Il regista americano si racconta in un libro edito da La Nave di Teseo. Tra film, amori, amicizie e divorzi, Woody Allen racconta la sua versione dei fatti in un'autobiografia ironica e piena di guizzi creativi
“Ma come mai a voi europei piace tanto Woody Allen?” E’ una domanda che mi sento spesso fare dai miei amici e colleghi americani. Non mi voglio arrogare il diritto di rispondere per tutto il continente, ma credo che in gran parte sia perché Allen ha fatto per noi europei quello che, come ci racconta nella sua biografia, ha fatto per lui sua cugina Rita, che lo portava a vedere grandi classici di Hollywood. 5 anni lui,10 lei. Da un appartamento soffocante di Brooklyn alle magioni con i telefoni bianchi e donne bellissime e elegantissime. Anche Allen ci ha trasportato in un mondo fatto di penthouse dell’Upper East Side con vista su Central Park, dove le giornate si possono trascorrere tra dialoghi brillanti e triangoli amorosi. Ci ha frequentemente illuso per un’ora e mezza che possa esistere una vita illuminata perfettamente, con mezzi economici illimitati, al tramonto, o sotto la pioggia, punteggiata da ironia intellettuale. Ha inoltre assecondato la tendenza europea a fantasticare sulla Grande Mela .
“A proposito di niente,” la sua autobiografia, pubblicata in Italia da La Nave di Teseo, ma rifiutata dal primo editore americano Hachette, dopo uno sciopero del personale, all’alba delle nuove accuse mosse al regista , è un cronologico racconto della sua vita . Allen, nato Allan Konigsberg il 30 novembre del 1935, ma registrato dai genitori il primo dicembre, si trova da subito in un mondo in cui “non sarà mai a sui agio, che non approverà, non capirà e non perdonerà”. E’ un memoir che ondeggia tra un atteggiamento ironico e autodenigratorio, dove costantemente si dichiara incredulo della sua fortuna a donne e sul lavoro, e manie di grandezza, alimentate dalla lunga lista di suoi fan eminenti che si premura di farci conoscere. Se siete fan di Woody Allen, come sono io, non potete non leggerlo. Essendo un regista che non riguarda i suoi film, non ne discute, non ne parla a cose finite e non partecipa a omaggi che lo riguardano, “A proposito di niente” è finalmente l’occasione di sentire dalla sua voce piccoli aneddoti e dettagli della sua vita e della sua cinematografia. Ci ricorda che era, contrariamente alle apparenze, un ragazzino particolarmente portato per gli sport (con una certa propensione per il baseball) e tenta in tutti i modi di convincerci che non è un intellettuale, ma che si è dato alla lettura solo per conquistare una ragazza, un unico appuntamento, a cui a causa della sua ignoranza in materia di letteratura non ne seguirono altri . Gli amanti dei trivia godranno di sapere quali sono i libri che non ha letto e che non si sogna di leggere (tra cui l’Ulisse o Lolita ), si appunteranno la lista delle sue ispirazioni cinematografiche, o si scandalizzeranno di sapere della sua indifferenza verso Charlie Chaplin o Stanlio e Ollio. Ci racconta che l’espulsione dal college (era iscritto a NYU ) lo inizierà ad una lunga relazione con vari tipi di psicoanalisi e di psicoterapia di cui si affretta a confermarci l’inutilità.E di come vari incontri fortunati e fortuiti lo porteranno a farsi pubblicare le prime battute sui quotidiani per poi diventare autore e comico di successo. Le sue origini da scrittore sono forse la parte del libro più noiosa, o senz’altro quella più simile ad un curriculum vitae ben scritto. Dei suoi film invece parla con ironia e leggerezza, assicurandoci che non li ha mai riguardati una volta né letto una sola recensione a partire da un certo punto della sua vita in poi. Ci racconta senza scendere in dettagli troppo tecnici vita sul set e scelte di casting, piccoli episodi curiosi (Emma Stone gli ha insegnato a mandare sms, non ha idea di perchè Marillon Cotillard piangesse sul set) senza mai soffermarsi troppo su ogni singolo film, ma fornendoci qua e là sue massime personali che anticipano le domande che un lettore potrebbe fargli (e che si sarà sentito fare milioni di volte) , tipo: “la mia teoria dopo anni è che il problema sia sempre la sceneggiatura”.
Allen passa in rassegna tutte le sue relazioni più importanti, citando, quasi sempre con affetto, le nevrosi e psicosi di ognuna delle sue compagne. Nemmeno Diane Keaton, di cui parla con rispetto, si salva: era bulimica, ma pur vivendoci insieme lo scoprirà solo leggendo la sua (di lei ) autobiografia. Che ne fa quantomeno un compagno assente. Ma in ogni caso, elencando come li chiama lui i red flags, di ogni relazione che, infatuato dalla bellezza e dall’intelletto della compagna avrebbe ignorato, ci lascia con la vaga sensazione di essere alla costante ricerca di un condono su come si sia allontanato da ognuna di loro. E’ un build up agli eventi che lui ci dice spera non siano il motivo per il nostro acquisto del suo libro: le accuse che Mia Farrow (e successivamente i figli Dylan e Ronan) hanno mosso contro Allen prima nel 1992 e poi nel 2014.
Con dovizia di dettagli Allen si addentra nelle testimonianze e nelle indagini che lo hanno scagionato all’epoca del processo, dedicandovi molte pagine, che ci assicura essere state battute con la stessa macchina da scrivere Olympia con cui scrive tutto, da quando ha 16 anni.
In quel momento si spezza l’illusione, si ferma la musica jazz che sentiamo di sottofondo alla voce di Allen, terminano le battute ironiche che ci alleggeriscono dal peso della vita. Leggiamo di udienze e di accuse reciproche con un progressivo groviglio nello stomaco che ci porta quanto più lontano dalla meraviglia e dall’ironia delle sue pellicole, per addentrarci in uno scenario di miserie umane. Ascoltiamo un uomo ottantaquattrenne, ostracizzato da molti dei suoi pari, con un ultimo film Riefkin Festival di cui ha fatto fatica a trovare un cast, quello precedente , Un giorno di pioggia a New York, mollato a posteriori dalla distribuzione americana e quindi mai uscito in quel paese, una causa legale pendente con Netflix che non ha fatto uscire la sua serie e progressive dichiarazioni di allontanamento fatte dagli attori (non tutti) che hanno lavorato con lui; cercare, dopo un lungo silenzio, di difendersi e di fare valere la sua versione dei fati. Che in sostanza è : “io e Mia Farrow eravamo già distanti e Soon Yi aveva 22 anni. Ci siamo innamorati tra due adulti consenzienti, ho scattato delle Polaroid che non avevo intenzione di mostrare a nessuno ma che Mia ha trovato a causa di una mia distrazione e lei per vendetta ha manipolato mia figlia Dylan e poi Ronan impiantandole un falso ricordo di molestie nel cervello.” I toni sono aspri, intrisi di risentimento. Ecco perché rimpiango di averlo letto. Allen dice di se stesso che il personaggio che più gli assomiglia è Cecilia, la protagonista de La Rosa Purpurea del Cairo, quella timida spettatrice che si rifugiava dalle bruttezze della vita, immergendosi nella magia del cinema, tanto da venirne letteralmente risucchiata. La sua autobiografia accende brutalmente le luci in sala e ci fa ripiombare nella tristezza della quotidianità.