Alessandra Ferri torna alla Scala. “Giulietta? E’ il mio ruolo eterno”

Spettacolo

Chiara Ribichini

Alessandra Ferri Herman Cornejo in "Romeo e Giulietta". ©Rosalie O’Connor, courtesy of American Ballet Theatre
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Serata di Gala al Piermarini per l’ultimo dell’anno con il grande ritorno dell’étoile, dopo quasi dieci anni di assenza, nel balletto che più di tutti l’ha resa celebre nel mondo.  “In scena non ho età” dice a Sky TG24. L’INTERVISTA

“Giulietta è stato il mio primo ruolo e mi ha accompagnato sempre. E’ un ruolo interiore ed eterno attraverso il quale riesco a capire come sono in ogni fase della mia vita. L’età non c’entra. In scena non ho età”. Alessandra Ferri torna al Teatro alla Scala nel ruolo che più di tutti ha segnato la sua carriera e l’ha consacrata nella storia della danza. Un ruolo, quello di Giulietta nella celebre coreografia di Kenneth MacMillan, che ha danzato la prima volta a soli 19 anni e che ora, a 53 anni, torna ad interpretare per una serata di Gala organizzata per il 31 dicembre. Accanto a lei, nei panni di Romeo, Herman Cornejo, principal dell’American Ballet Theatre, al suo debutto alla Scala.
Un’unica, attesissima, data per celebrare il grande ritorno dell’étoile nel teatro in cui ha iniziato a danzare, frequentando la scuola e che nel 1992 l’ha nominata Prima Ballerina Assoluta, un titolo riservato a pochissimi.


Era già successo al Metropolitan di New York lo scorso 23 giugno. Anche in quel caso un’unica recita. Un’occasione unica per vedere Alessandra Ferri, definita “l’Anna Magnani della danza”, nel balletto ispirato alla tragedia shakespeariana. “Danza Giulietta come 10, 20, 30 anni fa” scrisse il New York Times all’indomani della performance.

Ora sarà il pubblico milanese a poter riabbracciare la stella della danza che aveva salutato nel 2007 quando, accanto a Roberto Bolle, danzò in la Dame aux Camelias.

 

Nel 2007 la scelta di abbandonare le scene per trascorrere più tempo con le sue figlie. Una scelta che lasciò un vuoto incolmabile nel panorama della danza. Poi cos’è successo?
E’ successo che ho sentito il vuoto anch’io. Un vuoto interiore, incolmabile. Ho sentito la mia vita rimpicciolita. Ho capito che non è necessario avere tanto tempo. Che esser presenti vuol dire esserci. E io non c’ero. La separazione con Fabrizio (Ferri, noto fotografo, ndr) ha evidenziato ulteriormente una consapevolezza che si stava facendo strada dentro di me. Non potevo più nascondermi. E non potevo più riempire quel vuoto con l’amore per Fabrizio. Dovevo tornare a danzare.

 

Come vive questo ritorno al Teatro alla Scala di Milano?
“Con molta gioia. Sono tornata sulle scene da quattro anni e ora sono felice di salire di nuovo sul palco del mio teatro, nella mia città di origine”.

 

Le sue figlie saranno in platea ad applaudirla come nel 2007?
No, ormai sono adolescenti (sorride). Mi seguono sempre ma è l’ultimo dell’anno e sono grandi. Mi hanno subito avvisata: “Mamma ci dispiace ma noi a Capodanno andiamo in montagna con gli amici”.

 

La prima Giulietta da giovanissima, quando aveva solo 19 anni, con il Royal Ballet di Londra. Che ricordo ha di quella prima?

“Fu clamorosa. Era una delle cosiddette “Promenade nights” di una volta, le serate in cui venivano tolte le poltrone dalla platea della Royal Opera House e si vendevano i biglietti per una sterlina per un posto seduti a terra. Un modo per avvicinare al teatro anche chi solitamente non può permettersi di comprare un biglietto. Ci fu un pubblico eccezionale. Dopo il passo a due del balcone gli applausi furono talmente forti e ininterrotti che fummo costretti ad uscire (solitamente non si interrompe la narrazione della storia del balletto con gli inchini, ndr)

 

Da quella prima volta sono passati tanti anni. Che Giulietta è oggi?
“E’ stato il primo ruolo e mi ha accompagnato sempre. E oggi rappresenta un po’ il metro di misura attraverso il quale riesco a capire come mi sento. E’ un ruolo interiore ed eterno. Si adatta a tutte le fasi della vita e attraverso Giulietta riesco a far luce su ciò che accade dentro di me in ogni momento di vita. L’età non c’entra. In scena non ho età. Quello che accade sul palco è un percorso interiore. Anche nella vita ci sono esperienze in cui si invecchia 100 anni in un giorno, altre che ci fanno sentire di colpo più giovani. Certamente non è stato facile tornare a danzare Giulietta. Quando ho ripreso a danzare, quattro anni fa, ho scelto nuovi ruoli, spesso creati appositamente per me. Come in “Cheri” di Martha Clarke o in “Wolf Works” di Wayne Mc Gregor.

 

Ha insegnato il ruolo di Giulietta a Misty Copeland, che ha debuttato al Teatro alla Scala accanto a Roberto Bolle (FOTO). Che Giulietta è Misty?
Ho visto Misty solo in sala prove, non sulla scena. E’ molto dinamica, è molto energica.

 

Si parla spesso di lei come “dell’Anna Magnani della danza”. E’ una definizione in cui si ritrova?
Forse avrei preferito esser chiamata la “Eleonora Duse” (una delle più importanti attrici teatrali italiane della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, ndr), ma è un paragone per gli addetti ai lavori (tra l’altro il coreografo John Neumeier ha da poco creato per lei il balletto “Duse”, ndr). Certamente è una similitudine che mi fa piacere. Credo sia legata al fatto che in scena sono vera. Non mi nascondo. Ho il coraggio di essere chi sono. Non c’è niente di costruito. Come era Anna Magnani.

 

C’è grande attesa di conoscere il futuro direttore del Teatro alla Scala (dopo le dimissioni di Mauro Bigonzetti l’incarico è stato assunto ad interim da Frédéric Olivieri fino a febbraio, ndr). Anche Roberto Bolle in una recente intervista a Sky TG24, ha detto che ci vorrebbe una persona che conosca bene la compagnia e che abbia una caratura internazionale. Come lei…
Non posso rispondere in generale. Non posso dire che mi piacerebbe dirigere una compagnia senza avere una proposta da valutare. Non mi interessa “la posizione”. Ci auguriamo tutti che a dirigere il Teatro alla Scala arrivi la persona giusta. Ma non basta la persona giusta, ci vuole anche un contesto giusto.

 

Cosa manca ai teatri italiani?
Manca una vera intenzione ministeriale. La vecchia convinzione che la danza non vende non è vera. Ma i teatri da soli non possono fare i miracoli. Serve un supporto.

 

Ha vissuto tra Milano, Londra o New York. Qual è la sua città?
Non saprei scegliere. Devo dire che Milano in questi ultimi anni è cresciuta tanto. Dopo l’Expo ho visto una città con una mentalità molto più aperta. Se potessi vivrei in tutte e tre.

 

Tra i coreografi contemporanei ha delle preferenze?
Wayne McGregor, senza dubbio. E’ il mio nuovo amore artistico. Mi sorprende perché riesce sempre a trovare soluzioni nuove. Nel passato sicuramente hanno avuto un ruolo importante nella mia carriera Kenneth Mac Millan (coreografo della più celebre versione di Romeno e Giulietta, la stessa ora in scena al Teatro alla Scala di Milano, ndr) e Roland Petit. Di entrambi sono stata la musa ispiratrice.

 

E tra i partner?
Julio Bocca è stato il partner sulla scena di una vita. Abbiamo ballato 20 anni insieme. Per Roberto Bolle ho tanto affetto. Con Herman Cornejo c’è uno scambio artistico stimolante e nuovo perché abbiamo età diverse.

 

Qualche rimpianto?
Mi spiace non aver mai lavorato con George Balanchine. Quando sono arrivata a New York, invitata da Mikhail Baryshnikov, era appena scomparso.  Era il 1985.

 

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