Fino all' 11 agosto al teatro National di Londra, l’opera di Graham che racconta l’Inghilterra attraverso la lente del commissario della nazionale di calcio inglese Gareth Southgate e dei suoi ragazzi
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LONDRA - Non c’è forse dimensione migliore per comprendere l’Inghilterra di quella calcio. È una metonimia particolarmente efficace di un popolo, di una nazione. Per questo è utile, oltre che piacevole, andare a vedere Dear England, al teatro National di Londra fino all’11 di agosto, se ci si trova nella capitale britannica.
Southgate, voce “woke” e animo gentile
In scena va la storia di Gareth Southgate, commissario tecnico della nazionale maschile ed ex calciatore, dall’animo gentile e con un’aurea idealista da farlo apparire “woke” in un mondo di machos politicamente poco corretti. E anche questo è segno dei tempi, è una cifra di una Inghilterra che si incarta su assurdi dibattiti politici su chi possa essere definito “donna” e chi “uomo” e si ritrova a discriminare i “maschi bianchi” all’interno delle proprie forze armate, della Royal Air Force in particolare (è cronaca proprio di questi giorni).
Una storia di successo quella di Gareth (impersonato da un ottimo Joseph Fiennes, conosciuto in Italia soprattutto per Shakespeare in Love, Elizabeth e il Racconto dell’ancella), ma macchiata da un errore che sembra destinato a segnarlo per sempre: il rigore sbagliato nella semifinale degli europei ‘96 contro la Germania. Un rigore: quella cosa che ti fa sentire gli occhi di un popolo intero addosso, che su di te ripone ogni speranza a un passo da un’esaltante vittoria. Un rigore: quella cosa che ti fa sentire inebriato e onnipotente se lo realizzi e ti fa sprofondare nel baratro più profondo se lo manchi e vanifichi il sogno di una nazione tutta. Ogni volta lo gridano, gli inglesi, quasi lo rivendicano: “it’s coming home”, sta venendo a casa, l’Inghilterra, la casa del calcio, questo benedetto trofeo. Che nel caso degli Europei a casa non c’è mai stato, e dei Mondiali una volta sola, nel ’66, al termine di una finale con la Germania Ovest dall’arbitraggio molto discutibile.
UN PAESE CHE CAMBIA PELLE
Le vittorie dell’Ex impero sembrano appartenere a un passato sempre più lontano. E intanto l’Inghilterra cambia pelle. Letteralmente anche, perché diventa più multietnica, più multirazziale, più inclusiva. Fa passi decisivi in avanti. Eppure i suoi fantasmi sono sempre pronti a riaffiorare nei momenti più delicati. Southgate, il primo a introdurre il tema della salute mentale nella preparazione dei giocatori della nazionale, porta l’Inghilterra lì dove non è mai arrivata: a una finale degli Europei. Ma anche lì sono i rigori a fregarla, nel 2021. E noi italiani ce lo ricordiamo bene. Rigori sbagliati, fatalità, da tre giovanissimi ragazzi di colore. E l’Inghilterra fa di nuovo i conti con rigurgiti razzisti e con un passato coloniale che si fa sempre più pesante, generazione dopo generazione. Al razzismo dei balordi che sfregiano i murales dedicati ai giocatori e inondano il web di oscenità e minacce, il Paese reagisce. In maniera poderosa.
La rivincita potrebbero offrirla i Mondiali dell’anno successivo in Qatar: il terzo atto di una storia shakespeariana che il personaggio Southgate/Fiennes ha nella sua testa. Un appuntamento oggetto di critiche feroci da parte dei difensori dei diritti umani e anche di commentatori sportivi come Gary Lineker, coscienza critica della nazione su un tema delicato come quello dell’immigrazione. In Qatar il capitano Harry Kane avrebbe voluto indossare la banda “One Love” con i colori dell’arcobaleno. Sarà costretto ad arrendersi, davanti alla minaccia di un cartellino giallo.
UNA STORIA DESTINATA A RIPETERSI?
Il numero 9 è l’alter ego dell’allenatore che vuole semplicemente essere chiamato Gareth e non mister. E ad accumunarli c’è il destino beffardo: un rigore sbagliato dal capitano, in un quarto di finale, questa volta contro la Francia. La storia è destinata a ripetersi inesorabilmente dunque? Non esattamente. Perché Southgate e l’Inghilterra stanno imparando a guardare in faccia i propri fantasmi e le proprie vulnerabilità, si interrogano su se stessi, e ne escono più forti, più consapevoli.
UNA LETTERA APERTA CONTRO IL RAZZISMO
“Dear England” è l’incipit di una lettera aperta che Southgate scrive all’inizio degli europei del ’21 per spiegare, ancora una volta, l’importanza del gesto compiuto dai giocatori di inginocchiarsi prima del calcio di inizio. Un gesto contestato da una parte (seppur minima) della tifoseria. E denuncia come gli insulti razzisti sui social rischino di minare il benessere mentale di tutta la squadra.
Scrive Southgate, consapevole che la sua voce conta “non per la mia persona ma per il ruolo che ricopro”: “Perché scegliere di insultare qualcuno per una cosa così ridicola come il colore della sua pelle? Perché? Sfortunatamente, per le persone che si comportano in questo modo, ho una brutta notizia. Siete dalla parte dei perdenti. Per me è chiaro che ci stiamo dirigendo verso una società molto più tollerante e comprensiva, e so che i nostri ragazzi ne saranno una parte importante. A volte può non sembrare, ma è così. La consapevolezza delle disuguaglianze e le discussioni sulla razza hanno raggiunto un livello diverso solo negli ultimi 12 mesi”.
Insieme al “We will meet again” della regina Elisabetta II è uno dei messaggi più potenti, un punto di riferimento tra i più importanti e più saldi in un periodo al dir poco turbolento della vita politica del Regno Unito post Brexit. Non è un caso che Graham sul palco faccia sfilare anche le macchiette di Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss. Tutti e tre fagocitati dai propri errori. Che, al contrario di Southgate e dei suoi ragazzi, loro non sono mai stati in grado di ammettere e gestire.