Mio Figlio e Un giorno di pioggia a New York: i film di Sky Cinema scelti da Gianni Canova
Oggi, il vostro Cinemaniaco vi propone due film da non perdere, Si tratta di "Mio Figlio" (mercoledì 3 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due) e Un giorno di pioggia a New York (venerdì 5 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due)
Mio Figlio
Mercoledì 3 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due
Un’auto sale lungo i tornanti di una strada di montagna.Tutto intorno è grigio. Grigio pietra, grigio asfalto. Poi inizia la neve. Al volante c’è un uomo con il volto tirato. Ha appena saputo dalla ex-moglie che suo figlio, 7 anni, è scomparso mentre partecipava a un campo scuola invernale con alcuni compagni. E ora lui, il padre, vuole ad ogni costo ritrovare il bambino.
Mio figlio, Mon garçon, di Christian Carion, è uno di quei film che mettono in moto il loro meccanismo narrativo a partire da un vuoto, un ‘assenza, una scomparsa
che si apre all’improvviso nel sistema dei personaggi. Funzionano così, per dire, film come Frantic di Polanski, Picnic a Hanging Rock di Peter Weir, anche L’avventura di Michelangelo Antonioni. Cosa fanno gli altri quando qualcuno scompare? Come reagiscono? Come riempiono la voragine che gli si apre dentro?
Il protagonista del film è un geologo – almeno così dice – spesso in viaggio nel mondo. Le sue assenze prolungate sono state una delle cause del divorzio. Un uomo in apparenza silenzioso, ma in realtà è furente anche lui. Forse lo è anche con se stesso.Ma non è un giustiziere o un vendicatore alla Liam Neeson nella trilogia di Taken.Certo, se la prende con il nuovo compagno della moglie, con la polizia, con un cacciatore incontrato per caso nei boschi. Me è e resta prima di tutto un uomo spaesato e ferito, che non si capacita di quel che gli è successo. Tanto che guarda e riguarda in modo quasi compulsivo immagini e video che ritraggono il bambino prima della sua scomparsa. Ed è proprio lì, in un dettaglio in apparenza insignificante, che forse troverà la soluzione del mistero. Occhi tristi e aria imbronciata, l’attore Guillaume Canet si sottopone a un vero e proprio esperimento interpretativo: il film infatti è stato girato in soli 6 giorni, senza un copione prestabilito nei dettagli, con il protagonista all’oscuro della trama e costretto a improvvisare sul set. La frustrazione, il senso di impotenza e la rabbia cieca che riesce a trasmetterci derivano anche, credo, dall’adozione di questo particolare metodo di lavorazione. E poi c’è il paesaggio delle Alpi francesi. Fra boschi e monti impervi,
la natura appare maestosa e lontana, né ospitale né ostile. Semplicemente indifferente alle ambasce degli umani.
Un giorno di pioggia a New York
Venerdì 5 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due
Piove. La pioggia cade incessantemente sui grattacieli, sui marciapiedi, sull’asfalto. E’ una New York bagnata e piovosa quella che fa da sfondo e che forse è la vera protagonista di questo tenue e delicato film di Woody Allen. Una giornata di pioggia a New York è prima di tutto un poema d’amore per la città. Come già lo era stato, esattamente 40 anni fa, un film-culto come Manhattan. Ma qui, i gialli, i rossi, i grigi e i blu della fotografia di Vittorio Storaro prendono il posto del bianco e nero abbagliante della fotografia di Gordon Willis.
E la pioggia conferisce alla Grande Mela un fascino romantico tutto particolare. Al centro del racconto, questa volta, un ragazzo (Timothée Chalamet) e una ragazza (Elle Fanning) che decidono di passare un giorno a New York perché lei, groupie e giornalista in erba, ha ottenuto la promessa di un’intervista da un celebre e rinomato regista.
Ma Manhattan è un crogiuolo di sorprese. I due si dividono e la giornata non è esattamente come i due protagonisti pensavano che sarebbe stata. Vediamo insieme la sequenza in cui lui, che si chiama Gatsby Welles,tanto per rendere evidenti i riferimenti letterari e cinematografici a cui Allen si ispira, visita le sale del Metropolitan Museum in compagnia di un’amica.
Anche nel suo film più difficile, quello che la distribuzione americana ha congelato per mesi sulla scia degli scandali legati al MeToo, Woody Allen non si smentisce. Non si rinnova, ma conferma il suo metodo e il suo stile: come sempre nevrotico, romantico, comico e filosofico, in bilico sul confine fra ironia e nichilismo, anche questa volta osserva la vita con un sorriso irriverente, intriso di sarcasmo e disincanto. Vittorio Storaro usa spesso il grandangolo per allargare la visuale sulla città che Woody Allen adora. E alla fine, tra una folla di personaggi tutti più o meno tipici, la vera protagonista è proprio ancora e sempre lei, la Grande Mela. Piovosa, bagnata, lucida. Irresistibile..