Tra le meraviglie della 44esima edizione di Mercanteinfiera, paradiso dei collezionisti

Spettacolo

Nicoletta Di Feo

©IPA/Fotogramma

Moda, collezionismo e oggetti senza tempo, o meglio, con un tempo lunghissimo. FLASH ci porta a Mercanteinfiera, tempio per i collezionisti che ha inaugurato a  Parma la sua 44esima edizione

-

1000 espositori, 6000 buyer da tutto il mondo e 55 mila visitatori, 100 mila se si conta anche l’edizione di primavera. Per chi è a caccia di antiquariato, modernariato di qualità e di design d’autore Mercanteinfiera è davvero il posto giusto. Un immenso bric e brac in cui è impossibile non perdersi tra oggetti portatori di storie, emozioni e legami.

 

“La forza del collezionismo autentico non sta nel possesso, ma nel legame”, osserva Ilaria Dazzi, brand manager di Mercanteinfiera. “Ogni oggetto che entra in una collezione è un frammento di identità, un segno che ci interroga sul tempo. Collezionare non significa accumulare, ma dare senso: costruire mappe emotive che tengono insieme memoria e immaginazione. È una forma di conoscenza, di resistenza alla dispersione. Perché dietro ogni collezionista c’è qualcuno che tenta, con passione e metodo, di rimettere ordine nel mondo — e forse di cercare la propria felicità.”

 

Ci sono antichi corredi, tramandati da generazione a generazione, lampade e mobili di design, quadri d’autore, borse e abiti vintage, un’enorme edizione della divina commedia e persino una rarissima Bibbia in miniatura.

E poi modernariato per tutti i gusti, insegne luminose, biliardini, flipper e giochi di ogni sorta.

Chi cerca trova, recita un detto, e qui a Mercanteinfiera si può anche trovare davvero un tesoro.

Come orologi introvabili o gioielli inusuali e preziosissimi.

Le mostre collaterali

Spazio poi alle mostre collaterali, come “Da ogni capo del mondo: racconti, popoli, vicende attraverso il cappello”. Rari copricapi provenienti da Mongolia, Tibet, Sud America e Africa e persino la berretta cardinalizia appartenuta a Papa Giovanni XXIII, per raccontare secoli di storie, identità e culture.

Perché un cappello non è mai solo un accessorio. È un codice culturale, un alfabeto di segni che raccontano l’umano. “Abbiamo voluto che ogni cappello raccontasse non solo un tempo o un luogo, ma anche un’emozione, una tensione, un’aspirazione”, spiega la curatrice Martina Barison. “Non è folclore esotico: è un museo portatile delle culture, in cui le distanze si accorciano e le differenze si affermano attraverso la potenza visiva di un oggetto”.

Tra le sezioni più curiose della, quella dedicata agli sciamani. Cappelli che non proteggono soltanto, ma aprono varchi: portali tra il visibile e l’invisibile, strumenti di trance, guarigione, appartenenza.

Spettacolo: Per te