Mancano 3 giorni alla cerimonia di premiazione della 69.ma edizione del Festival del cinema di Cannes. Domenica 22 maggio scopriremo quale film vincerà tra le pellicole in concorso. Nell'attesa Gabriele Acerbo, caporedattore di Sky Cine News, ci racconta quali sono i favoriti secondo la stampa internazionale (da "Variety" a ‘Le film français’) e qual è l'opera che potrebbe aver fatto breccia nel cuore del regista George Miller, presidente della giuria
A tre giorni dalla cerimonia di premiazione di Cannes chi conquisterà la Palma d’oro? Il presidente della giuria George Miller, regista del fotonico, adrenalinico, disperato Mad Max Fury Road, per quale film sarà disposto a sbattere i pugni sul tavolo?
La Bibbia dell’entertainment Variety scommette su ‘American Honey’. Il film on the road (parola magica per Miller) segue un gruppo di ragazzi nel tentativo di fare soldi vendendo riviste porta a porta: per la giovane protagonista, lontana dalla famiglia disfunzionale di origine, rappresenterà il rito di passaggio verso l’età adulta. Shia Laboeuf a parte, gli attori sono sconosciuti, la durata interminabile (2 ore e 42 minuti) e gli applausi alla proiezione stampa modesti. Dalla sua avrebbe però un pregio: se vincesse la regista Andrea Arnold sarebbe la prima donna ad aggiudicarsi una Palma d’oro senza condividerla con altri (nel 1993 Jane Campion dovette spartirla con Chen Kaige per “Addio mia concubina”).
Gli altri due americani in concorso - e che a differenza di “American Honey” sono stati accolti con calore - sembrano straordinariamente anni luce lontani dalla poetica di George Miller: ‘Lovely’, storia vera di discriminazione razziale negli Usa fine anni ’50, nonostante la materia incandescente è troppo misurato e troppo classico per invaghire Miller; l’altro, il poetico ‘Paterson’ di Jim Jarmush, troppo minimalista.
Forse Miller potrebbe rimanere colpito dall’eleganza, dalla ferocia e dalla sensualità di ‘Mademoiselle’, il ritorno del coreano Park Chan-wook, autore di un film cult quali “Old Boy”? Il pubblico, più che rapito dal film, un lesbo-thriller in salsa melò ambientato nella Corea degli anni ‘30 e cadenzato in tre parti in cui, come in Rashomon, la verità emerge solo sposando più punti di vista, si è eccitato per un paio di sequenze grafiche davvero hot tra le due protagoniste, una ricca giapponese imprigionata in un castello dove è stata allevata a suon di pornografia e la sua graziosa serva.
A vedere le stelline che appaiono sulla rivista ‘Le film français’ che raccoglie i voti dei critici d’oltralpe, il maggior numero di consensi premia la tedesca Maren Ade - un’altra donna, attenzione! – per il suo “Toni Erdmann”. Una rampantissima manager ossessionata dal lavoro, triste e anaffettiva ha la vita sconvolta dall’arrivo del padre, un insegnante burlone che, pur di provare a renderla felice, si traveste da uomo d’affari con parrucchino oppure – in una sequenza che da sola merita la visione del film - da gigantesca creatura pelosa durante un party nudista.
Tra i favoriti anche il ritorno in grande stile di Pedro Almodovar con i dolori di madre e figlia in “Julieta” e il francese “Ma Loute” di Bruno Dumont con Valeria Bruni Tedeschi, ovvero le grottesche ferie d’agosto ai primi del 900 di un gruppo di ricchi borghesi in una comunità di pescatori poveri in canna.
Se tutti sono d’accordo che questa volta i fratelli Dardenne con “La fille inconnue” non hanno firmato l’ennesimo capolavoro da premiare sul palco del Theatre Lumière, già si litiga e parecchio sull’ultima fatica di Xavier Dolan, “Juste la fin du monde”, per il giovanissimo cineasta canadese la prima opera ad avere nel cast delle superstar (Marion Cotillard, Vincent Cassell, Lea Seydoux). C’è chi, dopo aver visto la proiezione stampa grida al miracolo e chi sostiene che sia solo teatro filmato.
Ma negli ultimi due giorni devono ancora passare tre pezzi da novanta: “The last face” di Sean Penn con l’ex compagna Charlize Theron, l’horror “The Neon Demon” di Nicolas Wilding Refn ed “Elle”. Quest’ultimo, interpretato da Isabelle Huppert che si trasforma in una Lady Vendetta dopo uno stupro, è firmato dal 77enne Paul Verhoeven che torna a girare dopo 4 anni di assenza dalle scene. Lo stesso periodo di tempo trascorso da George Miller fuori da un set prima di dirigere, a 70 anni suonati, l’eccellente “Fury Road”. Qualcosa ci dice che i giochi sono ancora aperti.