Lindsay Lohan, tra glamour e rovina: il libro che racconta la rinascita di una stella

Cosa succede quando una stella di Hollywood non esplode, ma implode? Quando Lindsay Lohan, da bambina prodigio e regina delle teen comedy americane, diventa il bersaglio preferito di una cultura pop che prima ti crea e poi ti divora? Nel suo saggio È rinata una stella! Come Lindsay Lohan ha conquistato il mondo due volte , Alessandro Amato firma un’operazione chirurgica e sentimentale: disseziona la figura di Lindsay Lohan non con il bisturi del pettegolezzo, ma con l’ago prezioso della cultura visuale. Ne viene fuori un libro appassionante, feroce e necessario, che fonde la critica cinematografica con l’anatomia di una società voyeurista e affamata di icone da sacrificare in prima serata. E non è la prima volta che Amato si misura con figure complesse. Sempre per Bietti e sempre nella collana Fotogrammi, ha pubblicato La diva che non piace: Una nessuna centomila Kristen Stewart – un ritratto originale e folgorante della star nata il 9 aprile 1990, inafferrabile e straordinaria, simbolo di un’epoca che si specchia nella fragilità e nella resistenza. Da Mean Girls alla leggenda: la costruzione di un mito Ma facciamo un passo indietro. Lindsay era perfetta. Più della ragazza della porta accanto: era quella del piano di sopra, quella che suonava il violino, recitava Shakespeare e tornava a casa con i capelli spettinati e una coppa in mano. Genitori in trappola, Quel pazzo venerdì, Mean Girls. Tutti ci siamo innamorati. Il problema? È successo troppo presto. E troppo in pubblico. Come diceva Bernard Shaw: “Il selvaggio adora idoli di legno e di pietra, l’uomo civilizzato adora idoli di carne e di sangue”. Lindsay Lohan – o LiLo, come la chiamano gli amici e i tabloid più confidenziali – si è poi trasfigurata in altro: una material girl in a material world, forse consapevole di essere un simulacro pop, un ologramma dal cuore fragile, un’opera d’arte riproducibile fino allo sfinimento. Lo specchio infranto: cadute, scandali e arte post-glamour Magari non avrà mai letto Walter Benjamin, ma bastano i suoi nudi in The Last Sitting – replica spudorata e tuttavia riuscita degli scatti di Marilyn – per intuire che conosce fin troppo bene il significato dell’icona nell’epoca della sua moltiplicazione digitale. D’altronde, le rosse hanno una marcia in più. Volitive, tutte grinta e lentiggini. Nei secoli bui finivano arse perché considerate streghe. Lindsay invece brucia le tappe: a tre anni modella, a venti già icona, a trenta simbolo della rovina, oggi madre e performer consapevole. Amato ricostruisce, con una scrittura tesa e brillante, il percorso trinitario dell’eroina pop: ascesa, caduta e redenzione. Ma la sua non è un’agiografia. È una radiografia del corpo mediatico di Lohan, sezionato nei suoi traumi, nei suoi scandali, nelle sue risalite strategiche su Instagram. Da Private Party a The Canyons: Lindsay Lohan e l’arte segreta dell’implosione E anche nei suoi anni più confusi, Lindsay non ha mai smesso di offrirci schegge di oscurità scintillante. In Lindsay’s Private Party , cortometraggio girato con Yu Tsai nella Suite 46 del Chateau Marmont, incarna un fantasma post-glamour ispirato all’amore tossico tra Johnny Depp e Kate Moss. Sembra una visione uscita da una Polaroid sbagliata: Sofia Boutella balla, Petey fa il verso a Depp, e Lindsay – più musa che attrice – trasforma ogni movenza in un addio. Un’eco di eccesso e malinconia che ha il sapore della bellezza che non si può più comprare. E poi The Canyons , film cult con Lindsay Lohan scritto da Bret Easton Ellis e diretto da Paul Schrader, sottovalutato eppure prezioso come una reliquia pop. Lì, tra porno-attori e ville di vetro, Lindsay è di nuovo archetipo: non solo la ragazza che sogna, ma quella che ha già visto il sogno sfaldarsi. Un’icona che implode sotto il peso del glamour, e da quella deflagrazione cava fuori arte. Rinascere sui social: icona post-fallimento Poi arriva la rinascita. Più che hollywoodiana, è post-social. Lindsay non rientra in sala con un film da Oscar, ma si reinventa come entità digitale: sobria, filtrata, sorridente, ironica. È l’epoca della Lindsay-meme, della Lindsay-parodia, della Lindsay che abbraccia il proprio fallimento e lo trasforma in un hashtag da milioni di views. Ed è proprio qui che le parole di Kristen Stewart assumono un significato bruciante: "Quando sei famosa non devi più fare colpo. Tutti si sono già fatti un’idea su di te ancora prima di incontrarti". Ma ciò che rende È rinata una stella! speciale è il modo in cui l’autore trasforma un caso di cronaca in una lente sociologica. Dentro ci troviamo Guy Debord, Britney Spears, Kristen Stewart, il culto del fallimento e la macchina Disney. Dove finiscono le favole pop, tra maternità e sequel Ma oggi, Lindsay è madre. Ha un figlio, Luai, concepito in un momento di quiete col magnate Bader Shammas. Ha ricominciato. È tornata nel sequel di Quel pazzo venerdì per interpretare – con tenerezza spiazzante – una madre, lei che per anni è stata la figlia più spiata del mondo. E mentre tutto questo accade, il libro di Alessandro Amato si chiude con un dettaglio che sa di poesia moderna: nella prossima serie che interpreterà, non è previsto che baci nessuno nell’ultima scena. Ed è lì, forse, il segreto: non tutti i finali hanno bisogno di un bacio. A volte basta una nuova postura, una nuova pelle, una nuova sobrietà. Basta uno sguardo diretto in camera, da testimonial spigliata e affidabile, mentre tutto intorno si spegne. E in quel silenzio, qualcosa cambia davvero. Lindsay, che ci aveva abituati al caos, oggi ci sorprende con la stabilità. Non è un ritorno: è una rivincita. Ma è anche qualcosa di più, è un patto rinnovato con il pubblico: "Vi ho mostrato tutto. Ora guardatemi mentre non recito più. Guardatemi mentre esisto". Grazie, Lindsay. Una stella che ci somiglia E così, nel ringraziamento più disarmato, Amato si espone. Scrive che senza l’empatia sviluppata per Lindsay Lohan non sarebbe la stessa persona. Che la sua figura – fragile, spettacolare, contraddittoria – ha ispirato e guidato anni di riflessioni sull’identità pubblica, sul senso stesso della celebrità. Un’ammissione semplice, ma luminosa: Lohan non è stata solo il soggetto di un saggio, è stata una bussola emotiva. E in quel “grazie”, sussurrato tra le righe, c’è tutto un modo di intendere la cultura: come una ferita che diventa specchio. Perché in fondo, questo libro su Lindsay è anche una lettera a se stessi, a quella parte che ha sognato di essere famosi, che ha sbattuto contro le vetrine del desiderio, e che oggi si accontenta – forse – di essere ancora intera. Forse Lindsay non è mai stata solo un nome. È un’eco. Un riflesso sullo schermo che ci riguarda mentre ci interroghiamo su cosa significhi davvero essere visti. Non una favola con lieto fine, ma una parabola rovesciata sul diritto di crollare, rialzarsi, e poi sparire senza chiedere permesso. Il libro di Amato, in fondo, non chiude una storia: apre una fenditura. Tra la fragilità e il glamour, tra l’autenticità e la maschera. Per tutte le Lindsay che non sono mai state solo attrici, solo figlie, solo sbagli. Per chi ha avuto troppo, troppo presto. Per chi ha sentito il mondo rompersi sotto i piedi e ha deciso, ostinata, di danzare comunque

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Lindsay Lohan, tra glamour e rovina: il libro che racconta la rinascita di una stella

Paolo Nizza