Un ultimo giro di Maria Pilar Pérez Aspa: cocktail, teatro e storia al Manzoni

Spettacolo
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Maria Pilar Pérez Aspa in scena in Un ultimo giro: dal bancone trasformato in palcoscenico, i cocktail diventano racconto, gesto teatrale e rito condiviso

Nel foyer del Teatro Manzoni è andato in scena Un ultimo giro di Maria Pilar Pérez Aspa, uno spettacolo che racconta la storia dell’uomo attraverso i cocktail. Dal cinema alla letteratura, dalle guerre alle mode, ogni bicchiere diventa un “notiziario liquido” capace di riflettere epoche e immaginari. Tra racconto teatrale e degustazione, lo spettacolo si è trasformato in un rito conviviale e sensoriale. Tornerà al Manzoni domenica 1 e domenica 22 marzo

Dal bancone passa la storia

I cocktail non sono semplici bevande. Sono memoria, moda, geopolitica, desiderio. Raccontano il tempo meglio di molti manuali, se li si osserva dal punto giusto: il bancone di un bar. Domenica 14 dicembre, nel foyer del Teatro Manzoni, Un ultimo giro di Maria Pilar Pérez Aspa ha preso questa intuizione e l’ha trasformata in teatro.

Lo spazio scenico si è fatto bar d’altri tempi, osservatorio privilegiato da cui guardare scorrere la storia dell’uomo attraverso bicchieri, ricette, rituali. I cocktail hanno accompagnato l’evoluzione dell’umanità diventando un vero notiziario liquido: riflesso di guerre, economie, mode, mutamenti culturali. Non un’idea astratta, ma una pratica concreta, esperienziale. Il pubblico non è rimasto a guardare: ha ascoltato, assaggiato, partecipato.

 

Bere come gesto culturale, non come evasione

Il punto di forza di Un ultimo giro sta nel rifiuto di ogni deriva folkloristica. Qui il cocktail non è gadget, non è intrattenimento da dopocena, non è l’alibi glamour per una serata diversa. È, piuttosto, un gesto culturale codificato, un linguaggio che attraversa epoche, classi sociali, immaginari.

Maria Pilar Pérez Aspa lavora su una linea sottile: racconta il piacere senza mai celebrarne l’eccesso, mostra l’ebbrezza senza trasformarla in sballo. Il bere, come il teatro, diventa uno spazio di relazione e riconoscimento. Si beve per ascoltare meglio, per restare presenti, per continuare a stare insieme. Non per fuggire.

In questo senso Un ultimo giro parla anche del nostro tempo, della necessità di rallentare, di ritrovare rituali condivisi che non siano compulsivi. Cinque cocktail classici – martini, daiquiri, margarita, negroni e gin tonic – scandiscono il racconto. La parola teatrale e il gesto del bere procedono insieme, senza mai sovrapporsi, sostenendosi a vicenda. Il bancone del bar, come il palcoscenico, diventa un luogo di sospensione: ci si ferma, si guarda, si ascolta una storia prima di mandarla giù. Ed è forse proprio questa attenzione, questa cura, a rendere lo spettacolo sorprendentemente contemporaneo.

Hemingway, Nick & Nora e la leggenda nel bicchiere

Nel fluire del racconto emergono figure e miti che abitano l’immaginario del bere. Il mojito di Hemingway alla Bodeguita, il daiquiri alla Floridita, i suoi tragitti prediletti per L’Avana mentre lungo la strada prendevano forma capolavori. La letteratura che procede di pari passo con la geografia liquida dei bar.

C’è spazio per la poesia dedicata al gin, così come per l’hangover leggendario di Nora Charles (Myrna Loy), reduce da una schidionata di martini cocktail condivisi con il coniuge Nick (William Powell) nella saga de L’uomo ombra. Il cinema diventa archivio dell’ebbrezza, grammatica visiva di un modo di stare al mondo.

E poi le microspie nascoste nelle olive di guarnizione ai tempi della Guerra Fredda,  la cipollina che trasfigura il martini in Gibson, le regole non scritte della mixologia. Soprattutto, una filosofia che diventa bussola: in Spagna non beviamo per ubriacarci, beviamo per continuare a bere. Perché esiste il tuo martini, e il cocktail che ami ti identifica, ti racconta, ti definisce.

 

 

Il Negroni, la deriva felice e la verità che non esiste

Il conte Negroni scappa dal Proibizionismo a stelle e strisce, il Negroni Sbagliato nasce per una deriva felice (grazie Mirko Stocchetto, Bar Basso), mentre il Margarita incrocia il mito di Rita Hayworth, che in realtà si chiamava Margarita Carmen Cansino, nome che restituisce al cocktail le sue radici ispaniche.

Ma Un ultimo giro insiste su un punto fondamentale: non esiste una verità assoluta. Ogni storia è un impasto di realtà e leggenda, ogni ricetta un compromesso tra fedeltà e invenzione. Tutto è liquido, miscelato, agitato. Come nel West di L’uomo che uccise Liberty Valance: quando la leggenda diventa realtà, vince la leggenda.

Tra i riferimenti evocati anche l’ironia fulminante di Dorothy Parker – «I like to have a martini. Two at the very most…» – che affiora come bussola morale: misura perfetta tra lucidità e abbandono, tra controllo e vertigine.

 

Maria Pilar Pérez Aspa, sacerdotessa laica del brindisi

Al centro di tutto, Maria Pilar Pérez Aspa. Elegante, empatica, volitiva. In nero, come una sacerdotessa laica del bere. Non è uno dei cocktail raccontati, ma la misura che li tiene insieme: è lei a decidere quando agitare e quando lasciare decantare, quando spingere sull’ebbrezza e quando riportarla alla lucidità del racconto.

Guida il pubblico con grazia e precisione, incantando tanto i neofiti quanto gli hard drinker navigati. Ogni gesto è calibrato, ogni racconto trova il suo tempo, ogni bicchiere diventa una piccola epifania.

Il finale si trasforma in un momento esperienziale di apprendimento e brindisi: non una semplice degustazione, ma un rito collettivo. Teatro come spazio di conoscenza, piacere, condivisione.

Un ultimo giro tornerà in scena al Teatro Manzoni domenica 1 e domenica 22 marzo.

Non abbiamo assistito a uno spettacolo sui cocktail, ma a un modo di guardarci dentro attraverso ciò che beviamo, seduti per un’ora al bancone del teatro, dove si capisce che il problema non è mai quanto bevi, ma con chi e perché.

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