Favola di Sebastiano Mauri con Filippo Timi: la recensione del film

Cinema

M.Beatrice Moia

"Favola" di Sebastiano Mauri con Filippo Timi è un film tratto dall'omonima pièce teatrale di successo di Timi. È una commedia fantastica e dissacrante sul tema dell’identità per raccontare, attraverso un’estetica sfarzosa, la presa di coscienza e liberazione di una straordinaria donna americana, borghese e transessuale. Favola è n questi giorni al Cinemino di Milano, distribuito da Nexo Digital. A seguire la recensione del film.

Una favola? Citiamo dal dizionario della lingua italiana Treccani: “Breve narrazione, di cui sono protagonisti, insieme con gli uomini, anche animali, piante o esseri inanimati (sempre però come tipizzazioni di virtù e di e di vizi umani), e che racchiude un insegnamento di saggezza pratica o una verità morale, spesso dichiarati esplicitamente dall’autore stesso”. E questo è il primo significato. Ma scorrendo la voce si trovano altre definizioni, come “narrazione fantastica”, “leggenda” e, ancora più sotto “fandonia”, “farsa”. Seppur diverse nelle sfumature, tutte le definizioni allontanano il concetto di favola da qualunque forma di realtà. Se questo è il presupposto, appare ancora più sorprendente l’operazione compiuta da Filippo Timi nella sua “Favola”, cioè unire in un unico flusso narrativo, la favola, la finzione e la realtà più cruda, vera e prepotente. Una molteplicità infinita di significati racchiusa in un’unica storia, in un solo plot.

Perché Timi ci dice che il sogno americano di vita perfetta diffuso negli anni Cinquanta e che consisteva nel possedere una villa nel countryside, un affascinante marito lavoratore (per lei), una moglie bellissima che ti aspetta per cena (per lui) e un’auto costosa da parcheggiare nel vialetto del giardino (sempre in bella vista), è appunto una favola, un sogno di vita perfetta che in quanto “sogno” e in quanto “perfetto” appartiene alle categorie dell’irrealtà. Ma Timi ci dice anche che un uomo transgender che si veste da donna e ama un’altra donna, anche lei, o anche lui che dir si voglia, può avere la sua favola. Ed è quella che appare nel quadretto finale con Mrs Fairytale (Filippo Timi), la sua amata Mrs Emerald (Lucia Mascino), la sua mamma “Mother” (Piera Degli Esposti) e la loro bimba. Senza ovviamente dimenticarsi di Lady, la cagnolina impagliata che funge inspiegabilmente (ma spiegabilissimo se in un contesto appunto favolistico) da motore di alcune azioni fondamentali della narrazione. Tutte insieme, spensierate, a fare un picnic in un’ambientazione idilliaca. Finalmente libere di essere quello che sono. Questa è un’altra favola, però. Non perché non sia autentica, ma perché oggi, soprattutto in alcune situazioni segnate dall’estrema marginalità relazionale, la felicità senza pregiudizi non è così scontata. E questa realtà circoscrive il sogno di felicità in una situazione quasi “fantastica”, da favola appunto, quasi sempre estranea alla quotidianità della vita reale.  A pensarci bene però, chi potrebbe affermare che il problema non lo riguardi? Vale sia per le Mrs Fairytale eterosessuali che pensano di aver sposato il marito perfetto e che, invece, le picchia, ubriaco, alla sera, sia per le Mrs Fairytale transgender che vorrebbero vivere nella loro villa da sogno con una moglie anziché con un marito ma che sono schiacciate dai pregiudizi dei vicini e del loro stesso senso di inadeguatezza. Quante sono le Mrs Fairytale “normali”, magari con marito “normale” e figli “normali” eppure schiacciate dalla sofferenza di una routine segnata da fragilità, dipendenze, solitudine, isolamento, fatiche del corpo e della psiche? Tutto “normale”? Ma “normalità”, in rapporto alla complessità dell’umano, è davvero concetto definibile senza stabilire gerarchie o non, come spesso avviene, comoda scorciatoia? Per superare inadeguatezze e pregiudizi, al di là dell’orientamento sessuale, bisogna fare i conti con il senso della vita e convincersi che, se la favola non esiste per nessuno, come sembra suggerire Timi, anche nella quotidianità più dolente si possono cogliere comunque bagliori di rinascita.

 

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