L'attrice, protagonista della nuova serie di Pappi Corsicato, si racconta al vicedirettore Omar Schillaci. "Inganno parla di una donna della mia età che si innamora di un uomo molto più giovane e pericoloso" dice. Sul suo passato ricorda: "Giorgio Strehler è tutto". E sul futuro: "Il progetto che mi sta più a cuore è il film su Anna Magnani"
È Monica Guerritore la protagonista della nuova puntata di “Stories”, il ciclo di interviste ai principali interpreti dello spettacolo di Sky TG24. Ospite del vicedirettore della testata Omar Schillaci, con la regia di Francesco Venuto, l’attrice, drammaturga e regista si racconta in “Monica Guerritore - Tra palco e realtà”. In onda venerdì 11 ottobre alle 21.00 su Sky TG24, sabato 12 ottobre alle 13.30 su Sky Arte e sempre disponibile On Demand.
Dal 9 ottobre su Netflix con ‘Inganno’, la nuova serie televisiva per la regia di Pappi Corsicato che “è una specie di romanzo di formazione che prende una donna vuota a 50, 60 anni, finita, e ne fa scoprire al pubblico una strada alternativa”. Approfondendo poi “affrontiamo il tema di che cosa è una donna di questa età che incontra un giovane, molto bello e pericoloso. La funzione del pericolo di quest'uomo, segna il fatto che il pericolo entra nella vita di questa donna e attraverso questo incontro, tutti i rapporti, tutte le relazioni cominceranno a prendere una strada diversa, fino a renderla molto fragile, entrando in un percorso di grande seduzione, passione e fragilità”. Una serie che, come vedremo, si sofferma su alcuni tabù e convenzioni sociali che siamo in qualche modo soliti attribuire a determinate situazioni. E poi ancora, nella lunga intervista, l’infanzia, la passione per la recitazione, il rapporto con Giorgio Strehler, La Lupa, il nuovo film su Anna Magnani, l’idea del cinema come superamento del dolore e il rapporto con Woody Allen.
La storia di Monica Guerritore parte dalla sua infanzia: “Mio padre e mia madre si sono separati molto presto, eravamo io e mio fratello ma lui essendo più grande mi lasciava spesso sola. Tanto che io andavo a dormire in collegio che era a 50 metri da casa mia perché c’erano le mie amiche che dormivano lì. Quando mia madre ha deciso di mandarmi in collegio, è stato forse il momento più bello, perché ho sofferto di solitudine da piccola e questo probabilmente ha in qualche modo allenato il mio mondo fantastico, leggevo tantissimo”. Poi l’amore per la recitazione, l’istante esatto in cui ha realizzato di voler fare quel mestiere nella vita: “Spesso dicevo che non stavo bene perché mi volevo vedere i film. Un anno vidi Anna Karenina con Greta Garbo e non ricordo tutto il film, ma ricordo lei sulla panchina, con questo sguardo vuoto che diceva tutto. Lì io ho avuto la percezione che dentro quel corpo e quel viso d’attrice ci fosse un mondo estremamente pieno e quello è stato il momento”, fino al vero e proprio esordio “quando Strehler per caso mi ha scelto, mi ha detto ‘vieni in palcoscenico’ e io gli ho risposto ‘ma io non so fare l'attrice’ e lui ‘tu fai l'attrice bene’. Da quel giorno ho sempre studiato per fare bene l'attrice e basta”.
E per Giorgio Strehler, non ha altro che belle parole da spendere: “lui è tutto, è l’impronta che si è messa su di me. Quando l'ho visto la prima volta entrare dall’ingresso degli artisti del piccolo teatro sono rimasta folgorata dalla bellezza, assomigliava a Von Karajan. Mi diceva ‘stai dietro di me non andare in quinta e guarda che cosa succede in palcoscenico’”. E dopo la stima e l’affetto per Strehler quella per Gabriele Lavia: “Dopo Strehler è stato il grande amore che mi ha portato in palcoscenico in un altro modo, non più da giovane attrice ma da attore, attore maschio; era molto faticoso, molto formativo e con lui ho imparato tutte quelle che sono le tecniche teatrali. Abbiamo fatto due case, abbiamo fatto due figlie e abbiamo costruito dei film”.
L’attrice prende parte a film cult italiani in cui interpreta donne estreme e controverse dal forte contenuto sensuale come ‘La lupa’, “è il film forse più forte, più scabroso proprio perché racconta un vuoto, deve riempire qualche cosa che dentro di lei è freddo, è ghiacciato, è solo; infatti, quando la descrive dice alta, magra, pallida come se avesse sempre addosso la malaria, ha bisogno di avere il corpo del maschio perché non ha nient'altro”. Seppur diversamente, come già in ‘Inganno,’ qui torna il tema della sensualità femminile che si fa anche dramma. Ma non c’è solo la tragedia, Monica Guerritore nasconde anche un lato da interprete comica, ha infatti un bellissimo rapporto con un gigante come Carlo Verdone, con il quale prenderà parte alla nuova stagione di ‘Vita da Carlo’, dal 16 novembre su Paramount±. Verdone ha notato il lato comico dell’attrice nella serie Sky Original ‘Speravo de morì prima’: “È un uomo simpaticissimo che io conosco da tanto, che mi ha ‘scoperto’ comica con una serie Sky: facevo Fiorella Totti, la mamma di Francesco Totti”. Saper far ridere non è affatto un compito semplice, infatti, “è importante stare dentro alla situazione comica, devi rimanere nel ritmo e infilarti senza disturbare”.
Fuori dallo schermo, invece, ha aperto una società di produzione, la Lumina MGR, nella quale crea “progetti editoriali, quindi soggetti dei film, sceneggiature, che poi devono essere prodotte”. E se c’è un progetto in particolare che le sta più a cuore è “il film su Anna Magnani. Avremmo dovuto cominciare ora ma inizieremo a girare a marzo: si è affiancata a noi una importante società di comunicazione, la Jaba Communication, che sosterrà questo progetto in modo che la copertura finanziaria possa fare del film sulla Magnani (non ce n’è uno al mondo) un grande film”. Per Monica Guerritore il cinema, così come la letteratura, è anche un modo per accettare e superare il dolore che la vita può causare: “La fonte di tante tragedie è l’incapacità di contenere il dolore, tanti femminicidi nascono dall’incapacità di contenere il dolore di essere lasciati. Mentre, invece, se impariamo a convivere con il dolore, sapremo che sperimentandolo passerà. La letteratura, i racconti ci insegnano, come dice Umberto Eco, anche a morire: ci fanno piangere, nella finzione mettiamo in moto quel meccanismo del dolore, soffriamo e poi scopriamo che c’è ancora vita”.
Non si è fermata nemmeno quando ha cercato di ottenere i diritti per un adattamento del film ‘Mariti e mogli’ di Woody Allen, reinterpretandolo nel 2016. In quell’occasione il direttore della fotografia e amico Vittorio Storaro avvisa Monica di essere presente in un set di Woody Allen, allora “a Vittorio dico: ‘chiedi a Woody Allen, ti prego, di darmi i diritti. Digli solo questo: io ho capito che il suo ‘Mariti e mogli’ lui lo ha scritto sul suo maestro, che è ‘Scene da un matrimonio’ di Bergman. Ho recitato quest’ultimo sia in teatro che in televisione, quindi so benissimo qual è il senso della rappresentazione’. Dopo due giorni, Woody risponde: ‘ho capito che lei ha capito, dirò ai miei avvocati di darle i diritti”. La sua forza d’animo non si è persa negli anni, anche se “i sessant’anni sono più difficili, ma mi sono affezionata al mio viso che cambia, l’età mi dà le spalle forti, mi sento forte”. Conclude dicendo: “l’idea di te stessa cambia, e tu devi raggiungerla. Ci vuole quel momento di adattamento, ma a un certo punto trovi un’idea di te compatibile, ti affianchi a essa e raggiungi la tua età”.