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Stan Lee: il papà dei supereroi Marvel non morirà mai

Cinema

Giovanni Nahmias

Se ne è andato Stan Lee, il papà dei super poteri. Aveva 95 anni, ha inventato il mito di Spider-Man. In questo articolo raccontiamo la vita di questo figlio di immigrati che col suo genio ha popolato i nostri mondi di eroi

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Non ci abbiamo creduto subito, non abbiamo pensato fosse davvero. I supereroi hanno tanti problemi, ma per lo meno non ci lasciano mai. Quando però ho annunciato in famiglia, raggiunto da decine di messaggi, che il papà di Spider-Man non c’era più mio figlio di sette anni inaspettatamente si è messo a piangere!

Allora ho realizzato che, nonostante Stan Lee avesse sicuramente i superpoteri, non sarebbe più spuntato a sorpresa nei film Marvel a farci un salutino…

Stanley Lieber era nato 95 anni fa a New York, figlio di immigrati, e nella sua lunga vita è stato spettatore di tutte le grandi rivoluzioni dei due secoli che ha attraversato: dalla grande depressione, alla seconda guerra mondiale, dalla guerra fredda alla crisi del fumetto americano della fine degli anni ‘50, dal successivo rinascimento che lui stesso ha innescato, prodotto, alimentato anno dopo anno, fino al grande cinema, al web, alle nuove serie TV. Ha fatto in tempo a vedere lo straordinario successo di Black Panther, l’eroe nero che si inventò nei ultimi caldi anni ’60, e quest’anno di Avengers: Infinity War, i suoi Vendicatori, che ha incassato più di 2 miliardi di dollari, diventando il quarto maggior incasso della storia del cinema e il film di supereroi con i maggiori incassi di sempre.

Come tutti i suoi eroi Stan ha vissuto per molti anni una prima vita intensa, ma normale, facendo lavori diversi e approdando alla redazione di un editore dove ha iniziato a immaginare storie a fumetti di vario genere (horror, western, romantico) che hanno riscosso un certo successo. Poi la svolta epocale, all’improvviso, non sappiamo se dovuta al morso di un insetto o all’esposizione di radiazioni. Nel novembre del 1961 aveva quasi 39 anni quando ha pubblicato il primo numero dei Fantastici Quattro, con i meravigliosi disegni di Jack Kirby. Sull’onda del successo meno di un anno dopo, nell’agosto del 1962, esordiva Spider-Man, disegnato da Steve Ditko (scomparso solo cinque mesi fa).

Una doppietta formidabile che nei decenni successivi avrebbe salvato la casa editrice (di cui sarebbe diventato capo), generato un empireo di nuovi personaggi, rilanciato il fumetto americano, il cinema hollywoodiano e la cultura pop in generale, che ormai trionfa su quella classica o alta per ragioni generazionali (fino alla maglietta preferita di mio figlio con Spidey).

Pochi sono stati i grandi autori del secolo scorso che nel loro campo hanno saputo isolare con grande precisione alcuni elementi identificativi della contemporaneità. Basti citare Walter Benjamin, che nei Passages, codifica la moda, il gioco, il collezionismo, il flaneur. O Andy Wahrol, che mette a fuoco i simboli, la merce, l’apparenza e la serialità. Stan Lee porta al centro delle sue storie, e delle vite dei suoi eroi, grandi temi altrettanto significativi, come l’identità (non solo di genere, anche intesa come “il proprio posto nel mondo”), la diversità, la trasformazione, la responsabilità.

Eppure Stan ha sempre fatto tutto semplicemente perché era il suo lavoro, sapendo quando sia difficile trovarne uno e conservarlo. Non ha mai preteso di diventare un intellettuale, nonostante lo straordinario impatto della sua opera sull’immaginario collettivo, paragonabile a quello di Walt Disney o Osamu Tezuka. E per il suo pubblico c’era sempre, non era mai distante o irraggiungibile: ogni anno ai Comicon americani, facendo una lunga articolata fila e pagando una cifra congrua, si poteva stringergli la mano e fare una foto insieme.

Ed eccolo negli ultimi anni, dopo l’approdo dei suoi personaggi al grande cinema, già nonno universale, fare capolino in piccoli divertenti camei per simpatia e non certo per narcisismo, per salutare il vecchio e il nuovo pubblico. Il più esilarante forse quello in cui si presenta al matrimonio di Susan Storm e Reed Richards e viene allontanato perché senza invito! Il più significativo il recentissimo in Teen Titans Go! – Il film, dove in versione animata ruba la scena ai personaggi prima che qualcuno gli faccia notare che si tratta di un film della DC! Lui conclude: “Non mi interessa se è un film DC, adoro fare i cameo!”. Un modo geniale e ironico per superare anche l’ultima fumettosa barriera tra major. E adesso Stan è davvero di tutti, un patrimonio di questa nostra umanità.