C'era una volta Ennio Morricone: il suo capolavoro universale

Cinema

Giuseppe Pastore

Nel film di Sergio Leone il lavoro più memorabile del compositore romano: un'opera di portata colossale che è diventata patrimonio dell'umanità

Nel quartiere di Brooklyn, New York esiste un pezzo di strada - precisamente all'angolo tra Washington Street e Water Street - dove il tempo si ferma. Non ha nessuna importanza che la temperatura sia 40 gradi all'ombra oppure -15 come può succedere in certe settimane gelide di gennaio: lo sguardo si alza da sé e nei giorni di cielo azzurro potete ammirare la maestosità del Manhattan Bridge che spunta tra i palazzi di mattoni rossi. Vi basterà a questo punto essere tiepidissimi appassionati di cinema per riconoscere a colpo sicuro il posto e la locandina e restare folgorati, in preda di quel religioso silenzio che ci prende davanti alla Notte Stellata di Van Gogh o capolavori del genere: solo che in questo caso non è l'immagine a travolgerci, ma qualcosa che non c'è davvero, che ci sta bussando in testa ed entrando in mente senza chiedere il permesso. Tu-tu-tu-tuuuu... quattro note scritte da Ennio Morricone e suonate dal rumeno Gheorghe Zamfir, virtuoso del flauto di Pan, in uno degli incontri artistici più ispirati e deflagranti della storia del cinema.

Lo scarto

"Hai qualche scarto?", chiese un bel giorno Sergio Leone al suo amico e uomo di fiducia Morricone. Cercava qualche idea, un'ispirazione, un'atmosfera per compiere un passo avanti nell'immaginazione di "C'era una volta in America", l'opera definitiva sul mito americano, sogno e leggenda, "la fine del cinema" come l'avrebbe definita qualche anno dopo. "Hai qualcosa che hai già pronto, ma non hai ancora utilizzato?". Ennio Morricone si mise al piano e suonò quelle note indimenticabili che poi sono passate agli archivi come il "Deborah's Theme". Le aveva davvero già pronte, come ha rivelato in un'intervista del 2016 al Corriere della Sera: erano state composte per "Amore senza fine" (1981) di Franco Zeffirelli, una collaborazione che poi era saltata per un capriccio del regista fiorentino, che voleva a tutti i costi inserire nella colonna sonora anche una canzone di Lionel Richie. Così - per sbaglio, per casualità, per coincidenze astrali - nascono spesso i capolavori. Messo a fuoco il mood, inquadrata l'epoca, Leone e Morricone proseguirono nella loro ricerca: una parte considerevole della colonna sonora di "C'era una volta in America" è fatta di adattamenti di grandi pezzi altrui, a cominciare da "Amapola", canzone del 1920 del compositore spagnolo José Maria Lacalle che ritroviamo suonata dall'orchestra nel ristorante enorme e deserto in cui Noodles porta a cena Deborah ("Volevi un ristorante sul mare? Fuori stagione sono chiusi, l'ho fatto aprire per te"), girata nella Sala degli Stucchi dell'Hotel Excelsior al Lido di Venezia.

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Ci troviamo altri classici come "God Bless America" (che era comparsa in una versione ancora più dolente in un altro gigantesco film americano come "Il cacciatore"), "Night and Day" di Cole Porter, "Summertime" di George Gershwin e anche trovate insolite e coraggiose come la rielaborazione di "Yesterday" dei Beatles, in quello strano 1968 in cui ci imbattiamo, alla stazione dei treni di New York ricostruita a Cinecittà, in un vecchio Robert De Niro che forse non esiste davvero, allucinato dall'oppio che sta fumando per dimenticare quello a cui ha appena assistito. 

Patrimonio dell'umanità

 

E ci troviamo soprattutto quelle quattro note che poi si moltiplicano fino a formare un tema incalzante, micidiale, che mette i brividi e paralizza lo spettatore, impossibile da dimenticare. La "Cockeye's Song" accompagna i ricordi più dolorosi di Noodles (la visita al cimitero oppure la morte del piccolo Dominic, inciampato sotto i suoi occhi, in quello squarcio magnifico di Brooklyn tra Washington Street e Water Street). Musica universale, stra-citata e stra-abusata - tra gli usi più spiritosi, che non sarebbe dispiaciuto al Maestro che era appassionato di calcio e tifoso romanista, anche quello che amava farne la Gialappa's Band, mettendola come sottofondo radiofonico nei momenti più drammatici delle partite dei Mondiali che finivano ai rigori. E' questa l'immortalità, quando un'opera precede il proprio autore e abbandona lentamente il significato originale per diventare patrimonio collettivo dell'umanità, fino a trascendere le differenze di lingua e di cultura. Lo scorso aprile, in pieno e disperato lockdown, Jacopo Mastrangelo, un chitarrista di 19 anni, è salito sulla terrazza del Campidoglio e ha suonato a tutta Roma il Tema di Deborah. A Ennio Morricone è stato intitolato persino un asteroide, il 152188 Morricone, scoperto una notte d'estate del 2005 tra Marte e Giove nell'osservatorio di Campo Catino da due ricercatori di cui uno italiano, Franco Mallia.

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Così viene riempito il silenzio di C'era una volta in America, un silenzio esibito e leggendario: il silenzio, per esempio, di De Niro che rigira il cucchiaino nella tazzina del caffé per un tempo infinito e costruisce il tono fiabesco di un'opera che antepone la musica a dialoghi scarni anche se memorabili ("Sono andato a letto presto" non ha bisogno di spiegazioni). Quella musica era già pronta da mesi e accompagnò gli attori sul set durante le riprese, regalando ulteriore ispirazione agli attori, senza essere semplicemente giustapposta a scatola chiusa in montaggio come accade a troppe altre pellicole. E allora torniamo a Venezia, per riascoltare per l'ultima volta il Tema di Deborah. Sdraiati sulla spiaggia, di notte, Robert De Niro ed Elizabeth McGovern vivono il loro breve attimo di grazia. Noodles le cita il Cantico dei Cantici ("il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino..."), fa una pausa e conclude: "Nessuno ti amerà mai come ti ho amato io". Ma lei è lì per dirgli che partirà domani. Musica. Forse non ce ne siamo resi conto, ma almeno una volta nella vita, anche solo per un minuto, tutti noi abbiamo voluto bene a Ennio Morricone.

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