Lorenzo Viotti alla Scala con Mahler: “Nella Sesta Sinfonia ci sono tutti i suoi demoni”

“Ci sono dentro tutti i demoni di Mahler, tutte le tragedie della sua vita, le sue paure”. Lorenzo Viotti sintetizza così il mondo che Gustav Mahler racconta nella Sinfonia n. 6 in la min con cui è tornato a dirigere l’orchestra della Filarmonica della Scala per tre concerti della Stagione Sinfonica. Una sinfonia, conosciuta anche come “Tragica” che esplora in profondità la condizione umana segnata dalla lotta tra la vita e la morte, una sorta di lotta dell’uomo contro il destino con un’intensità emotiva e una complessità formale che la rendono una delle opere più dense e drammatiche del compositore austriaco. Applauditissimo e molto amato dal pubblico del Piermarini, Lorenzo Viotti si è imposto negli anni come uno dei direttori più interessanti e ricercati del panorama internazionale. Ancora per poche settimane under 35, amante dello sport, testimonial di importanti brand e appena diventato padre, Lorenzo Viotti è sicuramente un direttore fuori dagli schemi con una presenza fisica che non passa inosservata neanche sui social. Italiano nel nome, ma franco svizzero, figlio del noto direttore Marcello Viotti e cresciuto in una famiglia di musicisti, è attualmente Direttore principale della Nederlands Philharmonisch Orkest e della Nationale Opera di Amsterdam. Alla Scala ha debuttato a soli 27 anni con l’Orchestra dell’Accademia e dal 2018 collabora regolarmente con la Filarmonica della Scala. È salito sul podio del Piermarini per dirigere un’opera la prima volta nel 2020 per un Roméo et Juliette che ha visto tra i protagonisti anche sua sorella Marina Viotti, mezzosoprano. Lo scorso anno ha diretto il Simon Boccanegra con la regia di Daniele Abbado. Lo abbiamo incontrato poco prima del concerto. Mahler diceva che una sinfonia deve essere come un mondo, in che mondo siamo con la Sesta? È Il mondo che crolla dietro di lui. È davvero una sinfonia molto difficile da ascoltare e da suonare perché è molto fisica ma anche molto emotiva. Dentro si nascondono tutti i demoni del compositore, tutte le tragedie della sua vita, le sue paure. Ma allo stesso tempo è una sinfonia che apre a un altro mondo e capiamo perché dopo arriveranno Arnold Schoenberg, Anton Webern e la seconda scuola di Vienna. Definita anche la “Tragica”, la Sesta ha questa costante tensione tra la speranza e la disperazione che viene accentuata dal contrasto tra i momenti di lirismo e le potenti esplosioni orchestraliche. Cosa la affascina di più di questa sinfonia? È quasi una sfida contro il destino, è qualcosa di eroico ma tragico perché sappiamo che la fine non è positiva. L'ultimo accordo di la minore arriva come una ghigliottina. Non c’è speranza, neanche nel movimento lento in cui c’è sempre uno strumento che cambia la nota troppo presto. Per me la Sesta è un po’ come i Kindertotenlieder, i Canti per i bambini morti che Mahler ha composto nello stesso anno. È come una ninna nanna per un bambino che è già morto. È qualcosa di terribile e la prima volta che ho letto questo movimento ho sentito davvero il dolore dentro di me. Ma è di una bellezza rara. “La mia Sesta proporrà enigmi coi quali potrà cimentarsi solo una generazione che abbia accolto in sé e assimilato le mie prime cinque sinfonie” avvertiva Mahler. Da dove bisogna partire per comprendere questa partitura? Per suonare questa sinfonia e per dirigerla è necessario capire la profondità della vita del compositore. Nel momento in cui ha composto la Sesta era uno dei momenti migliori della sua vita ma dopo poco sarebbe cambiato tutto: la malattia, la morte della figlia, la dipartita dall’Opera di Vienna di cui era direttore. Dopo questa sinfonia per Mahler è cambiato tutto. C’è un uso marcato delle percussioni, uno strumento che lei conosce bene visto che prima di dedicarsi alla direzione musicale ha studiato pianoforte, canto e percussioni appunto Che ruolo hanno? Per me è più interessante il ruolo degli archi che Mahler usa anche come se fossero percussioni. A volte sono come un tamburo. Per questo ho chiesto all'orchestra di suonare liricamente poco ma molto martellato. Dunque non c’è l’uso delle percussioni solo come strumento ritmico ma anche melodico. Tra le percussioni va sottolineata la presenza dello xilofono che è qualcosa di modernissimo, ma anche di piatti, timpani, della celesta. E poi c’è il martello che arriva come un colpo sulla testa. La cosa più terribile è che il martello colpisce subito dopo una speranza di armonia, all’improvviso. Mentre tutto sembra far sognare una vita bella arriva questa martellata che rompe tutto. E non è più vero che la vita è bella ma terribile. Lei ha debuttato alla Scala a 27 anni ed è tornato sul podio per dirigere concerti o opere quasi ogni anno. Qual è la sua più grande soddisfazione? Quella di tornare. Ogni progetto per me è davvero speciale, dal primo contatto con questo teatro, con gli artisti dell’orchestra e con il pubblico. Ho tanti ricordi meravigliosi, dal Roméo et Juliette con mia sorella Marina a Thaïs. fino al Simon Boccanegra. Tutti momenti che sono rimasti nel cuore. Per me, nella mia vita, è davvero qualcosa di importante essere qui alla Scala di fronte a un pubblico che amo tantissimo. E anche se sul passaporto non sono italiano, dentro sento un po’ di esserlo. Per me essere qui è tornare un po’ a casa, non so perché ma è così.

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