In Treatment: la parola ad Adriano Giannini

Cinema
Adriano Giannini © Antonello&Montesi
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Nella serie interpreta Pietro, il marito di Lea (Barbora Bobulova) con la quale sta vivendo una crisi coniugale con i fiocchi. Abbiamo incontrato l’attore per chiedergli di rivelarci qualcosa di più sul suo personaggio. Ma non solo…

Lui è Adriano Giannini, ma d’ora in avanti sarà Pietro.
Si chiama proprio così il personaggio che interpreta sul set di In Treatment, la serie televisiva che vanta più record di novità.
Da quelle contenutistiche a quelle strutturali e registiche fino ad arrivare alla novità assoluta nella programmazione (per la prima volta, infatti, tutti gli episodi della settimana saranno disponibili anche in anteprima ogni lunedì sul nuovo Sky On Demand e su Sky Go), anche i personaggi sono assolutamente innovativi.
E Pietro è senza dubbio uno di questi.
Siamo andati a chiedere direttamente a lui cosa ne pensa della serie diventata già cult.

Come è entrato a far parte del cast di In Treatment?
Ho partecipato al provino, anzi: alla serie di provini. Dopo tre o quattro incontri, mi ha chiamato Saverio Costanzo (il regista, n.d.r.) e mi ha detto di avermi scelto. Ci siamo piaciuti fin da subito e abbiamo costruito un rapporto davvero interessante.
I ciak sono stati impegnativi?
Dieri di sì, ma più che i ciak la parte immediatamente precedente, ossia quella della memorizzazione. Trattandosi di ciak di venticinque minuti, abbiamo dovuto imparare parti molto più lunghe rispetto a quelle che di solito si devono recitare in scene televisive o cinematografiche. Abbiamo avuto solamente una decina di giorni per memorizzare tutto il copione, inoltre io, Barbora e Caprino abbiamo incominciato per primi le riprese, quindi siamo stati costretti a imparare il copione in un lasso di tempo inferiore rispetto al resto del cast. E 200 pagine da imparare a memoria non sono certo una sciocchezza… Sembrava di dover recitare piece teatrali in cui non puoi permetterti errori o fare una pausa.
E le registrazioni?
È stato incredibile: in un giorno, al massimo un giorno e mezzo, giravamo una puntata. E facevamo la scena dall’inizio alla fine tutta di filata. È stata un’avventura attoriale molto interessante, però è necessario studiare molto e avere una preparazione impeccabile per non bloccarsi a metà scena.
Cosa ne pensa della coppia Pietro & Lea?
Si tratta di una coppia in crisi, ma che si ama davvero. Pietro e Lea sono legati da un sentimento vero, un amore sincero e profondo. Entrambi hanno i propri problemi e motivazioni ben precise che li hanno fatti sfociare in questa crisi, ma tra i due credo che Lea sia quella messa peggio. Questo perché è una donna insicura, irrequieta, imprevedibile e con disturbi più accentuati rispetto al mio personaggio. Pietro, invece, è in crisi proprio perché è in difficoltà con questa donna, che gli sta sfuggendo sempre di più. Ciò provoca in lui insicurezza e un senso di inadeguatezza che sfociano in attacchi di gelosia acuta e patologica.
Cosa ne pensa di Pietro, il suo personaggio?
È un uomo insoddisfatto che ha dovuto rinunciare ai suoi sogni. È una specie di cowboy metropolitano che ha accantonato tutti i suoi desideri, da quello di fare il cantante country a quello di possedere un maneggio tutto suo, e vive ora di rimpianti.
Qual è il rapporto tra Pietro e il Dottor Mari?
Inizialmente è più uno scontro, visto che Pietro non ha la benché minima fiducia nella terapia e la interpreta come una perdita di tempo. Inizialmente è scontroso e arrogante nei confronti del Dottor Mari, ma poi gradualmente cambia atteggiamento e si rende conto di aver bisogno dell’analisi. Arriva a un punto in cui il Dottor Mari diventa una specie di padre per lui, un punto di riferimento, qualcuno a cui chiedere consiglio.
Cosa ne pensa della terapia?
Nonostante molti siano convinti che il percorso dell’attore vada a braccetto con quello psicanalitico, io non la penso così. Divido molto le due cose da sempre, da quando ho cominciato a fare questo lavoro. Credo che ci sia la psicoterapia da un lato e la recitazione dall’altro. La seconda altro non è se non un lavoro, una professione. Chiaramente non bisogna dimenticare che l’attore lavora con le emozioni, il che è simile a ciò che deve fare un paziente durante una seduta psicanalitica, ma io preferisco separare le due cose. Per quanto riguarda la terapia, credo che l’uomo sia più restio ad aprirsi emotivamente rispetto alla donna. Credo anche che l’uomo abbia meno occasioni di confrontarsi con i sentimenti e la propria emotività rispetto alle donne.
Cosa pensa dello spettatore?
Credo che sia il terzo soggetto di In Treatment. Lo spettatore siede sul divano accanto a noi, è invisibile e silenzioso ma c’è. Ed è anche lui in analisi, pure lui viene aiutato dal Dottor Mari e vive step by step il percorso terapeutico dei personaggi.
Cosa risponderebbe se adesso il Dottor Mari le chiedesse perché è seduto sul divano del suo studio?
Gli direi: siamo venuti qui in terapia perché abbiamo un problema con nostro figlio che sta diventando un ciccione. Mangia delle schifezze perché mia moglie non se ne occupa, è impegnata con il suo lavoro e si disinteressa dell’alimentazione del nostro bambino. Ma un altro dei motivi per cui siamo qui è perché non sappiamo come comportarci e cosa fare con la nuova gravidanza che sta arrivando. E che mia moglie non sembra intenzionata a portare avanti.

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