Kasia Smutniak a Locarno: "Amo il confronto con ciò che mi spaventa"

Cinema

Cerca progetti che non si somiglino e prova a evitare ciò che le viene facile. Lo ha confessato l'attrice durante l'intervista pubblica nella cittadina svizzera

Un amore per "la sfida. Non mi piace ripetermi, preferisco confrontarmi con ciò che non conosco. Se c'è qualcosa che mi spaventa mi ci butto. Cerco progetti che non si somiglino e provo ad evitare ciò che mi viene facile". E' fra le linee che segue da attrice Kasia Smutniak, Leopard Club Award al Locarno Film Festival dove in una conversazione con Piera Detassis, presidente dell'Accademia dei David di Donatello, traccia un racconto di sé fra set e vita, famiglia e impegno.

Riflessiva, serena e garbata, nell'ora di dialogo al Forum, davanti a una platea distanziata nella quale c'è anche il marito Domenico Procacci, segnala anche le discrepanze tra realtà e wikipedia: "Nella pagina su di me ci sono molte cose sbagliate che non riesco a correggere", spiega sorridendo l'attrice polacca naturalizzata italiana, classe 1979. "C'è scritto ad esempio che sono arrivata seconda a un importante concorso di bellezza in Polonia: era un concorso di miss al liceo, fatto per una scommessa persa con i miei amici. Ho vinto un orsacchiotto che mia madre ancora conserva".

Al Festival, per la proiezione in Piazza Grande, in occasione della consegna del premio, ha scelto di portare Nelle tue mani (2008) di Peter Del Monte (scomparso a maggio di quest'anno, ndr): "E' un film fondamentale per me, mi ha fatto capire cosa dovessi cercare come attrice. La libertà di muovermi nel racconto e nel personaggio. Nel mio lavoro all'inizio sono come un tela bianca, in scena metto il mio bagaglio emotivo e so quanto mi costa. Sapere di lavorare con una persona che non ti tradirà è prezioso. Con Peter c'era un rapporto perfetto basato sulla totale fiducia". Tra gli altri cineasti con cui ha il legame più forte c'è Ferzan Ozpetek, "uno dei miei migliori amici ma anche una delle persone con cui ho litigato di piu' durante le riprese. Tra noi c'è un rapporto lavorativo basato sulla passione e sulla fiducia".

Una delle poche volte in cui Kasia Smutniak ha deciso di ripetersi e' stata per la versione polacca di Perfetti sconosciuti, riprendendo il personaggio interpretato nel film di Paolo Genovese, diventato da Guinness dei Primati per numero di remake (finora 18):  "Ho pensato, 'ricapita una volta nella vita un'occasione come questa...". Anche gli attori polacchi erano strepitosi, ero solo preoccupata per il menu' nelle scene a tavola. Nella versione italiana dopo aver mangiato gnocchi per settimane non li ho piu' toccati".

Tra i nuovi film che ha girato c'è il suo primo horror, Pantafa di Emanuele Scaringi: "Racconta le crisi ipnagogiche, quelle che ti fanno risvegliare con la mente mentre corpo resta dormiente, uno stato che ti può dare allucinazioni auditive e visive. Interpreto una madre un po' difficile... Pensavo di ridere sul set e invece c'è stata la paranoia". Dopo "ho girato il film di Silvio Soldini, intitolato 3/19, una storia completamente diversa, ma in albergo la notte avevo ancora paura". E' anche fra i protagonisti de Il colibrì di Francesca Archibugi,  con Pierfrancesco Favino e Nanni Moretti, dal bestseller di Sandro Veronesi vincitore del premio Strega: "Interpreto la moglie del protagonista, Marina. E' un set magico. Con Nanni e Pierfrancesco sa di casa, amici, famiglia. Mi piace tantissimo lavorare con Francesca, è una grande fan del libro ed è una donna di dolcezza infinita con cui c'e' grandissima fiducia".
 

Al lavoro da attrice per Kasia Smutniak si unisce l'impegno sociale, che l'ha portata anche a realizzare la costruzione, con l'associazione Pietro Taricone, di una scuola con dormitorio annesso nella regione tibetana del Mustang in Nepal (l'amore per quelle zone e' nato grazie a un viaggio 18 anni fa): "Il Paese è in lockdown, e abbiamo dovuto chiudere. I vaccini però sono arrivati, speriamo di poter riaprire presto". Il progetto è nato per promuovere "la salvaguardia di quella cultura straordinaria e offrire una possibilità di istruzione a bambini che altrimenti non l'avrebbero avuta". Dal pubblico arriva anche qualche domanda sugli anni in Polonia e su come ricordi il crollo del regime sovietico: "Ero bambina, ho memoria di un prima e un dopo. Del prima, nonostante a noi non mancasse nulla, perché mio padre era militare, ricordo soprattutto le ore di fila,  per qualunque cosa, dal pane alla biancheria intima. Poi con i vicini si facevano gli scambi. C'era la paura di esporsi, ma anche un grande senso di comunità". 

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