Kevin Spacey legge i Divine Echoes di Gabriele Tinti a Milano: poesia e arte si fondono

Siamo a Milano, in uno storico palazzo di inizio Novecento a due passi dalla Rotonda della Besana, ospiti della galleria BKV, scenografico polo espositivo consacrato all’arte antica, moderna e contemporanea, tramutatosi, per la speciale occasione, in un altrove sconfinato. Rigorosamente senza microfono, a presentare il reading del due volte Premio Oscar Kevin Spacey è l’autore stesso dei versi dedicati alla figura di San Sebastiano, il santo più rappresentato e riconoscibile nella storia dell’arte che negli anni, cambia la sua fortunata iconografia e da militare dell’Antica Roma in armatura, barbuto e virile, diventa un giovane corpo nudo martirizzato dalle frecce, erotico e ambiguo come pochi. Il bel Sebastiano, simbolo di sensualità e resistenza al dolore, paga la sua fede cristiana con la condanna a morte per mano dell’Imperatore Diocleziano, ma come pochi sanno, non è il tormento delle frecce a cui sopravvive miracolosamente ad ucciderlo. I militari, credendolo morto, gettano le sue carni in pasto ai cani, come era in uso dai romani. Ed eccolo prendere vita nelle rime scritte da Tinti, quel supplizio feroce senza scampo a cui Sebastiano riesce a dare un senso, come solo un santo può fare. Mentre noi, comuni mortali , ci ritroviamo sospesi nel tempo di un viaggio che comincia nella testa e prende il sopravento sui sensi. “Nothing is stable except the divine, coetera fumus” Guidati dalla voce profonda di Spacey e persi nei versi del poeta che si fanno concitata azione davanti ai nostri sguardi, prendiamo parte alla performance, tutt’uno con il suono delle parole che riecheggia dai dipinti provenienti dalla Collezione Koelliker sopra citati. La bellezza e l’arte, antidoti ai mali del mondo e dell’anima, a suo modo consolano, elevano su alti piani dove, in stato di grazia, immersi in un qui e ora di rara intensità, rifuggiamo dalle umane miserie e dai tormenti interiori di cui nutriamo i nostri animi in pena. La realtà, stasera, non conta: “Nothing is stable except the divine, coetera fumus”, “Nothing is stable except the divine, coetera fumus….”. Le lame solcano il martirio, impazienti si accaniscono sul torso. Su quello sfondo si abbeverano assetate, paralizzano la vista, aprono il fianco. Tu distogli lo sguardo e ripeti: “Niente è saldo tranne il divino, coetera fumus” Mi hanno aperto il corpo per vedere meglio dentro. Non c’è niente nel mio petto: solo ossa, carne, vene e sangue, sangue da buttare. Mi sbarazzo della carne: il sangue s’increspa in una pozza, le ossa incedono nell’erba alta, le parole naufragano nella lotta. Mi copro gli occhi e la bocca con le mani per meglio cantare il vuoto delle ossa. Aspetto che qualcuno bussi alla porta, qualcosa di diverso, un nuovo inizio. Rovescio l’ombra in una fiala, lecco via il sangue dalle braccia, quel sangue d’avi che cola e scuote le parole. Non lasciare il mio corpo in pasto ai cani, fallo bruciare lontano con i suoi mali. Il fuoco ne monderà le ferite, la cenere ne acquieterà le sfide. A mille gradi sarà ancora forte il mio morso, il mio peccato, questa commedia. Divine Echoes – Sebastian Così, nella voce di Spacey, i versi di Tinti si fanno corpo vivo, fremito, rito. Le lame della storia si conficcano nelle carni dell’ascoltatore, aprendo squarci di luce tra le ossa dell’anima, mentre la poesia diventa eco divina capace di consolare, elevare, rendere sacro il dolore. Questa lettura rientra nel progetto di scrittura ecfrastica che da anni vede Tinti impegnato a restituire aura e respiro alle opere d’arte, componendo poesie che dialogano con sculture e dipinti, riportando in vita miti e santi, martiri e dèi, attraverso l’incanto della parola. In questa sera milanese, arte e poesia si sono fuse in un unico battito, un’unica voce. E ci hanno ricordato che, davvero, nulla è saldo tranne il divino. Tutto il resto è fumo, è cenere.

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