Poi tornavo a casa, sbobinavo tutto, e “rubavo” dalle loro conversazioni le espressioni migliori. Devo ringraziare poi il mio coach, Enzo Mancuso, ultimo discendente di una famosa famiglia di pupari. Io gli riportavo le cose raccolte per strada, e lui mi insegnava a interpretarle. Mi sono permesso di usare un dialetto palermitano non immediatamente comprensibile, e Gabriele (Muccino ndr.) ha avuto il coraggio di seguirmi. Cambiare spesso, e così tanto, è in fondo ciò che per cui amo questo lavoro. 

 

Di Fino alla fine scrivi: "Fino alla Fine è la storia di quelle scelte, quelle che ci portano fuori dal percorso previsto, verso direzioni che non sempre capiamo subito, ma che alla fine ci rendono chi siamo". Cosa ti ha dato il ruolo del Komandante? E qual è, secondo te, il ruolo che un attore dovrebbe avere nel cambiamento?

Prima di tutto, devo dire che questo ruolo mi ha regalato Palermo. Sono un grande viaggiatore, sono stato spesso in Asia, ma non ero mai stato a Palermo. Eppure sono molto campanilista, e dopo questo film sono ancora più orgoglioso di essere italiano. Inoltre, credo che il mestiere dell’attore abbia in sé qualcosa di biblico: insegna a mettersi nei panni degli altri, a comprenderli, a capirli. Quando vestiamo i panni di un altro, abbattiamo le barriere e il giudizio. Anche perché oggi parliamo tanto di libertà, ma di fatto quella libertà è limitata da pregiudizi e preconcetti sociali. Ecco, per me fare l’attore è un atto d’emancipazione. Mi aiuta a mettere continuamente in dubbio le certezze e la realtà, e questo è importante, soprattutto per le nuove generazioni. Siamo in un momento storico in cui ci sentiamo tutti giovani, dimenticando che sono state le responsabilità e il sacrificio a far sì che, in questa parte di mondo, oggi possiamo vivere una vita migliore. Fare l’attore, per me, è un modo per soffiare sulla carbonella del cambiamento.

 

Nel corso della tua carriera hai interpretato molti ruoli diversi: sei stato Marco Polo, ma anche un comune liceale. Come scegli i tuoi ruoli? Quali caratteristiche deve avere un personaggio per attirare la tua attenzione?

Ogni volta che accetto un ruolo deve esserci qualcosa che mi attira e, generalmente, si tratta della possibilità di fare qualcosa di diverso. Ho anche interpretato personaggi che si assomigliavano, ma la volta successiva è sempre stata diversa dalla volta prima. Devo dire, poi, che in ogni personaggio c’è una parte di me. Mi piacerebbe un giorno poter dire d’essere scomparso totalmente all’interno di un personaggio ma, ad oggi, ogni ruolo che ho interpretato in carriera racchiude una parte di ciò che ero in quel momento. La cosa più bella, io credo, è ritrovare me stesso anche nel ruolo più lontano da me. Del resto, all’interno di ciascuno di noi c’è un mondo. E io amo l’essere umano nella sua individualità. 

 

Se potessi scegliere un solo personaggio, tra tutti quelli interpretati fino ad ora, quale sceglieresti e perché?

Komandante di Fino alla fine perché è divertente: se dovessi rimanere ingabbiato per sempre in un solo personaggio vorrei almeno potermi divertire. E poi Marco Polo, che è il suo estremo, un eroe romantico, mentre Komandante è tutto fuorché eroico. Direi che sono questi due ruoli, i poli all’interno dei quali si può capire chi sono.

 

C'è un ruolo o un tipo di film che non ti è mai stato proposto, e che sogni di fare?

Mi piacerebbe molto interpretare il ruolo di un transessuale, e ci sono anche andato vicino, ma poi tutto è sfumato. Era un ruolo piccolo, al fianco di Dustin Hoffman, che mi ha scartato quando ha saputo che, nella realtà, non sono transessuale. Mi è dispiaciuto molto che fare quella scelta sia stato proprio lui che, in Tootsie, ha vestito in maniera straordinaria i panni di una donna. Ci sono interviste su YouTube, che consiglio a tutti, in cui racconta quanto male gli facesse non riuscire a rendersi attraente. Per strada nessun uomo si girava a guardare la sua Dorothy, e lui ne soffriva. Credo che il politicamente corretto di oggi talvolta ci impedisca di scoprire e, dunque, di comprendere. 

 

A proposito di YouTube, e di social media in generale, l’impressione è che sulle tue pagine si respiri serenità, divertimento, positività. Come hai fatto a costruire un rapporto tanto positivo con chi ti segue, in un’epoca dominata dall’odio online?

I social media sono pericolosissimi, perché alimentano sofferenza, paragoni inutili, invidia. Io ho avuto a lungo un rapporto problematico con essi, poi mi sono reso conto di voler portare lì sopra la mia positività. Cerco sempre di stare molto attento, perché il mondo è già pieno di giudizi dati dalla volontà di darsi un tono. Non essendo più un ventenne, mi sembra giusto stare sui social con un po’ di responsabilità.

 

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