Cannes 2016: Intervista a Kean Loach

Cinema
Ken Loacha Cannes sul Red Carpet del suo film "Io, Daniel Blake" (foto getty images)
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Hakim Zejjari, inviato di Sky Cine News, ha incontrato il cineasta inglese che al Festival ha presentato il film I, Daniel Blake. E' La tredicesima volta che "Ken il rosso" partecipa a Cannes con un film in concorso

di Hakim Zejjari


(@AkimZedg  )

 

Se non esistesse bisognerebbe crearlo…a 80 anni suonati, Ken Loach torna per la 18 esima volta sulla Croisette con “Io, Daniel Blake” un ritratto implacabile e dall’umanità esemplare di due destini prigionieri di un sistema sociale allo sbando nell’Inghilterra di oggi.

 

Ha dichiarato qualche anno fa che Jimmy’s hall, che era in concorso a Cannes nel 2014, sarebbe stato il suo ultimo film, perché ha fortunatamente cambiato idea?

 

E’ stata una dichiarazione folle…ma in quei tempi ero completamente esausto dalla preparazione! poi il film si è fatto e alcune settimane dopo la fine delle riprese, ho iniziato, con il mio sceneggiatore Paul Laverty a fare ricerche su quel che ci pareva un evidente business della burocrazia statale: una macchina che usa l’arma della crudeltà intenzionale per dissuadere i cittadini a richiedere il sussidio o le indennità malattia a cui hanno diritto. E’ una realtà talmente scioccante e poco raccontata che abbiamo deciso di farne un film.

 

Quanto è importante per lei dare voce alla gente comune, ai lavoratori, agli invisibili della società?

 

Credo che sia fondamentale e il cinema ci permette di farlo. I film possono raccontare mille storie ma fondamentalmente devono riflettere il mondo. Nella vita è difficile avere un quadro chiaro e preciso della realtà, il cinema invece, permette di distillare l’esperienza delle persone… così,  vedendosi riflesso sullo schermo e con la giusta distanza, lo spettatore si può identificare nei personaggi di un film. Il cinema può cosi diventare una lente di ingrandimento che ci permette di avere una visione più chiara di noi stessi e della realtà che ci circonda.

Credo che questo genere di film nasca nella tradizione del Neorealismo Italiano che ha creato un modo rivoluzionario di affrontare il cinema.

 

E’ stato il neorealismo a farla innamorare del cinema?

 

Il cinema non mi interessava molto quando ero ragazzo, volevo fare teatro: Shakespeare e i grandi classici! Mi sono avvicinato al cinema negli anni 60 ed è in quel periodo che sono rimasto folgorato dal realismo del cinema Italiano e Cecoslovacco.

 

Qual’è il suo segreto con gli attori, lei è uno dei più grandi casting viventi!

 

E’ un vero lusso quello di poter scegliere i propri attori e di non essere schiavi dello star system. Oggi è quasi impossibile farsi finanziare un film se non hai nomi di richiamo. Ma se non hai la libertà di trovare i protagonisti che daranno vita ai tuoi personaggi non so come possano funzionare ed essere credibili.

 

Non ha l’impressione che in un questo periodo di recessione la gente abbia più voglia di evasione, effetti speciali e supereroi piuttosto che di realismo al cinema?

 

E’ vero, ma di base è un problema politico…viviamo in un sistema che non ci permette di organizzarci contro questo tipo di deriva culturale. Se iniziamo a creare un movimento contro l’invasione di questo tipo di cinema, gli spettatori torneranno a vedere film che fanno anche riflettere. Finche rimaniamo nelle grinfie del diritto estero, del marketing selvaggio, del neoliberalismo feroce, la gente non verrà al cinema a vedere film di qualità. Il cinema è anche presa di coscienza, impegno intellettuale, non dobbiamo far vincere la disperazione.

 

E’ mai stato attratto dalle sirene di Hollywood, non ha mai pensato di poterli sovvertirli in qualche modo?

 

E’ impossibile vincere in quel posto… diversi ottimi registi Europei ci sono andati ma per me i loro lavori migliori rimangono quelli fatti in patria. Sono diventati registi Hollywoodiani, gli studios sono delle grosse aziende commerciali e se non fai quello che vogliono non puoi lavorarci.

 

Il cinema è una specie di pozione della giovinezza per lei?

 

Non lo so, ma la cosa bella del cinema è che è un lavoro collettivo, non avrei girato questo film e altri senza Paul Laverty che è uno sceneggiatore straordinario! in genere il primo impulso creativo non arriva dal regista ma dallo scrittore, è lui che si ritrova per la prima volta davanti a un foglio bianco. Io ho la fortuna di lavorare con uno scrittore che ha venti anni meno di me, ed è lui insieme agli altri membri della troupe che mi mantengono giovane. Le persone con cui lavoro non mi fanno mica concessioni! non mi posso permettere di essere una persona anziana, devo lavorare e questo mi mantiene giovane perché la gente che mi circonda si aspetta qualcosa da me. Non posso mica dire: oh oggi mi fa male la schiena… devo andare avanti e basta, c’è una tabella di marcia da rispettare e quando la sveglia suona alle 6h devo alzarmi, non ci sono scuse!

 

Che dire? lunga, anzi… vita eterna a Ken Loach!      

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