Giurato numero 2, Clint Eastwood tra verità e giustizia. La recensione del film

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

È uscito al cinema in Italia, l’ultimo lungometraggio diretto dal novantaquattrenne regista americano. Quasi interamente ambienta in un’aula di tribunale, un’opera che ha tutta la potenza dei classici. Con Nicholas Hoult: Toni Collette, J. K. Simmons, Chris Messina, ·Zoey Deutch, Kiefer Sutherland e Cedric Yarbrough

Come diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa . "Le parole sono importanti" Soprattutto quando a pronunciarle sono i componenti di una giuria chiamati a esprimere un verdetto di innocenza o colpevolezza in un caso di omicidio. Sicché Clint Eastwood in Giurato numero 2 (al cinema in Italia dal 14 novembre) ci rammenta che in principio fu il verbo. Specialmente se si ambienta un lungometraggio in un’aula di tribunale. Sulla falsariga di un capolavoro assoluto come La parola ai giurati, il quarantesimo film girato dal novantaquattrenne regista americano trasporta sul grande schermo tutta la forza dell’età dell’oro della cinematografia. E pensare che l’opera ha corso seriamente il rischio di uscire direttamente in streaming. Distribuito negli States in meno di 50 sale e per un periodo limitato, la pellicola ha entusiasmato critica e pubblico. Tant’è che Warner lo ha inserito tra i titoli su cui punterà per la campagna promozione legata agli Oscar 2025. E chissà che con questo robusto thriller giudiziario, Clint non riesca a portarsi a casa la sesta statuetta

Giurato numero 2, la trama del film

La spada, la bilancia e la benda sugli occhi. Sono questi elementi che caratterizzano la Dea Themis. Sotto forma di statua, la divinità si manifesta di frequente in Giurato numero 2. Solo che la giustizia, sovente, è cieca, mentre la colpa vede ogni cosa. Il delitto e il castigo giocano a rimpiattino in questo emozionante dramma giudiziario ambientato a Savannah, in Georgia. La notte del 25 ottobre, la giovane Kendall Carter (interpretata da Francesca Eastwood) è stata trovata senza vita in un fosso al lato di una strada. Della sua morte è stato accusato James Sythe, il suo fidanzato con cui la ragazza aveva avuto un violento litigio poco prima del decesso. L’uomo, ex componente di una gang criminale. è stato incriminato per omicidio. Ora il suo destino dipende dal verdetto espresso da 12 giurati. Ma tra questi c’è Justin Kemp, futuro padre di famiglia con un passato da alcolista. Durante lo svolgere del processo, l’uomo comprende che forse potrebbe essere coinvolto personalmente in quel delitto ed è costretto ad affrontare un angoscioso dilemma morale, ovvero se sia giusto o meno influenzare la giuria e scegliere se fa condannare oppure assolvere l’imputato.

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Talvolta “Less in more”, ossia il meno è il meglio. Quindi Eastwood opta per una messa in scena scabra ed essenziale. Ad animare le inquadrature sono i primi piani dei protagonisti, le testimonianze, le arringhe. E quella frase “A volte la verità non è giustizia” pronunciata dal giurato numero 2 magnificamente interpretato da Nicolas Hoult, vale più di una ricercata scenografia o di una colonna sonora incalzante. Ma la forza del film, scritto da Jonathan Abrams (Escape Plan - Fuga dall'inferno) risiede nello stato di grazia evidenziato tutti i componenti del cast. A partire dalla talentuosissima Toni Colette, che aveva già lavorato con Hoult nel 2002 nella commedia About a Boy. L’attrice australiana si cala alla perfezione panni di Faith Killebrew, ambiziosa e volitiva procuratrice distrettuale alla ricerca di un verdetto di colpevolezza per favorire la propria carriera politica. E se Chris Messina è l’avvocato difensore a cui molti affiderebbero la propria vita, a J. K. Simmons, premio Oscar per Whiplash, bastano venti minuti per dimostrare tutta la sua bravura. Insomma, ogni membro della giuria è descritto con dovizia di particolare e basta un dettaglio per comprendere le specularità. Il film si trasfigura così in un cartina di tornasole dell’America di oggi e delle sue contraddizioni. La rappresentazione di un mondo imperfetto. L’anatomia di un delitto che mette in luce tutte le crepe del sistema giudiziario, ma pure della nostra traballante esistenza. E quel sorprendente finale ci offre l’ombra di un dubbio che non dimenticheremo facilmente. Perché il grande cinema pone domande, più che risposte.

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