Guerra Ucraina, un gruppo di cineasti chiede di boicottare Mosca

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Alcuni registi e produttori cinematografici ucraini hanno proposto di punire ulteriomente la Russia citando i pericoli della propaganda e hanno criticato alcuni loro colleghi stranieri per essere rimasti "estremamente passivi" di fronte alle scelte di Putin

Sette personalità ucraine del mondo del cinema hanno di recente proposto, secondo quanto riporta Variety, di punire ulteriormente la Russia per la decisione di invadere il loro Paese, con un “boicottaggio culturale”. Mosca è già stata esclusa da alcune competizioni come l’Eurovision song contest, ma secondo loro bisogna fare ancora di più perché anche la cultura può diventare un'arma. I sette cineasti sono Roman Bondarchuk, Nariman Aliev, Alina Gorlova, Maryna Er Gorbach, Darya Bassel, Antonio Lukich e Valentyn Vasyanovych, noto in Italia per Atlantis, vincitore del premio Orizzonti per il miglior film alla 76ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

 

Le loro dichiarazioni

Vasyanovych ha dichiarato che “la Russia ha usato i suoi traguardi artistici e culturali come copertura per le sue azioni aggressive, dando l’idea che una nazione con questi risultati culturali non possa comportarsi come un cannibale sanguinario. Ma la storia ha mostrato che può”. Per questo, propone di "fermare ogni collaborazione culturale con i rappresentanti di uno Stato terroristico e tutte le comunicazioni coi registi che continuano a vivere nel paradigma sovietico e a promuovere messaggi avvelenati dall’ideologia imperiale”. Maryna Er Gorbach crede che una “posizione pubblica contro la Federazione russa in ogni area sia una cura forte per il dispotistmo”, mentre la produttrice Darya Bassel ha detto che "è una pericolosa illusione credere che la cultura sia oltre la politica, che la cultura non influenzi le opinioni e non possa essere usata come un’arma. Volete fermare l’aggressione russa? Dovreste far sì che la sua cultura non vi influenzi più”. Anche secondo Roman Bondarchuk "bisogna limitare l’influenza della Russia, la cultura ha preparato la base ideologica per questo conflitto”. Il regista ha anche criticato il comportamento di una serie di artisti russi per essere rimasti “estremamente passivi” di fronte alle azioni di Putin: “Non hanno fatto nulla per fermare questa guerra e non si sono opposti prima che iniziasse”. 

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Le armi della propaganda

Nariman Aliev, regista di Homeward - un film che parla anche dell’annessione della Crimea - ha detto: “I soldati e le bombe non sono diversi dalle armi della propaganda, che non uccidono direttamente le persone, ma giustificano quelle atrocità o distolgono l’attenzione altrove e la spostano lontano da ciò che è importante. Il boicottaggio del cinema e della cultura russa è un tentativo di pulire il mondo dalla propaganda di uno Stato terrorista”. A favore di questa misura si sono schierati anche il regista Antonio Lukich - che teme di aver perso il suo ultimo lavoro perché non è riuscito a salvare i materiali durante l'evacuazione - e Alina Gorlova, nota per This Rain will never stop, miglior lungometraggio al Festival dei Popoli: “Tutti i nostri film che dovevano uscire, probabilmente non lo faranno. Invece il cinema russo verrà presentato a tutto il mondo, non lo possiamo permettere”.

MOSCOW, RUSSIA - MARCH 6, 2019: Russian conductor Tugan Sokhiev during a charity concert by the Bolshoi Theatre orchestra at the Lomonosov Moscow State University (MSU). Anton Novoderezhkin/TASS (Photo by Anton Novoderezhkin\TASS via Getty Images)

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Le altre prese di posizione

Il Guardian scrive che, prima di loro, si erano esposti anche il regista Oleg Setsov, che è stato condannato per terrorismo dopo aver organizzato una dimostrazione contro l’annessione della Crimea, e il produttore Denis Ivanov. “Vi chiedo di supportare il boicottaggio del cinema russo a tutti gli eventi e le organizzazioni internazionali. Non è più ammissibile l’idea ‘business as usual’ nella Russia di Putin”, aveva detto quest’ultimo. Da quando è iniziato il conflitto è morto anche un attore, Pasha Lee. Il quotidiano britannico scrive che si era unito alle forze di difesa e aveva postato sui social una foto della sua uniforme.

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