Dopo la Mostra del Cinema di Venezia, ciò che resta è l'uomo

Cinema

Sara Albani

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Presentato fuori concorso alla 72ma Mostra del Cinema di Venezia e proiettato in contemporanea il 12 settembre alle Nazioni Unite in occasione del loro 70° anniversario, il documentario Human di Yann Arthus-Bertrand è già disponibile su YouTube in sei lingue e creerà sei canali che offriranno tre film da 90 minuti. “Sarà anche offerto gratuitamente alle organizzazioni benefiche e ai centri culturali – dice il regista – perchè vorrei che avesse il massimo della distribuzione possibile”.

Sapevo che sarebbe stata un'esperienza e non una semplice proiezione. Già a partire dal titolo, Human, una parola che racchiude tutto ciò che ti immagini ti possa riguardare in quanto essere umano. E dal nome del regista, il fotografo-attivista francese Yann Arthus-Bertrand, settant'anni sulle spalle, già autore del documentario ecologista Home, un sorriso vivace sotto i baffi brizzolati e una vita dedicata a immortalare porzioni di mondo dall'alto di un elicottero.
191 minuti, più di tre ore di documentario presentato fuori concorso. Mentre fuori dalla sala impazzava il tradizionale cicaleccio su “totoleone” e dintorni, sul grande schermo si incastonavano, nel vero senso del termine, parole pesanti come pietre, lievi come un soffio, bagnate da lacrime o accompagnate da sorrisi, ma tutte pronunciate da labbra di uomini e donne comuni, fotografati nella brutalità di un primo piano da cui nessuna emozione può sfuggire.
E' stato necessario un lavoro mastodontico per dare voce all'umanità. Nell'arco di più di due anni Yann Arthus-Bertrand e la sua équipe hanno realizzato 2020 interviste in 60 paesi del mondo, in 63 lingue diverse. Una carrellata di piccole grandi storie individuali che si inseriscono nel macrocosmo della Storia: dal combattente siriano al sopravvissuto al genocidio in Burundi, dal moderno schiavo della canna da zucchero di Haiti alle donne violate, emancipate o fiere della loro essenza di angeli del focolare. Un confessionale aperto, senza filtri, senza tagli interni di montaggio, nel rispetto dei silenzi naturali che inframmezzano il racconto delle proprie, personalissime risposte alle domande più universali: qual è stata la prova più difficile che ha dovuto affrontare nella vita? Qual è il tuo rimpianto più grande? Quando hai pianto l'ultima volta? Che cos'è la famiglia? Che cos'è l'amore?
Nello spettatore l'empatia che ne scaturisce trova spazio per sedimentarsi: vedute aeree di mari in tempesta, deserti al tramonto, agricolture sterminate, folle oceaniche che animano feste di strada sono solo alcune delle spettacolari parentesi visive che ci vengono offerte. “Immagini simboliche che vogliono mostrare quanto è bella la vita. – spiega il regista – Sognavo un film in cui la forza delle parole entrasse in risonanza con la bellezza del mondo. Per questo una straordinaria fonte di ispirazione per me è stato il film di Terrence Malick Tree of life, perchè racchiude in sé il connubio tra la creazione del mondo e l'intimità di una famiglia”.
Ai nostri microfoni Yann Arthus-Bertrand racconta l'origine di questo progetto:
“La scintilla si è accesa durante un mio viaggio nell'Africa occidentale, nello stato del Mali. Sono stato due giorni ospite di una famiglia di contadini che coltivano la terra, ogni giorno, per la loro sola sopravvivenza. Ho toccato con mano il loro sacrificio quotidiano. Mi hanno raccontato il loro mondo, il rapporto con le variabili del meteo, con la malattia. Ciò che ho ascoltato mi ha trasformato la vita. Già conoscevo quello di cui mi parlavano, ma è stato il modo in cui lo facevano, guardandomi dritto negli occhi, a folgorarmi. Da quel momento, ogni volta che salivo su un elicottero per effettuare delle riprese aeree e dall'alto vedevo uomini e donne impegnati nelle loro attività, mi veniva spontaneo chiedermi: chissà lui o lei cosa potrebbe raccontarmi della sua vita.”
E la testimonianza che più di tutte le ha toccato il cuore?
“A questa domanda mi piace rispondere sempre così: io sono tutti loro. Tutti quelli che parlano sono io che parlo. Gli altri siamo noi. Parlano di tutto ciò che ci rende umani, di quale sia il fattore imprescindibile che fa di ognuno di noi un essere umano. Molte sono le risposte, ma quella che sembra predominare è l'amore, accettare e perdonare. Alla fine del film un bambino africano, interrogato sul senso della vita, dice che ognuno di noi ha una missione in questo mondo. E aggiunge: io ho il compito di trovarla non solo per me, ma per il bene di tutta l'umanità”.

 

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