Udine Far East Film Festival 2019: la nostra top 10

Cinema

Federico Buffa e Michele Pettene

Come da tradizione per ogni fine Aprile che si rispetti Udine si è trasformata per dieci giorni nella capitale europea del cinema asiatico, con la 21ma edizione dell’ormai celebratissimo Far East Film Festival iniziata venerdì 26 Aprile e conclusasi con le premiazioni la notte di sabato 4 Maggio.  Ecco la speciale classifica stilata da Federico Buffa e Michele Pettene sui 10 momenti più importanti del Festival

Tra l’affascinante quartier generale da 1200 posti del Teatro Giovanni Nuovo da Udine e il Cinema Centrale, il FEFF si è svelato ancora una volta in tutto il suo splendore al folto pubblico accorso da ogni parte d’Italia e d’Europa per immergersi nel caleidoscopico e infinito cinema del lontan Oriente. Con ben 13 paesi rappresentati da 77 film di cui 52 in concorso (14 opere prime), il Far East ha confermato a gran voce il suo ruolo di connettore tra Est e Ovest, tra “noi” e “loro”, portando a Udine attraverso la Via della Seta il meglio della scorsa stagione filmica orientale. Ecco la speciale classifica stilata da Federico Buffa e Michele Pettene sui 10 momenti del Festival

10. Arti Marziali

Potevano mancare i pirotecnici e coreografici combattimenti di arti marziali nel più importante festival di cinema asiatico in Europa? Ovviamente no. Seppur una delle missioni del FEFF sia da sempre quella di sradicare gli stereotipi che abbiamo dei film orientali (no, non sono solo calci volanti e horror!) una buona dose delle migliori tecniche marziali è stata iniettata nelle vene del pubblico durante tutto il festival, meglio se negli spettacoli di seconda o terza serata. Tra classici di Hong Kong con l’ultimo Ip-Man (“Master Z: The Ip-Man Legacy”) e “Project Gutenberg” con l’intramontabile idolo Chow Yun-fat, indonesiani dalle sfumature fantasy inneggianti al silat (“Il Guerriero 212”), gli applausi sono stati soprattutto per l’ultimissima opera proiettata, il vietnamita “Furie”. Inserito in extremis nel palinsesto dopo l’accordo con Netflix, si basa tutto sul talento esplosivo e creativo made in Vietnam di Veronica Ngo, cresciuta in Norvegia e ormai celebre in tutto il mondo per aver interpretato la combattente Paige Tico in “Star Wars - Gli ultimi Jedi”. “Furie” segue la vendetta di una donna cui hanno rapito la figlia in una Saigon moderna, sporca e senza pietà: lieto fine telefonato, ma in mezzo alcune sequenze da urlo hanno fatto saltare in piedi tutto il teatro.

9. Anziani alla ribalta

Tra le migliaia di ragioni per venire al FEFF c’è di sicuro quella di poter assistere a tematiche e utilizzi del mezzo filmico cui non siamo abituati da queste parti. Ne parleremo anche più avanti, ma intanto elogiamo e consigliamo un terzetto di film completamente dedicati alla terza età che hanno commosso, fatto riflettere, emozionato e divertito. “Il Cielo Attende” è la stramba, ironica e melodrammatica storia d’amore filippina ambientata in un improbabile limbo contemporaneo, con il mitico Eddie Garcia (atteso al prossimo FEFF) e la sua amante entrambi in là con gli anni alle prese con i ricordi di una passione contro cui la morte -  e le burocrazie per entrare in Paradiso - nulla potranno. In “Romang”, il più doloroso e significativo, un’anziana coppia sudcoreana và incontro al proprio destino dopo essersi riconciliata di fronte alla comune malattia della demenza senile, mentre in “Crossing the Border” un simpatico nonnetto si farà un on the road tra le campagne cinesi insieme al nipotino, alla riscoperta della natura, delle tradizioni e delle piccole cose che danno senso alla vita.

8. Governo cinese “evoluto”

La censura della Cina su qualsiasi faccenda che riguardi la sua immagine verso il mondo esterno non è roba da prendere alla leggera, e naturalmente il cinema non fa eccezione. Negli ultimi anni i registi cinesi si sono trovati davanti a dei bivi inevitabili, tra la scelta di un cinema indipendente bloccato in patria e visibile solo all’estero o film “autorizzati” con cui poter conquistare il pubblico da sala più numeroso del mondo. La seconda soluzione sembra essere ormai diventata l’unica, un po’ per motivi di mercato e carriera e un po’ perchè raccontare certe storie ai propri concittadini è un onore e un privilegio difficili da nascondere, nonostante la longa manus di Pechino. “Dying to survive” - Gelso d’argento al FEFF - è stato Il Caso del 2018 in Cina, con una legge sui farmaci per malati terminali provenienti dall’estero (illegali ma meno costosi) fatta cambiare dopo l’uscita del potentissimo dramma ispirato ad una storia vera di un contrabbandiere capace di salvare la vita a centinaia di persone ma finito in carcere. “The Rib” invece mette “contro” la comunità cristiana e la necessità di rimanere al passo coi tempi in tema di diritti civili (è la storia del cambio di sesso di un transessuale, con il padre fervente credente e una scena - quella di un vestito da donna rosso indossato per andare a cena col genitore - memorabile). Ma ad uscirne meglio è soprattutto il governo nei titoli di coda...

7. Cinema impegnato e auspici

Detto dei due punti sopra, una delle domande che più ha aleggiato sulle nostre teste durante la kermesse è stata una riflessione “obbligata” sul nostro cinema: ma perchè l’Italia non riesce proprio a produrre questo genere di cinema? Cosa ci blocca? O chi ci blocca?

Un quesito ahinoi tuttora aperto il cui fantasma si è materializzato la mattina di Martedì 30 Aprile, al termine di una delle migliori proiezioni di questo festival: “Default” è un financial thriller sudcoreano mozzafiato che racconta - con un montaggio adrenalinico degno di un war movie - la crisi economica affrontata dalla Corea del Sud nel 1997 a causa dell’incompetenza e del conflitto d’interessi del governo dell’epoca. Sulla falsariga de “La grande scommessa” - simile trovata americana sulla grande crisi Usa del 2007 - il pubblico seguirà una devota dipendente governativa impegnata a salvare capra e cavoli ma sbeffeggiata da chi ha il potere, e un giovane broker diventato ricco per aver “scommesso” sull’ignoranza dei governanti. Con il “solito” monito finale rivolto a tutti: osservate e vigilate, affinchè una cosa simile non possa più succedere. Che dite, non servirebbe anche a noi?

6. Donne al comando

Dal FEFF continuano a passare alcuni tra i ritratti più forti, commoventi, vitali e rivoluzionari della figura femminile orientale, presentati sul palco del Giovanni Nuovo da Udine con evidente orgoglio da un’altra formidabile donna, co-pilota di questo festival. Sabrina Baracetti è sempre stata attenta nel proporre a Udine ruoli non banali, energici, innovatori legati al gentìl sesso. È stato il caso di due splendidi prodotti giapponesi. “Kampai! Sakè Sisters” è un documentario sulla prepotente ascesa delle donne in un mondo, quello della produzione del sakè, tipicamente maschile, tra “ribellioni” alle tradizionali locande per bere e mille e uno modi per creare nuovi gusti e abbinamenti. “Every Day, A Good Day” è stato forse il film più poetico di questo FEFF, raffinato e lento come il rituale della cerimonia del thè protagonista, dove ogni cosa acquista un senso capace di regalare a una giovane una finestra inaspettata sulla vita e sulla crescita. Un invito all'ascolto - della pioggia, dell'estate, dell'inverno e dell'acqua – e uno spaccato del Giappone odierno utile per conoscerlo meglio. Cui vanno aggiunti “Fly me to the Saitama” - sull’eterna lotta Tokyo vs. provincia dalle tinte ridicolmente kitsch e fantasy - e l’iper-struggente “Lying to mom”, con una madre piena di sensi di colpa cui la famiglia terrà nascosto il suicidio del figlio per gran parte del film, salvo poi riconciliarsi in un finale che ha fatto consumare tutti i fazzoletti disponibili a teatro.

5. Connessioni

In un mondo sempre più dipendente dalla tecnologia e dalla logica “da smartphone” non dovrebbe stupire che molti dei film visti al FEFF abbiano dato particolare rilevanza all’interno delle loro trame all’influenza dei telefoni cellulari sulle vite quotidiane dei protagonisti. Il più evidente da questo punto di vista è stato “Signal Rock”, filippino dall’intreccio agrodolce in cui l’attore principale può comunicare con la sorella - e quindi con il resto del mondo - solo salendo su una roccia vicino al mare, sperando che il segnale del suo telefono regga abbastanza per poter risolvere i problemi suoi e della famiglia. In “The Crossing” una ragazzina cinese povera e pronta a tutto contrabbanda iPhone tra Shenzen e Hong Kong con ovvi guai dietro l’angolo, mentre in “Lost, Found” i ricatti vengono “saldati” attraverso app per transazioni su smartphone in meno di dieci secondi. Il cinese “People’s Republic of Desire” invece ha affrontato l’argomento attraverso i social media, l’ossessione per le visualizzazioni dei video e una denuncia di un sistema malato a quanto pare irreversibile.

4. Perfetti sconosciuti coreani

Se n’è parlato talmente tanto alla vigilia che “Intimate Strangers” - il remake sudcoreano di uno dei successi internazionali italiani più fragorosi degli ultimi anni - Domenica 28 Aprile era nettamente il film più atteso del giorno, se non addirittura dell’intero festival. Il risultato finale ha convinto, scorrendo rapido su quell’equilibrio delicato tra farsa e tragedia che era stato il fattore vincente del film di Paolo Genovese, ma forse mai come in Italia il film si presta ad analisi critiche e inesorabili punti di vista distorti, considerata anche la sceneggiatura pressochè identica. Impossibile infatti sottrarsi al giochino del “chi è chi” sovrapponendo i volti degli attori della Corea del Sud ai vari Mastandrea, Giallini e Battiston, con il rischio di perdersi la fluidità di una narrazione che, tenendo fede alla diversa cultura, presenta alcune colorite variazioni allo script originale. Non da ultima un’esilarante videochiamata per controllare le zone intime di un cane in cura da una delle protagoniste, una veterinaria come Alba Rohrwacher/Bianca nella versione italiana.

3. Ospiti illustri

E se di donne meravigliose parliamo, non crediamo sia stato un caso che ad inaugurare questa ventunesima edizione ci fosse Venerdì 26 Aprile nientemeno che Jeon Do-yeon, probabilmente la più grande attrice sudcoreana contemporanea presente al FEFF con il film d’apertura “Birthday”, drammatico racconto di una delle famiglie colpite dal naufragio del traghetto Sewol nell’Aprile del 2014. Alla musa di Park Chan-Wook in “The Housemaid” è seguita un’altra favolosa attrice della Corea del Sud come Gong Hyo-jin (“Door Lock”) e soprattutto la super diva cinese Yao Chen. La bellissima attrice è il personaggio principale di “Lost, Found”, drammone cinese dalle tante lacrime che mette in discussione la vocazione alla maternità, con la bambina di una cinica donna in carriera rapita dalla sua babysitter, povera e disperata per non essere riuscita a trovare i soldi per curare la propria figlia. Oltre a loro tanti altri ospiti tra registi, attori e produttori, una bellissima tradizione tenuta viva dal FEFF che ha permesso al pubblico di entrare a diretto contatto con i protagonisti della scena cinematografica orientale, tra volti noti e nuove speranze. Come Seiji Tanaka, il 32enne autore giapponese di “Melancholic”, qui amatissimo dai più giovani e vincitore dell’ambito premio alla miglior opera prima con un noir graffiante e surreale, una delle sorprese più piacevoli.

2. Seul, le migliori lacrime le migliori risate

Ancora una volta al Far East è stata la cinematografia sudcoreana a spiccare nettamente sul resto della competizione, ma è un dato di fatto che Seul stia producendo ogni anno e in quantità industriali film di qualità assoluta, originali in un modo in cui il cinema occidentale non riesce più ad essere. Oltre ai già citati, aspettavamo tutti trepidanti il penultimo film del festival, “Extreme Job”, campione assoluto d’incassi nella storia del botteghino della Corea del Sud: un successone anche al FEFF, nonchè la proiezione che ha causato decisamente più risate grazie ad una sgangherata squadra di polizia passata a friggere polli per incastrare dei pericolosi criminali. Indimenticabili anche il thriller da aula di tribunale “Innocent Witness” - di cui eleggiamo l’ultima mezz’ora come la cosa più bella di quest’anno; il solito irresistibile “calci, pugni e redenzione” con uno dei nostri attori preferiti, Ma Dong-seok, nei panni di un pescivendolo che sogna un business in granchi enormi (“Unstoppable”); la commedia-zombie più dissacrante e divertente della competizione - “The Odd Family: Zombie on sale” - “cugina” del fenomeno dello scorso anno “One Cut of the Dead”; e soprattutto l’immancabile film epico sulle origini storiche della Corea, quel “The Great Battle” che abbonda di scene di battaglia fantastiche e spacconate (su tutte la freccia nell’occhio: chi l’ha visto capirà) e si permette un revisionismo storico piuttosto curioso. Quelle terre così duramente difese dal nemico e su cui, ci dicono, la Cina mai più entrerà, ora sono...cinesi.

1. Il FEFF di Anthony Wong

Non c’è nulla da fare, Hong Kong è e rimane il primo vero amore di questo festival. Così quando arriva a Udine un ospite d’onore del calibro di Anthony Wong - a vent’anni dalla sua prima ed unica volta in Friuli, con Johnnie To alla prima edizione nel 1999 - il Far East è destinato ad infiammarsi, ansioso di vedere l’ultimo capolavoro dell’attore di “Hard Boiled” (John Woo, 1995), “Infernal Affairs” (di cui “The Departed” di Martin Scorsese è il remake) e più di 200 altri film di una carriera più unica che rara. “Still Human”, un dramma delicato con Wong nei panni di un anziano paralizzato e con un brutto caratteraccio, non ha deluso le attese, guadagnandosi il più ambito dei premi, il Gelso d’Oro. Merito di una regia femminile (Oliver Chan) abile a carpire le emozioni più umane di un attore spesso usato per ruoli dis-umani, matti, borderline, violenti: per questo film inusuale invece, uno dei più grandi interpreti di sempre del cinema di Hong Kong ha dovuto attingere alla sua dimensione più intima, ripescando da dei dolorosi ricordi gli ultimi anni di vita della madre, anch’essa costretta alla sedia a rotelle. Un processo emozionante, evidente anche nella trasformazione del protagonista durante la storia, con una gioia di vivere ritrovata grazie ai sogni di diventare fotografa della sua nuova badante filippina, emblema dell’integrazione razziale. Il simpaticissimo Wong era però al FEFF anche con un altro film, la brillante commedia “A Home With A View” totalmente diversa e molto più spassosa, con una famiglia dagli istinti omicidi alle prese col problema del mercato immobiliare di Hong Kong: due opere totalmente diverse, due performance di Wong sublimi, seppur in modi e tempi differenti. L’essenza di un grande attore, l’essenza del Far East Film Festival.

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