E’ dalla penna dello scrittore pisano che nascono i due film “I Delitti del BarLume”. Tra giallo e commedia Malvaldi racconta l’Italia di provincia vista dal bar del paesello. Leggi l'intervista
di
Barbara Ferrara
Un debutto, quello del 2007, che è andato oltre la sua immaginazione: credeva di avere scritto un giallo, magari un buon giallo, ma mai Marco Malvaldi avrebbe pensato di diventare un uomo di classifica, una rivelazione col botto, un caso editoriale straordinario. La briscola in cinque è stato l’inizio di un percorso che all’attivo conta quattordici libri tra cui Il re dei giochi e La carta più alta editi da Sellerio Editore dai quali sono nati i due film de " I Delitti del BarLume" per la regia di Eugenio Cappuccio.
Tra giallo e commedia la trasposizione televisiva de Il re dei giochi e La carta più alta prodotta da Sky Cinema, racconta l’Italia di provincia sullo sfondo del litorale toscano tra Pisa e Livorno, nell’immaginaria cittadina di Pineta. Qui ritroviamo i protagonisti: Massimo Viviani, l’arguto “barrista” (rigorosamente con due “r” alla toscana) interpretato da Filippo Timi al suo debutto televisivo, i quattro vecchietti o “diversamente giovani” che dir si voglia, Ampelio, Pilade, Gino e Aldo, rispettivamente interpretati dal compianto Carlo Monni, Atos Davini, Marcello Marziali e Massimo Paganelli; il commissario Vittoria Fusco con il volto di Lucia Mascino, e l’avvenente banconista Tiziana (l’esordiente Enrica Guidi) al suo primo ciak.
Tutto ruota intorno al bar di Massimo, dove come dice Malvaldi, “ il cliente non ordina, ma chiede e il barrista è libero di fare variazioni sul tema”. Qui le giornate trascorrono lente tra chiacchiere, caffè, partite a biliardo, pettegolezzi e commenti sul meteo. All’improvviso un omicidio rompe la routine quotidiana e da questo momento in poi i quattro attempati anzianotti si improvvisano detective. Sarà poi il sesto senso di Massimo, ex matematico e proprietario del BarLume, a dare una svolta al caso. Ma non vogliamo anticiparvi troppo, abbiamo incontrato lo scrittore pisano (chimico di formazione e cantante lirico mancato) nella sede milanese di Sky. Ecco cosa ci ha raccontato.
Le formule chimiche aiutano nella stesura dei romanzi?
Più che le formule, la noia conseguente ai lunghi esperimenti di laboratorio. La noia è il motore della creatività, mentre passavo il tempo chiuso tra quattro mura ad occuparmi di chimica con il corpo e la fantasia iniziavo a viaggiare lontano. E la scrittura ne ha beneficiato.
Come nasce l’idea di far ruotare tutto intorno al bar?
Dal semplice fatto che il bar è l’unica istituzione italiana democratica. E’ un imbuto sociale. Lì dentro la vita rallenta, ed è al tempo stesso un mondo che ti definisce. E’ l’agorà 2.0, il posto della chiacchiera sociale, dove si parla e si ascoltano gli altri. Il bar di provincia da me funziona che se sei un abituale cliente e un giorno non ti fai vivo il barista ti chiama a casa per sapere se ti è successo qualcosa.
Un po’ quello che succede sui social network…
I social network hanno sostituito il bar solo nella forma, le emoticon tra le persone non sostituiscono il linguaggio non verbale. Al bar l’atmosfera è quella che si crea tra persone che si raccontano come davanti al camino di casa. O tutti intorno a un tavolo a chiacchierare. In rete è tutto finto. Al bar ci devi fisicamente andare e andar via quando decidi tu, su facebook potresti anche decidere di non staccare mai.
Il bar come elogio della provincia?
Dirò un’ovvietà, ma la vita in provincia scorre a un’altra velocità, hai il tempo per vedere le persone, ascoltarle. In città è tutto diverso.
A chi si è ispirato per il personaggio di Massimo interpretato da Filippo Timi?
Da baristi veri del mio paese in particolare da uno con la cultura delle cose inutili, lui è uno che conosce il gaelico: nel caso in cui arrivasse qualche cliente irlandese. Invece un altro di Tirrenia che seduto dietro il bancone legge “I fratelli Karamazov” con i piedi immersi in un catino e alla richiesta di un caffè risponde un sonoro: ”No”. Ho pensato che una cosa del genere non potessi tenerla solo per me, dovevo condividerla.
Cosa pensa della scelta di Timi?
Nei miei romanzi descrivi Massimo un burbero, moro, alto e con uno sguardo magnetico , quando mi hanno comunicato che avevano scelto Filippo Timi mi son detto “benissimo”. Non poteva andare meglio.
La trasposizione televisiva di un libro è sempre un po’ rischiosa, ha avuto paura delle trasformazioni?
E’ una sfida, ti devi affidare. Per esempio il mio commissario nel romanzo è un uomo, ma ho trovato originale l’idea di trasformarlo in un commissario donna. Ora nei prossimi romanzi lo penserò donna.
Altri elementi interessanti?
Alcuni comportamenti che ha inserito Filippo Timi, per esempio la sua ossessione maniacale a tenere perfettamente in ordine il bar ed essere al tempo stesso un disastro a casa, completamente disordinato. E poi il bar, nei miei romanzi è diverso ma mi è piaciuto tantissimo come è stato realizzato.
A chi avrebbe voluto far fare un cameo?
A Margherita Hack. Filippo Timi invece avrebbe tanto voluto la signora in giallo, sogna ancora di poterle servire un tè nel suo BarLume.
Un debutto, quello del 2007, che è andato oltre la sua immaginazione: credeva di avere scritto un giallo, magari un buon giallo, ma mai Marco Malvaldi avrebbe pensato di diventare un uomo di classifica, una rivelazione col botto, un caso editoriale straordinario. La briscola in cinque è stato l’inizio di un percorso che all’attivo conta quattordici libri tra cui Il re dei giochi e La carta più alta editi da Sellerio Editore dai quali sono nati i due film de " I Delitti del BarLume" per la regia di Eugenio Cappuccio.
Tra giallo e commedia la trasposizione televisiva de Il re dei giochi e La carta più alta prodotta da Sky Cinema, racconta l’Italia di provincia sullo sfondo del litorale toscano tra Pisa e Livorno, nell’immaginaria cittadina di Pineta. Qui ritroviamo i protagonisti: Massimo Viviani, l’arguto “barrista” (rigorosamente con due “r” alla toscana) interpretato da Filippo Timi al suo debutto televisivo, i quattro vecchietti o “diversamente giovani” che dir si voglia, Ampelio, Pilade, Gino e Aldo, rispettivamente interpretati dal compianto Carlo Monni, Atos Davini, Marcello Marziali e Massimo Paganelli; il commissario Vittoria Fusco con il volto di Lucia Mascino, e l’avvenente banconista Tiziana (l’esordiente Enrica Guidi) al suo primo ciak.
Tutto ruota intorno al bar di Massimo, dove come dice Malvaldi, “ il cliente non ordina, ma chiede e il barrista è libero di fare variazioni sul tema”. Qui le giornate trascorrono lente tra chiacchiere, caffè, partite a biliardo, pettegolezzi e commenti sul meteo. All’improvviso un omicidio rompe la routine quotidiana e da questo momento in poi i quattro attempati anzianotti si improvvisano detective. Sarà poi il sesto senso di Massimo, ex matematico e proprietario del BarLume, a dare una svolta al caso. Ma non vogliamo anticiparvi troppo, abbiamo incontrato lo scrittore pisano (chimico di formazione e cantante lirico mancato) nella sede milanese di Sky. Ecco cosa ci ha raccontato.
Le formule chimiche aiutano nella stesura dei romanzi?
Più che le formule, la noia conseguente ai lunghi esperimenti di laboratorio. La noia è il motore della creatività, mentre passavo il tempo chiuso tra quattro mura ad occuparmi di chimica con il corpo e la fantasia iniziavo a viaggiare lontano. E la scrittura ne ha beneficiato.
Come nasce l’idea di far ruotare tutto intorno al bar?
Dal semplice fatto che il bar è l’unica istituzione italiana democratica. E’ un imbuto sociale. Lì dentro la vita rallenta, ed è al tempo stesso un mondo che ti definisce. E’ l’agorà 2.0, il posto della chiacchiera sociale, dove si parla e si ascoltano gli altri. Il bar di provincia da me funziona che se sei un abituale cliente e un giorno non ti fai vivo il barista ti chiama a casa per sapere se ti è successo qualcosa.
Un po’ quello che succede sui social network…
I social network hanno sostituito il bar solo nella forma, le emoticon tra le persone non sostituiscono il linguaggio non verbale. Al bar l’atmosfera è quella che si crea tra persone che si raccontano come davanti al camino di casa. O tutti intorno a un tavolo a chiacchierare. In rete è tutto finto. Al bar ci devi fisicamente andare e andar via quando decidi tu, su facebook potresti anche decidere di non staccare mai.
Il bar come elogio della provincia?
Dirò un’ovvietà, ma la vita in provincia scorre a un’altra velocità, hai il tempo per vedere le persone, ascoltarle. In città è tutto diverso.
A chi si è ispirato per il personaggio di Massimo interpretato da Filippo Timi?
Da baristi veri del mio paese in particolare da uno con la cultura delle cose inutili, lui è uno che conosce il gaelico: nel caso in cui arrivasse qualche cliente irlandese. Invece un altro di Tirrenia che seduto dietro il bancone legge “I fratelli Karamazov” con i piedi immersi in un catino e alla richiesta di un caffè risponde un sonoro: ”No”. Ho pensato che una cosa del genere non potessi tenerla solo per me, dovevo condividerla.
Cosa pensa della scelta di Timi?
Nei miei romanzi descrivi Massimo un burbero, moro, alto e con uno sguardo magnetico , quando mi hanno comunicato che avevano scelto Filippo Timi mi son detto “benissimo”. Non poteva andare meglio.
La trasposizione televisiva di un libro è sempre un po’ rischiosa, ha avuto paura delle trasformazioni?
E’ una sfida, ti devi affidare. Per esempio il mio commissario nel romanzo è un uomo, ma ho trovato originale l’idea di trasformarlo in un commissario donna. Ora nei prossimi romanzi lo penserò donna.
Altri elementi interessanti?
Alcuni comportamenti che ha inserito Filippo Timi, per esempio la sua ossessione maniacale a tenere perfettamente in ordine il bar ed essere al tempo stesso un disastro a casa, completamente disordinato. E poi il bar, nei miei romanzi è diverso ma mi è piaciuto tantissimo come è stato realizzato.
A chi avrebbe voluto far fare un cameo?
A Margherita Hack. Filippo Timi invece avrebbe tanto voluto la signora in giallo, sogna ancora di poterle servire un tè nel suo BarLume.