Alla Biennale Danza la nuova creazione di Marcos Morau: “Il movimento è la vita”

È tra i coreografi contemporanei più innovativi per la sua capacità di costruire mondi e paesaggi immaginari in cui danza, testo, luci, musica, scene e spazio costituiscono un universo unico. Con la sua compagnia La Veronal, fondata nel 2004, è da anni protagonista della scena internazionale. Abbiamo incontrato Marcos Morau in occasione della prima mondiale alla Biennale Danza di La morte i la primavera, il suo nuovo lavoro. La tua nuova creazione riflette su quanto l’arte possa essere di aiuto per affrontare l’angoscia di questo ciclo di vita e distruzione. Da dove sei partito per costruirlo? La fonte di ispirazione iniziale è stata il romanzo La morte i la primavera di Mercè Rodoreda, un’autrice catalana molto importante. È un libro che lei ha scritto per tutta la sua vita e che non è stato finito, un testo molto complesso che nasce anche da quello che ha affrontato: la dittatura di Francisco Franco, l’esilio. È un libro che è una metafora di un mondo che rinasce ciclicamente ma che non abbraccia le persone. Un mondo che cambia, si trasforma costantemente e noi, come essere umani, siamo dentro questa evoluzione ma non è detto che siamo sempre preparati a capire e ad accettare i cambiamenti. È uno spettacolo dal grande impatto visivo e molto cinematografico, come altri tuoi lavori. Qual è per te il rapporto tra danza e cinema? La danza per me è un pretesto per usare anche la parola, le immagini, la luce e lo spazio. Il cinema è per me un’inspirazione eterna. Io non sono un danzatore e il mio background è la summa di tante cose diverse. Penso che il cinema sia la fonte di ispirazione per capire il mondo, per trasformare la personalità, per trovare una poetica propria. Mi sono sempre sentito molto vicino al cinema ma anche alla pittura, alla letteratura e alla fotografia. Noi, in quanto creatori di immagini, siamo influenzati da tutte ciò che è vicino a noi che diventa parte del nostro immaginario e della nostra creatività. Un coreografo è un creatore di immagine ma anche di miti, come sottolinea anche il tema scelto da questa edizione della Biennale Danza. Perché oggi abbiamo bisogno di miti contemporanei? Noi generiamo miti in questo tempo presente ma il mito è allo stesso tempo qualcosa di ancestrale. Noi, appartenendo a una società, conviviamo e abitiamo il mondo sia in modo individuale sia in modo collettivo. E la collettività genera miti e forze comuni. Per raccontare questo mondo usi spesso anche dei pupazzi, penso ad esempio al tuo Notte Morricone. Che ruolo hanno per te? I pupazzi sono sempre stati presenti nel mio lavoro, è una forma di teatralità con cui si riesce a fare una analogia con il corpo umano. E anche i danzatori della mia compagnia possono essere come dei pupazzi perché il tipo di movimento, il modo di muovere l'articolazione può ricordarli. E se tu fai una posa con un pupazzo e gli metti vicino un danzatore trovi la finzione dietro la finzione e questo per me diventa una riflessione sul corpo, sulla fisicità e sulla mobilità. Nella fase di creazione lavori molto insieme ai danzatori. Come? Attraverso l’uso dell’improvvisazione? Il lavoro sul corpo è il lavoro sulla creatività, sull'immaginario del danzatore e anche di tutto il gruppo. È qualcosa che ho iniziato a fare con la mia compagnia La Veronal tanti anni fa. Mi piace molto lavorare con il pensiero, con lo spazio, con la musica e la qualità del corpo. Il corpo è un elemento teatrale ma è anche un elemento di trasformazione vitale. Il movimento è la vita. E mi piace molto parlare con il danzatore e trovare una formula e un modo diverso di trovare un movimento. Gli artisti della mia compagnia conoscono bene il mio linguaggio e sono molto aperti a trovare qualcosa di diverso perché io penso sempre che noi partiamo da ciò che conosciamo ma dobbiamo poi trovare qualcosa di nuovo. Dobbiamo essere sempre aperti a guardare come il corpo muta e come diventa qualcos'altro. Il cambiamento è centrale anche nel lavoro che hai portato alla Biennale Danza… Sì il cambiamento è la vita perché le cose che non cambiano e rimangono sempre le stesse sono morte. E anche nel romanzo di Rodoreda è sempre presente questa domanda: come è possibile che il mondo cambi sempre? Che la primavera arrivi una volta e un’altra volta ancora? Credo che una volta che si riesce a comprendere bene questa trasformazione e si accetta il cambiamento si può abbracciare per sempre il ciclo della vita.

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Alla Biennale Danza la nuova creazione di Marcos Morau: “Il movimento è la vita”

Chiara Ribichini