Il nome della rosa alla Scala, dal libro di Umberto Eco un’opera labirintica e visionaria

Simmetrica e labirintica. Iconografica e visionaria. C’è grande attesa per la prima mondiale de Il nome della rosa, l’opera tratta dall'omonimo romanzo di Umberto Eco composta da Francesco Filidei con la regia di Damiano Michieletto e la direzione di Ingo Metzmacher in scena da stasera al Teatro alla Scala di Milano. Una novità assoluta, con cinque recite andate subito in sold out. L’opera, commissionata dal Teatro insieme all’Opéra National de Paris, pubblicata da Ricordi e coprodotta anche con il Teatro Carlo Felice di Genova, si preannuncia di grande impatto anche visivamente, con un Medioevo molto meno cupo di quanto si possa immaginare come hanno anticipato a Sky TG24 il compositore e il regista in questa doppia intervista. La simmetria e il labirinto sono due concetti chiave presenti nel romanzo di Umberto Eco su cui ha costruito la sua opera, può spiegarci meglio? Francesco Filidei: È molto interessante notare come il pensiero di un artista o di uno scrittore si muova un po' nello stesso modo attraverso i diversi libri e opere che ha scritto e composto. Per esempio, sia Il nome della rosa che Il pendolo di Foucault partono da una visione geometrica nelle prime pagine, quindi io mi sono sentito subito autorizzato a concepire una struttura che avesse questa direzione. In più ne Il nome della Rosa c’è questa suddivisione temporale in sette giornate e nelle ore liturgiche. Non potendo seguire pedissequamente le ore liturgiche, perché avevo la necessità ovviamente di utilizzare meno personaggi, ho inventato una struttura geometrica che dà una forma di rosa grazie agli intervalli. Ci sono dodici scene corrispondenti a dodici note nel primo atto che poi si aprono a forma di ventaglio e dodici scene che si richiudono simmetricamente nel secondo atto creando appunto una rosa. Scene che hanno ognuna la propria tonalità e che hanno un po’ la funzione di quello che erano le ore liturgiche nel libro. In tutto questo non ho rinunciato a utilizzare in orchestra quelli che erano gli inni propri o i versetti gregoriani di ogni ora liturgica per creare i temi utilizzati. I canti gregoriani sono stati sicuramente il punto di partenza. Nella messa in scena come è stata resa questa struttura simmetrica e labirintica? Damiano Michieletto: L'allestimento prevede la presenza massiccia del coro durante tutto lo spettacolo. Il coro è come inserito in una cantoria medievale, con questi frati che sono testimoni di quello che avviene, con queste morti che si susseguono e che alla fine vengono tutte collegate in uno spazio che diventa di volta in volta labirintico come labirintica è la biblioteca. Uno spazio di misteri, sorprese, delitti, con delle installazioni, delle visioni che portiamo in scena e che di volta in volta creano lo spazio per fare in modo che la musica abbia un ambiente sempre nuovo, mai ripetitivo. Quindi spero sia uno spettacolo pieno di immagini e pieno di colori perché il mondo del Medioevo è un mondo immaginifico. E il labirinto? DM: C'è un richiamo molto forte al concetto del labirinto che è un tema che è presente anche proprio nella concezione musicale di Francesco Filidei di quest'opera. C'è una sorta di simmetria ma allo stesso tempo qualcosa che si va costruendo passo passo e questo labirinto è il luogo che alla fine verrà distrutto. Quindi c’è proprio questo concetto, che diventa anche un segno estetico di uno spazio che cambia e accoglie i personaggi e li rende sempre persi dentro a questa dimensione in cui si stanno affannando a trovare una via d'uscita come in un labirinto. A proposito dei personaggi, musicalmente come sono stati caratterizzati? FF: Questa è stata una cosa buffissima perché mi sono ritrovato un po' nella posizione di Eco che ha raccontato di aver passato un anno e mezzo facendo solo disegni dei monaci oppure delle cartine dell’abbazia. Noi, io e i miei collaboratori, abbiamo trascorso un anno e mezzo a fare la sinossi di quest'opera ed è stato veramente il lavoro più complesso però, una volta fatto questo, mi sono sorpreso a vedere che, un po' come dice Umberto Eco nel suo lavoro, i personaggi hanno preso la loro vita e sono andati per i fatti loro. Per cui Abbone canta in un modo, Severino in un altro, Adso in un altro ancora, Jorge canta ad un dodecafonico. Ognuno ha il suo modo di cantare. Però, ecco, è stato quasi un incontrare questi personaggi perché ormai il lavoro che era stato fatto a monte gli aveva dato proprio una loro vita autonoma. È stata per noi un'esperienza proprio di scoperta. Nella concezione musicale il punto di partenza sono stati i canti gregoriani per poi prendere direzioni diverse, e nell’allestimento? DM: Siamo partiti dall’iconografia medievale, anche per i costumi ad esempio, per cercare di trovare delle visioni. Per cui, di volta in volta, c'è un segno che cerca di raccontare in maniera specifica, ma anche con grande fantasia, quello che avviene sul palcoscenico nella storia. Cos’è l'aedificium? DM: L'aedificium è la parola che rappresenta la torre dentro la quale avviene tutto il mistero della trama di Umberto Eco e di volta in volta è la biblioteca, la mensa, le cucine, i sotterranei. È il luogo di questo incantesimo che Guglielmo e Adso cercano di scoprire fino ad arrivare alla soluzione finale. Quindi è un po' il contenitore di tutte queste visioni che attraverso i costumi cerchiamo di rendere anche in maniera molto colorata e molto vivace. Eco definiva i romanzi come delle grandi sinfonie mahleriane, un po’ di Mahler lo ritroviamo? FF: Ci sono moltissime citazioni che vanno dal compositore francese Pérotin, presente anche nel libro, fino a Stockhausen nell’ultimo atto, da Messiaen a Der Rosenkavalier di Richard Strauss, da Saint-Saëns a Flotow fino al Caro nome di Verdi. Insomma, è veramente un’opera ricca di citazioni un po' come in Umberto Eco. Nel libro spesso mi capita di aprire un altro libro qualsiasi e di ritrovare il punto da cui Eco aveva preso per creare questo fantastico collage che ha composto. Entrando un po’ nel tecnico, lei ha detto che la sua composizione labirintica ruota intorno al contrappunto… FF: Beh sì, in realtà ci sono molti labirinti e uno è la complessità legata ai diversi strati di lettura perché abbiamo, per esempio, sulla scena l'orchestra, il coro e via dicendo. E poi la temporalità e anche l'orchestrazione. Naturalmente nella musica abbiamo la possibilità di far cantare al contempo diversi stati d'animo, che è la cosa più interessante. In un libro questo non è possibile ovviamente e si è costretti a dipanare gli stati d’animo nel tempo. Io ho sfruttato questa forza perché è la caratteristica saliente dello strumento opera. In questa struttura geometrica che ha costruito ha associato a ogni “stanza” una tonalità diversa e anche un colore diverso. Quando si pensa un po’ al Medioevo e a Il nome della Rosa si ha in mente qualcosa di cupo, non sarà così? FF: No, assolutamente. Io ho anche una specie di sinestesia delle note per cui per me il re è giallo, il fa è verde, il sol è rosso, il mi è blu… per cui ci sono queste relazioni e vedo proprio questi quadri con un colore ben definito. E poi ci sono delle situazioni proprio comiche e paradossali, come quando i frati si strappano la barba fra di loro che una scena molto rossiniana, con tanto di citazione. Dal romanzo di Eco è nato un celebre film con Sean Connery, ma anche una serie tv, un fumetto di Milo Manara. Ci sono dei richiami a qualcuna di queste trasposizioni? DM: No, non ci sono legami o elementi che ci hanno ispirato in questo progetto se non la musica di Francesco Filidei e il libretto che è stato ricavato dal libro , perché l’opera ha un suo linguaggio così come il cinema ha le sue regole. E noi speriamo di dare una sorta di vitalità e di potenza emotiva a questa storia sfruttando quelle che sono le regole e le leggi precise del palcoscenico e cercando il massimo coinvolgimento del pubblico in una storia complessa e affascinante. Tutto questo nel rispetto di quella che è un’ambientazione medievale in cui di volta in volta abbiamo creato un'immagine che è contemporanea. Così come contemporanea è la musica che racconta questa storia. Se dovesse riassumere la potenza di quest'opera, come la descriverebbe? DM: Io penso che la potenza di quest'opera si possa riassumere forse proprio con l'ingresso, con la scena del portale che dà proprio l'inizio a tutto questo mondo visionario. Un momento molto impattante ed emozionante. È l'ingresso nella storia da parte del pubblico, da parte dei personaggi e racchiude questa grande capacità immaginifica del mondo medievale e della musica di Francesco Filidei.

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Il nome della rosa alla Scala, dal libro di Umberto Eco un’opera labirintica e visionaria