Kratz e il mito di Sisifo: “La felicità non è assenza di sforzo ma scelta di presenza”

“Per me il corpo sul palcoscenico è la manifestazione più vera e concreta di ciò che siamo in questa dimensione: la nostra unica possibilità di espressione autentica. La danza è un atto di ascolto, trasformazione, verità perché rende visibile l’invisibile”. È la filosofia di Philippe Kratz, coreografo capace di creare sulla scena paesaggi motivi con uno stile assolutamente unico. Una danza che spesso riesce a trovare la sua potenza espressiva in movimenti minimalisti. Nato in Germania e formatosi a Montréal e poi a Berlino, Kratz è entrato a far parte della compagnia dell’Aterballetto in cui ha iniziato il suo percorso anche coreografico che lo ha portato poi a diventare tra i coreografi più innovativi e richiesti degli ultimi anni. Lo abbiamo incontrato a Venezia, in occasione della 19esima edizione della Biennale Danza, in cui ha presentato in prima mondiale Sisifo Felice, un dittico firmato insieme a Pablo Girolami per il Nuovo Balletto di Toscana, compagnia di cui è direttore artistico. Sisifo Felice si ispira al mito di Sisifo, l’uomo condannato dagli Dei a portare un masso in cima a una montagna per poi vederlo ciclicamente ricadere giù e alla celebre frase di Albert Camus “Bisogna immaginare Sisifo Felice”. Quanto è forte il riferimento al testo? Siamo partiti dal saggio di Camus per poi amplificare il discorso al teatro dell’assurdo, a quello che lo stesso Camus ha suscitato negli autori e scrittori successivi. L’essenza è quest’idea di un corpo frammentato e della ripetitività, di un'assenza di senso. È un po’ come perdersi e ritrovarsi perennemente e penso che il corpo possa esprimere questo concetto alla perfezione. Come si può immaginare Sisifo felice? Io penso che la fatica abbia bisogno di essere affrontata. La fatica è proprio quel momento in cui si decide di svolgere un compito, un momento di estrema dignità perché si affronta qualcosa che magari non si vuole neanche fare ma c’è comunque una volontà di azione. La danza può raccontare alla perfezione proprio questa volontà e anche un po’ quel passaggio quando, alla fine della giornata, si torna a casa e si lascia crollare tutto per poi riprendere il giorno dopo. Penso che il momento più bello della fatica sia quando la si affronta. La felicità non è l'assenza di sforzo ma la scelta radicale di presenza. Nello spettacolo c’è anche il concetto della resilienza, un tema che hai molto caro e che hai già affrontato in altre creazioni come in Solitude Sometimes che abbiamo visto al Teatro alla Scala… Sì è un tema che mi accompagna, come quello della distruzione o della ricomposizione. È una specie di fil rouge, il concetto di resilienza mi affascina. Quest’idea di qualcosa che rimane, che non crolla insieme a tutto il resto ma che riesce a far fronte, a essere ancora forte. Quella piccola parte, quel cuore che rimane integro. Venendo al tema di questa edizione della Biennale Danza “Myth Makers”, quanto è importante per te, come coreografo, creare miti moderni o rileggere miti del passato, come accade in Sisifo Felice? Io credo che siamo tutti creatori e creatrici di miti e penso che in questo momento abbiamo tanto bisogno di raccontarci delle storie. Storie capaci di portarci via da quello che siamo verso ciò che potremmo essere. O anche il contrario, che sappiano riportarci a quello che realmente siamo allontanandoci da ciò che fingiamo di essere. Quindi io credo che sia molto importante creare una comunità in cui si raccontano storie che ci fanno ancorare al presente, a quello che stiamo vivendo. Nel tuo linguaggio coreografico usi spesso dei movimenti minimalisti, il concetto di fatica, centrale nel mito di Sisifo, fa però immaginare movimenti più ampi, che tendono ad espandersi… Sì forse in questa creazione la fisicità è cambiata un po’. Ci sono comunque movimenti minimalisti ma sfrutto anche l’idea di un gruppo grande che si raduna e crea un effetto simile a quello di uno stormo di uccelli o di un banco di pesci che si muovono insieme alla perfezione. E penso che questo oscillare perennemente a destra e a sinistra possa rendere bene l’idea della fatica di Sisifo. Cosa ci insegna Sisifo oggi? Torno all’inizio della nostra chiacchierata… ci insegna una grandissima dignità nell'affrontare esercizi ardui, qualcosa che ci sta a cuore o che al contrario siamo costretti a fare. A dare dignità a tutto ciò che facciamo nella nostra giornata, piccolo o grande che sia.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Kratz e il mito di Sisifo: “La felicità non è assenza di sforzo ma scelta di presenza”

Chiara Ribichini