Perché i conti pubblici italiani non sono abbastanza trasparenti

In questo mio pezzo oggi, vorrei portare la vostra attenzione su un problema fondamentale del nostro sistema di gestione dei conti pubblici: la inadeguatezza delle valutazioni ex post degli sviluppi di finanza pubblica, sia in termini di andamenti tendenziali di entrate e uscite, sia in termini di valutazione delle politiche economiche. In ultima analisi, si tratta di una inadeguata trasparenza nei nostri conti pubblici. Gli esempi abbondano. Partiamo dagli andamenti tendenziali. È passato quasi interamente sotto silenzio un evento a dir poco eccezionale che si è verificato nel 2024. Le entrate delle pubbliche amministrazioni hanno ecceduto l’importo previsto nella legge di bilancio per quasi 43 miliardi . Questo in un anno in cui la crescita del Pil nominale, che costituisce la base imponibile per la maggior parte delle imposte, è stata di oltre un punto percentuale più bassa del previsto, il che avrebbe dovuto comportare minori entrate per circa 10 miliardi. Il divario tra quello che è entrato e quello che avrebbe dovuto entrare è quindi di quasi 53 miliardi, un’enormità. Che le entrate pubbliche siano andate meglio del previsto lo si sapeva, ma anche i commentatori specializzati non si sono focalizzati sull’entità dello scostamento e, soprattutto, sulle sue cause. Non è colpa loro. Ci si sarebbe aspettato di trovare, nei documenti ufficiali, un’approfondita discussione delle cause di queste maggiori entrate, anche per valutarne la persistenza nel tempo. Invece l’unica cosa che si trova nel Documento di Finanza Pubblica del settembre scorso è una frasetta che ci dice che i fattori rilevanti della bonanza di entrate includono “il significativo aumento delle entrate afferenti al comparto finanziario e l’ampliamento della base imponibile conseguente al positivo andamento del mercato del lavoro”. Punto e basta. Nessun numero, nessun dettaglio in un documento di oltre 330 pagine . L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha fornito, in una nota che potete trovare sul suo sito, qualche ulteriore spiegazione, grazie ai dati richiesti e ricevuti dal Ministero dell’Economia e Finanze. Ma perché il Ministero non ha sentito il bisogno di fornire a tutti un’accurata e approfondita analisi dei principali fatti di finanza pubblica ? Si tratta di decine di miliardi di maggiori tasse pagate dagli italiani, con un aumento della pressione fiscale, cosa, fra l’altro, non da poco per un governo di centro-destra. La mancanza di una valutazione ex post è però ancora più grave quando riferita alle azioni di politica economica. È un principio generale di trasparenza nella gestione della finanza pubblica quello per cui i programmi di spesa o tassazione debbano essere sottoposti periodicamente a una valutazione d’impatto. Tale valutazione, una routine in molti Paesi avanzati, può portare al rafforzamento del programma, alla sua modifica o alla sua eliminazione . Non è questa purtroppo la pratica in Italia. Facciamo qualche esempio. Per il 2024-25 il governo ha introdotto il Concordato preventivo biennale, come fondamentale riforma della nostra tassazione, unitamente a un generosissimo condono per incentivarlo. Nessuna valutazione dell’impatto del provvedimento, né del relativo condono, è stata fornita, tranne la scarna indicazione di quale era stato l’incasso nel 2024. Andando poco più indietro nel tempo, la cancellazione del reddito di cittadinanza è avvenuta su basi puramente politiche. Indipendentemente dall’idea che uno si è fatto sulla cancellazione , sarebbe stato opportuno prendere tale decisione sulla base di un’accurata analisi dell’impatto di questo nuovo programma di spesa, soprattutto perché si trattava di un programma che ha assorbito ingenti risorse. Stesso discorso per il superbonus 110%. Le valutazioni del provvedimento sono state numerose da parte di esperti del settore, basti pensare all’ottimo libro di Capone e Stagnaro , ma niente di equivalente si trova nei documenti di finanza pubblica, nonostante le cifre coinvolte abbiano superato i duecento miliardi. Si parva licet componere magnis, lo stesso si può dire per il bonus di 500 euro per i diciottenni introdotto nel 2015, o della miriade di bonus messi e tolti di anno in anno. L’impressione è che le scelte siano solo politiche e che siano prese “per partito preso” più che in base a un’analisi ben fatta di costi e benefici delle varie iniziative. Dovremmo fare meglio visto che si tratta di soldi pubblici.

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