Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Montparnasse Femminile Singolare di Leonor Serraille, in questi giorni al Cinemino di Milano. A seguire la recensione del film.
Avere vent’anni e tutta la vita davanti. E nonostante ciò avvertire l’ansia bruciante di trovare un posto nel mondo, di cucirsi addosso un’identità precisa, di perdere più in fretta possibile quella liquidità adolescenziale che, dispersa nel flusso generalizzante della gioventù, non permette di sentirsi indispensabili e socialmente inseriti. Forse perché ci hanno convinti di essere l’etichetta che qualcuno ci ha incollato addosso. Dal primo giorno di scuola abbiamo imparato che il nostro valore dipende da un “giudizio”, talvolta approssimativo, talvolta verosimile che però, anche nella migliore della ipotesi, fotografa soltanto una parte di noi. Eppure anche noi, pur avvertendo la parzialità dell’operazione etichetta, desideriamo in fondo essere “definibili”, “nominabili”, inseriti in una categoria. Succede così nel lavoro, con tutte le varie qualifiche, e nella vita dove siamo mariti, mogli, fidanzati, single, ma anche milf, cougar.
Ecco allora che per una ventenne che desidera l’amore, incontrare il primo vero uomo della sua vita, può risultare estremamente pericoloso. Perché lui non si sente più un ragazzo e lei si illude di essere già donna, una persona adulta che aspira a liberarsi da quella liquidità che la invischia e che la limita. Ora che la sua identità si specchia in quella di un altro, ora che l’amore dilata la consapevolezza di sé, può sentirsi adulta e rispettabile.
E per Paula, la protagonista di Montparnasse – Femminile singolare, è l’unico modo. Tutto ruota intorno a lui, il suo professore di fotografia che l’ha resa sua musa, sua modella, sua ispiratrice. Sua, sua, sua. Paula, per dieci anni, esiste solo per lui. E, finito l’amore, finisce Paula. Interrotti gli studi per dedicarsi al suo fotografo cinquantenne, Paula ora, a trenta, non sa fare nulla. Non è nessuno. È sola in mezzo a una strada. Paula è “femminile singolare” nella grande Parigi. Così la definisce la regista, Léonor Serraille, come per sottolineare quella preziosissima identità che esiste al di là di qualsiasi implicazione sociale, di qualsiasi etichetta. Paula “è” solo per il fatto stesso di esistere. Paula “è” al di là di quello che sa fare, al di là del lavoro che trova come commessa, al di là di tutto.
Paula “è” Paula. E, alla fine, quando anche lei se ne accorge, la sua vita ricomincia grazie a un nuovo amore. Non sarà così, invece, per quella del bambino che scopre di aspettare dal professore. L’aborto è l’illusione di recidere alla radice ogni tipo di legame con quell’uomo, tanto ingombrante e tanto nocivo. “Problema” risolto? Quasi certamente no. Forse Paula sarebbe stata più autenticamente Paula se avesse accolto, insieme al ricordo di un passato doloroso, anche la speranza di un futuro migliore per il suo “femminile plurale”, insieme ad una nuova vita. Un figlio. Comunque e per sempre.