Far East Film Festival 2023, il racconto della 25ma trionfale edizione

Cinema

di Federico Buffa e Michele Pettene

Nella foto il film malese, “Abang Adik” ha conquistato il Gelso d'oro al Far East Film Festival 2023

Sabato 29 Aprile si è chiuso il Far East Film Festival di Udine, la più grande vetrina occidentale dedicata al cinema popolare asiatico in Europa. Un’edizione dal sapore particolare per il 25mo anniversario del festival, un traguardo storico celebrato con tanti ospiti e la consueta combinazione di generi e cinematografie di tutto l’Estremo Oriente. Ecco gli highlights

Se dopo le edizioni ibride del 2020 (solo streaming) e del 2021 (streaming e proiezioni al solo Cinema Visionario) nel 2022 il Far East Film Festival aveva riaperto guardingo i battenti dell’ormai iconico Teatro Nuovo Giovanni da Udine per buttarsi alle spalle limiti e decreti, quest’anno lo sforzo organizzativo e il riscontro ottenuto hanno regalato vibrazioni da pre-pandemia, da bei vecchi tempi finalmente ritrovati con tutto il loro entusiasmo. Un sospiro di sollievo generato da ogni sold out del teatro durante la otto giorni udinese, e una ri-conferma del ruolo fondamentale del FEFF sia per il cinema asiatico nel Vecchio Continente sia per il panorama italiano, sempre troppo poco attento a realtà che andrebbero curate e sostenute nella loro straordinaria unicità.

Il 25mo anniversario del festival

Per festeggiare a dovere i due fondatori del FEFF Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche hanno messo in piedi numeri da record, inondando Udine con 200 ospiti provenienti da gran parte delle nazioni rappresentate, aprendo le porte a 60mila spettatori e presentando ben 78 film da 14 Paesi, con 9 anteprime mondiali, 13 internazionali, 14 europee e 23 italiane. Un magma umano e filmico degno del miglior passato pre-pandemico ma giunto nel capoluogo friulano in uno scenario geopolitico ed economico ben diverso. Sabrina – commossa sul palco nell’opening night tra la dedica al compianto compositore Ryuichi Sakamoto e l’idea di un anniversario impensabile 25 anni fa – e Thomas – onnipresente dietro le quinte – hanno voluto e si sono voluti dare un forte segnale, di vitalità e passione prima ancora che di freddo calcolo economico: un approccio non scontato e di cui non si può che essere grati.

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approfondimento

Far East Film Fest di Udine, arriva supereroina indonesiana Sri Asih

Women Power!

Come ogni FEFF che si rispetti l’usuale incontro tra una selezionatrice forte ed energica come la Baracetti e la peculiare sensibilità dell’Estremo Oriente ha portato sull’enorme schermo del Teatro Nuovo innumerevoli ritratti di figure femminili stravaganti, indipendenti, tenaci. Tra il film d’apertura “Ajoomma” e la sua protagonista, una donna di Singapore vedova di mezza età in cerca di sé stessa tra i set dei suoi K-Drama preferiti, e “Sri Asih”, l’irresistibile action indonesiano con una supereroina kickboxer sporca, sexy e senza pietà, l’apice veniva raggiunto nell’indimenticabile serata dedicata a Baisho Chieko, attrice giapponese e leggenda vivente (81 anni) premiata con il Gelso d’Oro alla carriera sul palco del teatro. Un tributo sfociato in un “instant classic” del FEFF, con la Chieko a cantare davanti agli spettatori la stessa canzone che il suo meraviglioso personaggio sussurra in “Plan 75” di Chie Hayakawa, il controverso film che l’ha vista protagonista a Udine. 

Plan 75, un film che farà discutere anche in Italia

Proprio “Plan 75”, distopia nipponica sviluppata da un corto presentato dalla stessa regista a Udine nel 2019 su un tema delicato come l’invecchiamento demografico, è il primo film di quest’edizione che vedremo nelle nostre sale, distribuito dal prossimo 11 Maggio dalla “sorella” del festival, la Tucker Film. La storia, ambientata in un futuro cupo molto verosimile, prende spunto dall’attualità del Paese più vecchio al mondo (l’Italia è seconda): nel film gli anziani sopra ai 75 anni sono invitati da cortesi call center a valutare la soluzione di un “dolce” suicidio assistito offerto dallo stato, ma i tre protagonisti – tra cui la già citata e memorabile Chieko – pur “sedotti” dalle lusinghe dei giovani dall’altra parte del telefono prenderanno decisioni sorprendenti dal sapore contro-rivoluzionario, oltre che di speranza in un mondo moralmente alla deriva.

Le ombre del Sol Levante

Potrebbero essere stati i venti di guerra che da più parti e non solo sui confini russo-ucraini purtroppo si respirano, ma non capitava da anni un FEFF così esplicitamente critico nei confronti dell’impero giapponese durante la prima parte del Novecento. La Cina con l’iper complottista “Hidden Blade” e il mitologico Tony Leung a dirigere i (sanguinosi) doppi giochi tra agenti segreti, Hong Kong attraverso le scene d’apertura dell’elegantissimo “Where The Wind Blows” con un sempre disincantato Tony Leung in combutta con un’altra figura pop come Aaron Kwok o, ancora, la Corea del Sud con le sensuali e dinamitarde spie “partigiane” di “Phantom”, tutte hanno dipinto il Giappone come il male assoluto, mentre tutto continua a tacere su quel lungo periodo tabù da parte delle produzioni del Sol Levante.

Where The Wind Blows

Il ritorno di Hong Kong

A proposito di Hong Kong, tra le tante cinematografie messe in difficoltà negli ultimi anni la piccola regione (sempre meno autonoma) della Cina è sembrata essere tra quelle più in ripresa. Perle come il già menzionato “Where The Wind Blows” – una sorta di “C’era una volta in America” made in Hong Kong ambientato nei 70s tra mafie locali, polizia corrotta e femme fatali nella colonia britannica (all’epoca);  “A Guilty Conscience”, un legal drama divertente ma dal ritmo incalzante e dai risvolti morali con richiami al presente che ha incassato più di chiunque altro nella storia del botteghino locale; “Mad Fate”, il ritorno molto “psycho” di Soi Cheang coprodotto da Johnnie To e proseguimento poetico dello splendido “Limbo”; e tanti altri film forse minori ma di qualità, tra nostalgie al neon e drammi esordienti come “Lost Love” di Ka Sing-fung, premiato al FEFF. C’è speranza, nel post-Umbrella movement, ma per continuare ad alimentarla serve essere più scaltri, creativi, veri hongkongers.

Retrospettive bollenti

Hong Kong, il più antico degli amori (il FEFF nacque dalle ceneri dell’Hong Kong Festival del 1998) ha avuto il suo posto d’onore anche al Cinema Visionario, ritornato nella sua veste più efficace di sala dedicata a retrospettive dal grande richiamo accompagnate da imperdibili master class dal vivo (come quella della leggenda Johnnie To, vecchio amico di Udine). Tanti gli omaggi, tra cui quello a un apripista degli 80s come il regista Po-Chih Leong (splendido, anche oggi, il suo “Hong Kong 1941” del 1984), ma è stato il sudcoreano Jang Sun-woo a rubare la scena, presente al Visionario e commosso alla presentazione del suo “Lies”, riproposto – come lui stesso ha raccontato al pubblico – per la prima volta senza censure dalla sua prima proiezione a Cannes di 24 anni fa. Un film (e un cinema) di forte provocazione e (tanto) sesso esplicito che lo stesso autore ha riassunto con una frase fulminante: “la democrazia in Corea del Sud è iniziata nel 1998, e noi abbiamo subito fatto un film sul sadomasochismo.” Idolo.

Giappone rivoluzionario

Edizione inaspettata per la cinematografia più imprevedibile del far east, priva di stereotipi alla “anime&samurai” ma corrosiva e provocatoria, un chiaro segno dei tempi che corrono. Detto di “Plan 75”, ha lasciato a bocca aperta il camaleontico talento di Nahana in “She Is Me, I Am Her” (protagonista in quattro diversi episodi sulla solitudine durante la pandemia): l’attrice, ospite d’onore, ha forse però dato il suo meglio nel ruolo di mistress in uno dei film più potenti del FEFF 25, quel “You’Ve Got A Friend” dell’acclamato regista Hiroki capace di esplorare con sorprendente umanità una travagliata relazione sadomaso. Sesso e dramma è stato un connubio di successo anche per “Egoist”, con l’incredibile performance di Suzuki Ryohei nei panni di un uomo gay di successo ossessionato dalla perdita del suo nuovo grande amore, mentre ha riscaldato il cuore (e il corpo, col pensiero) un film dall’approccio-zen come “Yudo”, dove la centenaria cultura dei bagni pubblici si fonde con i cardini dell’estetica giapponese totalmente devota a Madre Natura.

La rivincita degli outsiders

Possiamo dirlo: è stato (anche) il FEFF degli “altri”, dei fantasmi della società. Per la prima volta nella storia un’opera malese, “Abang Adik” ha conquistato il Gelso d’Oro del pubblico narrando con delicatezza, ritmo da thriller e fotografia calda come il cielo di Kuala Lumpur le vicissitudini di due fratelli, uno muto e uno infuriato col mondo, poveri e privi di documenti nella loro stessa città. Non sveliamo lo struggente finale, ma la scena in carcere con il rito dei gusci d’uovo siamo sicuri abbia commosso l’intero teatro. Emarginazione e minoranze sono stati temi trasversali, tra la trans filippina ingannata su una dating app in “Where Is The Lie?”, lo zoom sugli aborigeni taiwanesi di “Gaga”, il coming-of-age mongolo “The Sales Girl” su una cassiera di uno sexy shop e soprattutto l’irresistibile commedia taiwanese “Marry My Dead Body”, (forse) il primo film di sempre con protagonista un fantasma gay. Outsider, per una volta, lo erano anche due americani: il regista Ben Braun con il suo doc “AUM: The Cult At The End Of The World” ha narrato origini e derive criminali della setta di Asahara responsabile degli attentati a Tokyo nel 1995, mentre “Convenience Story” – un ironico fantasy tra universi paralleli sul mondo del cinema e degli sceneggiatori - è finito sotto i riflettori per il soggetto originale scritto da Mark Schilling, storica figura di riferimento dei film del FEFF per il Giappone.

il film malese Abang Adik” ha conquistato il Gelso d’Oro del pubblico

La versatilità del FEFF e della Corea del Sud

La selezione sudcoreana ha fatto felice ogni tipo di pubblico, dagli amanti dell’horror con “The Other Child” al già citato esplosivo action storico “Phantom”, passando per la lacrima facile del romanticissimo ed equilibrato “Ditto” (una brillante variazione sul tema di “Ritorno al Futuro”, meno viaggi nel tempo ma più intrecci sentimentali) e le risate a denti stretti con il demenziale “Killing Romance”. Una spanna sopra “The Night Owl”, l’immancabile dramma in costume e sbalorditivo esordio alla regia di An Toe-jin, con una storia e un’innovativa estetica per le scene in notturna ricamate attorno a un povero agopuntore cieco assunto a corte. Il secondo posto nelle votazioni del pubblico se l’è invece aggiudicato “Rebound”, con la vera impresa di una squadra di basket liceale di Busan arrivata alla finale del torneo con una rosa di “reietti”. Una sorta di “Colpo Vincente” molto meno epico, ma “crowd pleasure” dall’ottimo risultato grazie (anche) all’accurata scelta degli attori, identici ai veri protagonisti della storia titolare della standing ovation più lunga di questo trionfale Far East Film Festival 2023.

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