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Giffoni 2018, Francesco Scianna: “Ragazzi studiate, la cultura resta per sempre”

Spettacolo

Fabrizio Basso

Francesco Scianna durante l'intervista

Francesco Scianna racconta la sua storia al Giffoni Film Festival. Invita i ragazzi a studiare e annuncia che porta a Teatro la Morte di un Commesso Viaggiatore di Arthur Miller. Lo abbiamo incontrato e intervistato

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(@BassoFabrizio
Inviato a Giffoni Vallepiana)


Dalla Palermo delle stragi alle lezioni di recitazione a Roma fino a Baaria e Morte di un Commesso Viaggiatore che segna il suo debutto alla regia teatrale. Francesco Scianna racconta il suo mestiere, spiega che serve un nuovo linguaggio per uscire dalla crisi. L'INTERVISTA

Francesco cominciamo da un bilancio della sua carriera?

Sto bene, ho imparato ad accogliere e accettare i miei tempi, che sono solo miei. Il confronto con gli altri è solo per imparare dalle qualità che riconosco tali.
Sente di avere bruciato tappe?
La velocità della mia carriera è quella giusta per me, desidero fare ancora tanto e desidero che mai cessi la fase di apprendimento.
Il bello del suo lavoro?
Lo studio è il bello del mio lavoro, sono contento ed eccitato quando posso studiare.
Tutto è pronto per la sua prima regia teatrale Morte di un commesso viaggiatore.
Non sarò in scena, mi dedico solo agli attori che interpretano i ruoli, spero sia l’apertura di un nuovo capitolo.
Ricorda il suo primo spettacolo?
Avevo 15 anni e feci chiamare dal regista una ambulanza perché avevo un nodo alla gola e un senso di svenimento. Lo ho superato, poi tutto è stato una scoperta e una indagine sulla mia natura, compreso quello che mi ha portato a intraprendere questa carriera.
Giffoni?
Bella la serietà presente nelle domande che vengono poste dai ragazzi.
Dopo Baaria ha fatto un cortometraggio.
Era un lavoro fatto con amici e ho in quell’occasione ho capito la potenza e l’energia che si crea quando stai dietro la camera. E’ magico portare i tuoi attori a creare vite.
E’ a un bivio professionale?
Forse mi avvicino più alla paternità che a essere figlio. E anche in Arthur Miller c’è il tema del tempo che passa. Forse per questo ho scelto quel testo, è un passaggio della mia vita. Affronta tematiche emotive.
La forza di un artista?
Non deve badare a successi e insuccessi ma lavorare ogni giorno sul proprio strumento, l’artista è un artigiano che deve lavorare quotidianamente senza aspettare il telefono che squilli. Abbiamo bisogno di nuove forme d’arte, dobbiamo creare un nuovo linguaggio per uscire dalla crisi.
Chi è lei? Chi siamo?
Noi siamo la combinazione di tante cose, non possiamo essere solo anima o intelletto o corpo. L’artista è il risultato di tutte le sue esperienze. A me sono servite anche le cose sbagliate perché sono la mia storia, compreso stare a Palermo, un luogo isolato che mi ha fatto nascere la necessità di andare a Roma poi Parigi, Londra, Los Angeles, New York…Palermo mi ha dato possibilità di andare via e ora voglio restituire: lo farò ai primi di ottobre a teatro.
Va al cinema? Settore perennemente in crisi.
Continuo ad andare al cinema e spesso anche da solo. Credo che siamo in un processo di passaggio e tra un po’ capiremo che accade. Ciò detto uscire di casa per andare in un luogo che non ci appartiene significa essere più vulnerabili perché è un luogo che non ci difende, senza citofono o telefono che possono essere una via di fuga. Il cinema soffre la crisi culturale della nostra epoca ma qualcosa accadrà.
E’ social?
Non lo sono. Social significa essere ovunque per non essere da nessuna parte.
Cosa consiglia ai giovani di Giffoni?
A lungo andare lo studio è la sola casa che ti rimane. Arthur Miller ti mostra la società americana dove tutto è apparenza, il successo toglie anche la vita. Perdiamo l’importanza delle fondamenta, per questo il teatro classico non può finire. Come diceva Cechov bisogna fare anche cose piccole. La base culturale è la base per vivere bene.
I suoi genitori la hanno assecondata?
Mi ritengo fortunatissimo perché ho avuto genitori che hanno sempre sostenuto le mie scelte. Quando ho espresso il desiderio di fare l’attore, a 15 anni, non mi hanno messo in pausa fino a 18. Mio padre mi aspettava in auto a Roma quando facevo lezioni private di recitazione.
Sappiamo che lei ha subito la morte di Paolo Borsellino.
Le stragi di Palermo hanno cambiato tutto: prima ero abituato a piccoli furti, giocavamo in strada ma pronti a scappare se sentivamo uno scooter arrivare. Una paura che ti entra nella carne. Avevo nove anni quando uccisero Borsellino, ero distante ma il boato si udì.
Cosa accadde?
Mio padre mi abbraccio e percepii un senso di protezione. I miei mi hanno sempre spiegato tutto. Poco dopo nel nostro palazzo venne ad abitare il magistrato Antonio Ingroia e davanti al portone arrivarono i militari. Una volta ci fu paura per una macchina sospetta. Ma anche i militari davano un senso di protezione. Fino a una certa età credi che certe cose accadano solo agli altri. Giovanni Falcone disse che se non mettono una bomba sotto casa tua vuol dire che non fai quello che devi fino in fondo.
Oltre al teatro?
Sto girando il nuovo film di Luca Miniero a Salerno e poi vedremo, ci saranno altre cose. Forse un film con un importante registra straniero.
Al cinema ci sono spesso eroi negativi: come li esorcizziamo?
Il male nella vita c’è sempre, è insito nell’essere umano: sta allo spettatore non farsi attrarre dal male, deve saper cogliere le cose nel modo giusto.