In scena al Teatro Argentina di Roma fino al 30 maggio, e poi in giro per l'Italia, "Furore" un reading con musica dal vivo. Emozioni e parole, con Massimo Popolizio.
“Riscopri il valore delle cose quando ti mancano e quando poi le hai nuovamente”.
Massimo Popolizio, fieramente lontano da ogni retorica, racconta l’emozione ora che i Teatri sono riaperti. Emozione appunto reciproca: per lui che torna su un palco e per il pubblico di essere in platea ad ascoltarlo. Fino al 30 maggio al Teatro Argentina di Roma va in scena “Furore” tratto dal capolavoro di John Steinbeck (che nacque come inchiesta giornalistica) in un “”reading” che rende questa opera dei primi del ‘900 particolarmente attuale, nel narrare di uomini e donne in cerca di un futuro migliore per la propria famiglia, in una terra promessa. “Questo popolo di migranti, racconta l’attore, è una storia molto attuale. Steinbeck parla per la prima volta di disastri ambientali ed ecologici che costringono le persone, i contadini in questo caso, a trasferirsi dall’Oklahoma alla California.
E’ una storia, conclude Popolizio, in cui il pubblico si emoziona perché risente cose che sono sepolte dentro di noi”.Attore di cinema ma soprattutto di Teatro, Popolizio sorride alla domanda sul cosa il palcoscenico gli abbia dato in tutti questi anni: “Mi ha dato tanta fatcia, dice, e dalla fatica e dal lavoro si imparano molte cose”.
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NOTE DI SPETTACOLO “FURORE”
Regista e interprete di grande sapienza e inventiva, Massimo Popolizio si confronta con Furore di John Steinbeck, in uno spettacolo lirico ed epico che porta sul palco la crisi agricola, economica e sociale che stritolò gli Stati Uniti in una morsa fra il 1929 e l’attacco a Pearl Harbor. Raccontando le sventure della famiglia Joad, e i motivi di una delle più devastanti migrazioni di contadini della storia moderna, Popolizio dà vita ad un racconto realista e visionario, ancora sorprendente per la sua dolorosa attualità. Leggendo Furore, impariamo ben presto a conoscere un personaggio senza nome che muove i fili della storia. Nulla gli è estraneo: conosce il cuore umano e la disperazione dei derelitti come se fosse uno di loro, ma a differenza di loro conosce anche le cause del loro destino, le dinamiche ineluttabili dell’ingiustizia sociale, le relazioni che legano le storie dei singoli al paesaggio naturale, agli sconvolgimenti tecnologici, alle incertezze del clima. Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione.