Danza, i KOR’SIA presentano Simulacro: “Esploriamo la fragile linea tra reale e virtuale”

È un viaggio attraverso quella fragile linea di confine tra reale e virtuale. Tra verità e menzogna in un mondo saturato da dati, algoritmi e stimoli ininterrotti. Simulacro è la nuova creazione del collettivo KOR’SIA presentato in prima mondiale alla Biennale Danza a Venezia che tornerà in scena il 7 e 8 ottobre al Teatro Argentina di Roma per il Romaeuropa Festival. Un lavoro in cui la danza diventa un linguaggio che riflette la frammentazione dell’esperienza contemporanea, in cui ogni certezza si sgretola lasciando all’inquietudine del corpo la ricerca di ciò che ci rende ancora umani, come spiegano a Sky Tg24 Antonio de Rosa e Mattia Russo, coreografi e fondatori insieme a Giuseppe Dagostino della compagnia KOR’SIA che ha base a Madrid. Campani, formatisi all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e poi presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, con il loro lavoro di ricerca sono da anni protagonisti della scena internazionale. Come avete rappresentato in scena la linea di confine tra il reale e il virtuale, idea da cui è nato Simulacro ? L'idea che abbiamo avuto per sviluppare questo tema è stato dividere lo spettacolo in due mondi completamente diversi: iniziamo da quello virtuale per poi spogliarci completamente dalla tecnologia e ritornare al corpo e a ciò che è reale, anche se in qualche modo lo vediamo come un eterno ritorno. Quindi usciamo da un simulacro per entrare in un altro simulacro. Cosa vuol dire “simulacro”? Simulacro significa “simile a”. Ci siamo voluti concentrare, in questo momento in cui la tecnologia è arrivata ad essere qualcosa di molto presente nelle nostre vite, a riflettere su che cosa è reale e cosa non lo è. Con i nostri smartphone, sogniamo e disegniamo una vita che forse alle fine reale non è ma è simile a qualcosa di reale. È quindi un po’ una simulazione. Siamo partiti da qui per poi tornare al contatto umano perché abbiamo sentito l’esigenza di farlo. Per noi è importante tornare all'umano e alle relazioni. Come avete ricreato e giocato su questa linea di confine? Diciamo che tutta la prima parte utilizza le tecnologie, ci sono proiezioni, luci, suoni e tutto quello che si può usare in un teatro. Utilizziamo tutti questi elementi tecnologici anche con il corpo che in questa prima parte però quasi sparisce perché non è il motore principale del movimento. Sono i video, la musica, le luci, i programmi e i software che usiamo a muovere e a costruire le scene. Quindi nella prima parte il corpo è al servizio della tecnologia mentre nella seconda parte la situazione cambia completamente e il corpo diventa centrale, è lui che esprime. L’uso delle tecnologie e dell’I.A. è un tema molto caro anche al direttore della Biennale Danza Wayne McGregor, quanto queste possono essere di aiuto alla composizione coreografica? Beh si arriva ad un modo diverso di affrontare tutto perché la tecnologia ti porta proprio a creare composizioni e scene differenti. In Simulacro ad esempio, rispetto al nostro lavoro precedente che era tutto incentrato sul corpo, la tecnologia ci ha portato proprio a un universo differente. Un bilancio del vostro debutto alla Biennale Danza? Siamo stati felicissimi, per noi è stato davvero un onore aver potuto presentare un nostro nuovo lavoro in un contesto come quello della Biennale di Venezia. Abbiamo ringraziato Wayne McGregor per questa opportunità. Cosa vi ha detto? Era molto contento dello spettacolo, è sempre molto attento agli artisti e se ne prende cura. Tornando al tema di questa edizione della Biennale Danza, all’idea degli artisti come creatori di nuovi miti, qual è la vostra opinione? Io penso che quando l'arte parla della società in qualche modo sta rispecchiando un po' il mito. Il mito non è altro che parlare delle origini, del mondo, di noi. E attraverso piccoli racconti o metafore la mitologia cerca di dare delle spiegazioni alle tante domande che ci appartengono come essere umani. L’arte parla della condizione umana, la danza lo fa attraverso il corpo. Ed è molto vicina al mito.

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Chiara Ribichini