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Scala, Manuel Legris: “Senza pubblico è frustrante, i danzatori hanno coraggio”. VIDEO

Spettacolo

Chiara Ribichini

Credit: Brescia - Amisano

Nominato da Nureyev étoile dell’Opéra di Parigi nel 1986, con una carriera che ha segnato la storia della danza, è il nuovo direttore del Corpo di Ballo scaligero. Arrivato in piena pandemia, si è raccontato a Sky Tg24 in una lunga intervista. “Oggi sono dietro le quinte, sono qui per donare tutta la mia esperienza alla nuova generazione”

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“La mancanza del pubblico è estremamente frustrante. Quel silenzio alla fine di un’esibizione è qualcosa di pesantissimo. Ma i danzatori della Scala sono molto coraggiosi. Si ritrovano a casa per gli stop dovuti al Covid o in seguito a un tampone positivo, poi tornano con la stessa motivazione, con la stessa forza e vanno in scena. E’ un messaggio molto forte che mandano a me”. Manuel Legris è il nuovo direttore del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Arrivato in piena pandemia, lo scorso dicembre, si è ritrovato a iniziare una stagione tutta in streaming. Lo abbiamo incontrato in occasione dello spettacolo Omaggio a Nureyev e ci ha raccontato le tante difficoltà quotidiane dovute all’emergenza sanitaria ma anche i suoi ricordi, quelli di un danzatore che ha segnato la storia della danza. Come quando, nel 1986, fu nominato proprio da Nureyev étoile dell’Opéra di Parigi sul palco del Metropolitan di New York.

Nell'impossibilità di fare progetti a lungo termine a causa della pandemia, quali sono i suoi primi obiettivi qui alla Scala come direttore del Corpo di Ballo? 

E’ un momento molto complicato per tutti. E’ davvero difficile pensare al futuro e sto cercando di programmare giorno per giorno e di trovare un’occupazione anche psicologica per i danzatori. Non sono in una normale presa di funzioni. Cerco di dare una dinamica ai ballerini, di prepararli anche mentalmente a quando finalmente potremo tornare a fare spettacoli davanti a un pubblico.

 

Quali sono le difficoltà di mettere in scena un balletto in questo contesto?

La cosa più difficile effettivamente è che siamo vincolati al virus, succede sempre qualcosa. Tamponi prima positivi, poi negativi (con riferimento all’errore nei tamponi che aveva costretto a interrompere le prove e a rimandare lo spettacolo Omaggio a Nureyev, ndr). Tornare a casa è veramente frustrante e lo è anche la mancanza del pubblico. Devo dire che i danzatori della Scala sono veramente molto coraggiosi. Si ritrovano nella loro camera in isolamento, poi ritornano in sala con la stessa motivazione e vanno in scena. E’ un messaggio molto forte al nuovo direttore, dobbiamo affrontare questo momento e vincere insieme. Quando tornerà il pubblico gli spettacoli saranno fantastici.

 

Ha postato su Instagram un filmato degli applausi che ha ricevuto dopo il suo primo Albrecht sul palco del Bolshoi di Mosca. Come si compensa quell’applauso che oggi non c’è?

Non si compensa assolutamente. Abbiamo fatto, e stiamo preparando, varie serate in streaming… negli occhi dei ballerini si vede che c’è uno sforzo fisico importante, un’artisticità che si ha voglia di dare a qualcuno ma poi, alla fine, c’è un silenzio pesantissimo. Io spero che questo silenzio finirà presto perché è qualcosa che è difficilissimo da accettare.

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L’eccezionalità di questo periodo ha portato la danza, per la prima volta, alla prima del 7 dicembre. Come è nato Verdi Suite, esempio di danza brillante e leggera?    

Il sovrintendente Dominique Meyer ha avuto la bella idea di associare il balletto alla serata inaugurale della stagione dell’opera. Quando ho deciso di creare qualcosa era uno dei momenti peggiori del Covid, non ci si doveva toccare. Ho fatto una coreografia che mi è stata imposta dal virus. Ho scelto alcuni danzatori e fatto solamente assoli e passi a due evitando il contatto. E’ stato frustrante ma anche un bell’esercizio. La musica di Verdi mi ha molto ispirato.

 

In A Riveder le Stelle abbiamo visto anche il celebre pas de deux dello Schiaccianoci nella versione coreografata da Rudolf Nureyev. Ora l’Omaggio a Nureyev… Cosa ha rappresentato per lei il tartaro volante?

Beh tantissime cose. E’ stato mio direttore per 6 anni all’Opéra di Parigi, ho fatto parte del suo gruppo Nureyev and Friends. Abbiamo ballato dappertutto, abbiamo fatto molti spettacoli soprattutto in Italia. Lui ha spinto una generazione intera di giovani danzatori. Ho fatto il primo Don Chisciotte alla Scala preparato con lui in una sola settimana. Gli devo molto e per me è un onore oggi organizzare un omaggio a una personalità come Rudolf Nureyev che ha segnato per sempre la storia della danza.  

 

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Ha un ricordo preciso di Nureyev? 

Molti ricordi, molti, molti. E’ molto difficile sceglierne uno, abbiamo vissuto moltissime esperienze insieme, tanti viaggi. Un momento speciale è sicuramente stata la nomina mia a étoile al Metropolitan di New York. Era la prima di Raymonda e io non avrei dovuto ballare ma la mattina dello spettacolo Nureyev venne e mi informò che la sera avrei ballato io. Non capivo il perché. “Non porre questioni e danza!” mi disse.

Avrei dovuto ballare con Sylvie Guillem con cui non avevo fatto le prove. Ma tutti mi dicevano che dovevo buttarmi. Avevano probabilmente intuito che sarebbe successo qualcosa di eccezionale. Così, alla fine dello spettacolo, prese il microfono e avanzò in mezzo al pubblico. “Nomino Manuel Legris étoile dell’Opéra di Parigi” disse. Ho tanti ricordi che custodisco nel mio cuore.  

 

Pensa che Nureyev  possa averla influenzata anche nelle coreografie? In Sylvia a me ha colpito un uso simile di passi piccoli, veloci, molto complessi e la grande musicalità.

Beh sì sicuramente, ma non solo lui. Ho avuto alle spalle una scuola francese. Nureyev mi ha dato una direzione ma io ho coreografato con la mia scuola e la mia musicalità. Ovviamente quando si diventa coreografi non si è influenzati da una sola persona ma Nureyev è stato un grande maestro.

 

E’ stato étoile dell’Opéra di Parigi in anni veramente d’oro. Sylvie Guillem, Patrick Dupond … avete fatto la storia della danza. A posteriori secondo lei quali erano i vostri punti di forza?   

Sono arrivato in un periodo incredibile. Avevamo in sala con noi tutti i grandi coreografi del momento: Balanchine, Kylián, Robbins, Mac Millan, Forsythe, Neumeier. Io ho fatto la prima di Manon con MacMillan che mi ha scelto per quel ruolo. E poi ancora Béjart, Nureyev. Tutti personaggi che hanno segnato la storia del balletto e noi li abbiamo avuti per noi. Certo, avevamo anche talento, ma incontrare questi grandi maestri ha rappresentato una ricchezza assoluta. E’ stato un momento unico, una chance, non so se era il destino ma è stato speciale.

 

E quali sono i punti di forza del Corpo di Ballo della Scala?    

C’è una bella energia che ho apprezzato quando sono venuto per fare Sylvia. Sono ballerini molto aperti, ci sono forti personalità. Quando si arriva alla Scala c’è uno stile, un lavoro sui piedi, una storia magnifica in questo teatro.

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Ha invitato Carla Fracci per una masterclass per Giselle, è l’inizio di una nuova collaborazione?

Sì, per me è qualcosa di assolutamente normale. Ho seguito l’evoluzione del balletto in Italia. Luciana Savignano, Liliana Cosi... ci sono sempre ballerini magnifici in Italia e delle persone che hanno segnato la storia della danza. Sono rispettoso del luogo in cui mi trovo. Io ora sono alla Scala, sono qui per i danzatori della Scala e per il teatro.  

 

Lei ha detto: “Essere sul palco e danzare bene è la cosa più bella della mia vita. Dall’età di 5 anni ho fatto di tutto per riuscirci. Il fenomeno è inspiegabile, mi basta entrare in scena per essere felice”…   

E’ così, è la mia vita come ballerino. Ora sono dietro le quinte e vedo lo spettacolo ma ho altrettanto piacere a essere in sala e vedere il lavoro che ho fatto con i ballerini che quello che avevo quando ballavo. Non c’è frustrazione, è qualcosa di naturale. Un cambiamento normale ed è qualcosa che ho voglia di dare alla nuova generazione.  

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