Riccardo Chailly: “Lady Macbeth di Šostakovič? Partitura miracolosa scritta da un 24enne”

Una partitura capolavoro, una modernità che resta intatta nonostante il passare del tempo. Ad inaugurare la stagione del Teatro alla Scala è Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, opera di Dmitrij Šostakovič alla sua prima Prima. Non è mai stata scelta infatti per un 7 dicembre e al Piermarini è stata inserita nella programmazione soltanto due volte. Un titolo andato in scena per la prima volta in Russia nel 1934 che ha alle spalle una lunga storia di censura da parte del regime di Stalin. Un’opera “che ha sofferto per troppi anni” e a cui è giusto ridare il giusto valore perché “è stata scritta da un gigante del Novecento” come sottolinea il direttore musicale del Teatro alla Scala Riccardo Chailly. Maestro, ha parlato di un senso di soggezione provato di fronte a questa partitura. Ci spiega meglio? Ho impiegato diversi anni per avvicinarmi a quest'opera per la difficoltà così evidente della musica. Lo studio di questa partitura ha richiesto un tempo decisamente superiore a quello che di solito prevedo per un'opera lirica. Quindi è stato un lento avvicinamento durato molti anni, anni in cui il desiderio di affrontarla si è fatto sempre più vivo. E ora, dopo aver eseguito più volte con la Filarmonica della Scala gli intermezzi sinfonici in forma di concerto, siamo finalmente arrivati alla Prima. Ha sottolineato spesso la modernità di questa partitura composta da Dmitrij Šostakovič negli anni ’30. È una modernità che colpisce ancora oggi? Assolutamente e colpisce sia gli interpreti che l'ascoltatore perché sembra scritta pochi anni fa. È una partitura che non invecchia nel tempo e la cosa impressionante è la difficoltà strumentale e vocale sia per i cantanti solisti che per il coro. L’orchestra, che è il vero narratore di questa grande tragedia umana, ha dei passi di un virtuosismo collettivo veramente impressionante. E poi c’è questa alternanza continua tra tragedia e satira che richiede due caratteri opposti nell'esecuzione. A proposito di contrasti, ci sono dei momenti fortemente espressivi ed altri in cui c'è un grande senso di vuoto… Il canto di Katerina Ismailova è incredibilmente difficile per la tessitura che adopera, una tessitura medio alta complicatissima ed è anche un personaggio che è in scena per tutta l'opera. I momenti di solitudine sono desolanti perché sono la celebrazione della fine, per scelta, della sua stessa esistenza. Sono momenti toccanti, emozionanti, commoventi e vanno veramente all'opposto di quello che è la parte satirica che a volte provoca il sorriso, a volte provoca qualcosa che smuove noi esseri umani. Ma alla fine l’opera si conclude veramente nel modo più tragico possibile con questa decisione di omicidio-suicidio. Guardando questa storia in profondità ci accorgiamo che Katerina in fondo è anche lei una vittima… Lo è assolutamente perché anche la parte che nessuno di noi sicuramente le perdona, gli omicidi che commette, nasce come reazione a una vita sbagliata. A una vita fatta di incomprensione, isolamento, mancanza di amore. Quindi il pubblico sente che è una donna piena di possibilità umane e di grandissimo cuore e questo è un fatto che fa vincere il personaggio. Lo stesso Šostakovič diceva: “Io scrivo per questa donna che tanti considerano un mostro ma io sono sempre e comunque con lei”. Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk non ha mai inaugurato una stagione della Scala ed è andata in scena al Piermarini solo due volte. Avevamo bisogno di quest’opera? Avevamo bisogno di quest'opera ed è importante capire che questo è un capolavoro del ‘900 che si allinea con le più grandi opere del secolo scorso. Un secolo che si è aperto con la famosa Tosca di Puccini. Poi, nel ’34, c’è stata questa partitura che rappresenta un capolavoro irripetibile di un ragazzo che quando l’ha scritta aveva solo 24 anni. È importante ricordarlo e sottolinearlo perché in questa partitura c’è già l’universo globale di tutta la musica di Šostakovič . Ascolteremo la prima versione, non quella riscritta nel 1963 da Šostakovič dopo la lunga censura. Era già perfetta così? Sì secondo me la prima versione è quella che ha la più alta carica di originalità. La Katerina Ismailova, che ho studiato come possibilità alternativa, non solo è epurata degli elementi delle scene più scabrose ma è anche adattata dal punto di vista del linguaggio e dell'armonia in un modo più accettabile. Qui invece, nella prima versione, abbiamo un linguaggio che è più contemporaneo. Quindi oggi, a distanza di così tanti anni, celebriamo il cinquantesimo anniversario della morte di Šostakovič e allo stesso tempo celebriamo uno dei grandi capolavori del primo ‘900.

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Chiara Ribichini