The Green Inferno di Eli Roth: il Cannibal Movie al tempo dei social network

Cinema
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The Green Inferno segna il ritorno alla regia del cineasta della saga di Hostel. Come recita la locandina: un film  feroce, aberrante, efferato, estremo, inaccettabile, crudele, che ha terrorizzato pure la commissione censura  che ha vietato la pellicola ai minori di 18 anni. Un'opera che rosola l'attivismo da poltrona, l'ipocrisia dei social con il fuoco del cannibalismo tribale, tra rituali innominabili e catastrofi globali.
In onda Giovedì 24 novembre su Sky Cinema Max alle ore 21

di Paolo Nizza

 

Come scriveva Jean Paul Sartre nell'opera teatrale A porte chiuse : "L'inferno sono gli altri".

 

Soprattutto se gli altri sono una tribù primitiva dell'Amazzonia, lieta di trasfigurare un gruppo di benestanti studenti americani, socialmente impegnati,  in succulenti arrosti al forno. In fondo, è noto ai più: di buone intenzioni è lastricato proprio l'inferno.

 

Molto vorace e  assai appetente, Eli Roth torna in cabina di regia e con The Green Inferno cucina un gustoso e sardonico pamphlet in cui mette allo spiedo le anime belle convinte di cambiare il mondo con un retweet.

Tra un bulbo oculare come appetizer e una tagliata di carne umana con Tattoo, il film frolla con perizia i piatti tipici del cinema antropofago made in Italy (da Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato,  a Mangiati vivi di Umberto Lenzi) con  il video virale Kony 2012, in cui si denunciavano gli orrori compiuti dal criminale di guerra ugandese Joseph Kony.

 

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Optando per un menù non adatto a tutti i gusti,  Eli Roth mette in tavola le asprezze preconfezionate del guerrilla marketing con gli stereotipi precotti del cinema horror.  Sul Piatto quindi si materializzano Jonah, pingue afroamericano, di buon cuore che sarà inghiottito per primo, al pari del suo biblico omonimo, e  la vergine Wasp pittata e infarinata per l'estremo sacrificio che risponde al nome di Justine, in omaggio al Divin Marchese e alle disavventure della virtù.

 

Per accalappiare gli avventori più giovani al proprio desco, The Green Inferno impiatta la pellicola con una fotografia patinata da teen movie, con i consueti interni newyorchesi tanto cari agli Hipster e dintorni  che, via via,  cedono il passo ai campi lunghi della giungla sudamericana, in un'epifania di verde giungla e rosso sangue. E se come  Burroughs insegna,  il pasto è nudo, il regista americano per facilitare la digestione di certi cannibalici raccapricci, farcisce alcune sequenze di humour nero e scatologico,  tra rumorose flatulenze da cartone animato e psicotrope gag alla marijuana.

 

Così nel seguire l'odissea nello strazio del corpo e dell’anima di questi abbienti adolescenti, decisi a proteggere la foresta amazzonica dalle fameliche multinazionali e, ahimè,  destinati a estinguersi nelle ciotole di una tribù antropofaga, The Green Inferno mette sulla graticola i tanti sprovveduti che sperano di placare la fame di giustizia e saziare la propria coscienza sfornando velleità 2.0, condite dalla cieca arroganza di chi crede davvero di spiegare e risolvere ogni cosa  in 140 caratteri.

 

Insomma Eat the Rich, canterebbero gli Aerosmith.  


D’altronde  la ricetta era già stata provata dal MasterChef delle grandi abbuffate, Marco Ferreri, nel film "Come sono buoni i bianchi".

Specialmente in salsa Social, con una  julienne di Youtube, una spruzzata di Instagram, uno spicchio di twitter, una goccia di Facebook.

 

E quindi buona visione e Bon Appétit

 

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