The Fabelmans, la recensione del film di Steven Spielberg

Cinema

Letizia Rogolino

@Ufficio Stampa

Steven Spielberg condivide il suo amore per il cinema attraverso un film magico, emozionante e intimo che profuma di celluloide

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Il più grande spettacolo dopo il Big Bang è The Fabelmans, il nuovo film di Steven Spielberg presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma per Alice nella Città. La pandemia ha alimentato la paura per il futuro del cinema, una forma d’arte spesso sottovalutata, e grandi registi come Alfonso Cuaron e Kenneth Branagh di recente hanno realizzato film - come Roma e Belfast - per celebrare il loro amore per il grande schermo. Ora è il turno di Spielberg, il regista di capolavori come E.T. L’Extraterrestre, Salvate il Soldato Ryan, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Lo Squalo e altre storie indimenticabili che hanno donato vita a un mondo fantastico plasmato dal sogno e da una fervida immaginazione. The Fabelmans è la sua personale dichiarazione d’amore a quella forma di artigianato di illusioni, cuore e poesia a cui ha dedicato la sua esistenza.

Scienziati vs Artisti

“I film sono sogni” dice convinta Michelle Williams all’inizio di The Fabelmans quando lei e il marito, interpretato da Paul Dano, portano per la prima volta il figlio Sam al cinema. Quelle immagini “gigantesche” rapiscono il piccolo Mateo Zoryon Francis-DeFord che, di fronte a tale meraviglia, spalanca gli occhi come Totò in Nuovo Cinema Paradiso. Da quel giorno Sam ha un pensiero fisso, girare film, e lo fa coinvolgendo le sorelle e usando quello che trova a portata di mano in giro per casa. Inzuppa la carta igienica per dare vita a mummie spaventose, finisce il ketchup per riprodurre il sangue, fa spuntare scheletri dall’armadio e inventa piccoli effetti speciali artigianali che già denunciano il suo talento nel rendere il sogno realtà. Il suo amore per il cinema prende forma e assume più forza ogni giorno.

the fabelsman cover IPA

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Credere in un sogno

I genitori assecondano la sua passione ma non la considerano allo stesso modo. Il padre Burt, ingegnere elettrico, definisce spesso “hobby” il tempo che il figlio dedica a realizzare i suoi film amatoriali, mentre la mamma Mitzi, una pianista che ha messo da parte il suo sogno per dedicarsi alla famiglia, lo spinge a coltivare la sua arte con fiducia e perseveranza. “Siamo una famiglia di scienziati contro artisti” sottolinea, mentre i Fabelman scricchiolano in gran parte per la sua depressione e la sua personalità instabile e confusa. Sam cresce con la macchina da presa come fedele compagna che lo protegge anche nei momenti difficili. Quando i suoi divorziano, lui si immagina di riprendere la scena come se fosse qualcosa che non sta accadendo realmente e, attraverso i suoi film, scopre verità non visibili all’occhio nudo, che cambiano la sua vita per sempre. The Fabelmans è un coming of age a tratti delicato e divertente, a tratti spietato e drammatico.

Il cinema è potere

Il cinema è raccontato come un potere per affrontare la vita. Sam sviluppa la giusta sensibilità verso quello che accade intorno a lui, riesce a comprendere la mamma e gli amici attraverso l’obiettivo, e trova alla fine la sua strada. Questo film è una sincera e intensa lettera d’amore al cinema da parte di Spielberg che ci racconta una favola autobiografica coinvolgente, intima, attraversata da un velo di malinconia, pur regalando diversi momenti ironici che strappano diversi sorrisi. Come i suoi film più iconici anche The Fabelmans alterna dramma e commedia per regalarci un viaggio emotivo completo immerso in una fotografia romantica color miele curata da Janusz Kaminski.

Un film personale ed emozionante

Scritto dallo stesso Spielberg con Tony Kushner, The Fabelmans racconta la vita del protagonista dall’infanzia all’adolescenza. Sam è un bambino creativo, amato dai genitori e poi diventa un adolescente che insegue il suo sogno, ha le prime cotte e deve vedersela con episodi di bullismo antisemita nei suoi confronti. Gabriel LaBelle regala un’ottima interpretazione come il resto del cast, da Seth Rogen a Judd Hirsch breve ma intenso. Come è solito fare Woody Allen, Spielberg in questa occasione ha dichiarato il protagonista il suo alter ego per condividere con il pubblico una storia personale e intima, la cui onestà si percepisce in ogni fotogramma. Chi ama il cinema non può che vivere questo film con gli occhi lucidi e una vibrazione interna di pura emozione. Una sensazione ben nota ai fan di questo regista che nel 1983 li ha fatti salire su una bicicletta volante in compagnia di una bizzarra creatura proveniente da un altro pianeta dalla quale non sono più scesi.

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