Nei suoi diari il motivo per cui Alan Rickman non lasciò mai la saga di Harry Potter

Cinema

Manuel Santangelo

Il grande attore continuò a interpretare il personaggio di Severus Piton pur tentennando più volte. Lo fece perché, convinto da J.K. Rowling, capì che il personaggio non era poi così distante da lui

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Interpretare un personaggio come Severus Piton/Snape non è facile, neanche se ti chiami Alan Rickman e per la rivista cinematografica Empire sei al numero 59 nella lista dei 100 migliori attori di tutti i tempi. Per chiunque sarebbe complicato riuscire a immaginare il professore di Hogwarts con una faccia diversa dalla sua ma oggi, grazie alla pubblicazione dei suoi diari, sappiamo che più volte Rickman è stato sul punto di abbandonare quel personaggio che a lungo lo ha fatto sentire a disagio. “Mi rendo conto che appena indosso l’anello e il costume di Piton succede qualcosa. Diventa difficile essere loquace, sorridente, aperto. Il personaggio mi sta stretto e mi irrigidisce. Non sono aspetti positivi su un set cinematografico. Non sono mai stato meno comunicativo con la troupe”, appuntava l’attore durante le riprese di uno dei capitoli di Harry Potter. Una situazione poco piacevole eppure, con il passare degli anni e con il peggioramento delle sue condizioni di salute, Rickman sentiva sempre di più il bisogno di completare quel racconto. Voleva dare un degno epilogo alla vicenda di un personaggio cui aveva scoperto di assomigliare in fondo un bel po’.

La paura di un costume immutabile

Il Guardian ha pubblicato diversi estratti del libro Madly Deeply: The Diaries of Alan Rickman, in uscita nei prossimi mesi. Il volume nelle sue 288 pagine raccoglie i pensieri annotati dall’attore durante gran parte della sua carriera, arrivando a coprire più o meno un quarto di secolo. Gli ultimi appunti risalgono a poco prima della sua scomparsa, quando un tumore a lungo combattuto se lo porterà via il 14 gennaio 2016. 
Alan Rickman aveva accettato poco convinto il suo ruolo all’interno della saga nell’estate del 2000. Il 23 agosto si trovava a Siena quando scriveva: “Sono stato al bar Palio dove, intorno alle 20:00, ho chiamato a Los Angeles e ho detto VA BENE a HP”.

Sarebbe stato solo l’inizio di un viaggio professionale e umano non sempre semplice. Già dopo il secondo film, Harry Potter e la camera dei segreti, l’interprete di Piton voleva infatti abbandonare il personaggio. Nei suoi diari viene riportata una sua conversazione con l’agente Paul Lyon-Maris: “Eccoci di nuovo nell’area di collisione del progetto. Ribadisco che non ci sarà più Harry Potter ma non vogliono sentirlo“. Rickman considerava Piton un “costume immutabile” e non voleva legarsi a un personaggio così unidimensionale. A cambiare le carte in tavola sarebbe stato l’intervento provvidenziale di J.K. Rowling.

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Severus Piton, c’est moi

L’autrice dei romanzi di Harry Potter intervenne in prima persona ogni volta che l’interprete che riteneva perfetto per il suo Piton mostrava dei dubbi. Nel tempo tra i due si venne a creare una vera e propria amicizia e, pur di non perdere Rickman, Rowling arrivò addirittura a confessargli la fine del suo alter-ego. L’attore pensava che Piton fosse un personaggio incapace di evolversi? Ebbene Rowling non si fece problemi ad anticipargli la fine eroica di quel rigido professore marchiato da un grande amore. Piton non era quello che sembrava: per citare Jessica Rabbit, lo avevano solo disegnato a lungo in quel modo. Quando Rickman lo scoprì fu bravo a tenere per sé quegli spoiler. D’altronde ciò che gli importava era essersi accertato che non ci fosse poi tanta distanza tra lui e il personaggio cui dava il volto.  Nel 2007 scrisse: “Ho finito di leggere l’ultimo libro di Harry Potter. Piton muore eroicamente, Potter lo descrive ai suoi figli come uno degli uomini più coraggiosi che abbia mai conosciuto e chiama suo figlio Albus Severus, Questo è stato un vero e proprio rito di passaggio. Una piccola informazione che Jo Rowling mi diede sette anni fa – Piton amava Lily – e che mi ha dato una scogliera a cui aggrapparmi”.

Due anni prima,  a distanza di appena qualche settimana dall’asportazione della prostata per il cancro, Rickman aveva annotato la  sua scelta di partecipare al resto della serie facendola apparire come una decisione ineluttabile:Finalmente, sì a HP 5. L’umore non è né alto né basso. La tesi che vince è quella che dice: ‘Vai fino in fondo. È la tua storia’”. Oggi non possiamo che ringraziarlo per il suo stoico impegno. Era la sua storia ma anche quella di molti di noi, in un certo senso. Era la storia di milioni di fan ben consci di come il racconto cinematografico, senza il suo Piton, non avrebbe mai avuto la stessa “magia”.

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